4 L’evoluzione del sé attraverso Mead
5.1 Rappresentazioni di sé
L‘attenzione di Goffman si dirige, innanzitutto, ai rapporti sociali che l‘individuo intrattiene nella sua quotidianità. In particolare, Goffman utilizza una metafora teatrale per elaborare il modo in cui l‘individuo si interfaccia con le diverse cornici della sua vita, interpretando, di volta in volta, un ruolo diverso a seconda del contesto in cui si trova. Goffman scrive «quando un individuo interpreta una parte, implicitamente richiede agli astanti di prendere sul serio quanto vedranno accadere sotto i loro occhi. Egli chiede loro di credere che il personaggio che essi vedono possieda effettivamente quegli attributi che sembra possedere, che la sua attività avrà le conseguenze che implicitamente afferma di avere, e che in generale le cose sono quali esse appaiono […]. Sarà opportuno, però, cominciare a esaminare le rappresentazioni capovolgendo il discorso e considerare cioè la fiducia che l‘individuo stesso ripone nell‘impressione della realtà che egli tenta di sollecitare in quanti gli sono d‘intorno»222
. Poco dopo,
222 E. Goffman, The Presentation of Self in Everyday Life, Doubleday & Company, New York 1959, tr. it. M. Ciacci, La vita quotidiana come rappresentazione, Società Editrice il Mulino, Bologna 1969, p. 29.
aggiunge: «guardando le cose sotto questo profilo, ci accorgiamo che, ad un estremo, l‘attore può essere completamente assorbito dalla propria recitazione ed essere sinceramente convinto che l‘impressione della realtà che egli mette in scena sia la realtà […]. Ad un altro estremo, ci accorgiamo che l‘attore può non essere affatto convinto della propria routine […].Quando l‘individuo non è convinto della propria recitazione e non è interessato all‘opinione del pubblico possiamo definirlo ―cinico‖, serbando invece il termine ―sincero‖ per coloro che credono nell‘impressione comunicata con la propria azione […].Ciò non significa, naturalmente, che ogni cinico voglia ingannare il suo pubblico per interesse o per vantaggio personale; infatti, egli può anche ingannare i propri ascoltatori per ciò che egli considera il loro bene o il bene della comunità»223. Le parti che l‘individuo interpreta cambiano ovviamente a seconda del contesto in cui si trova; pensiamo qui ai molteplici ―me‖ che portano l‘individuo ad adattarsi ad un ruolo, che sia quello di operaio, di attaccante in una squadra di calcio, e così via. Goffman pone l‘accento sul fatto che l‘individuo tenta di convincere chi gli sta intorno di possedere certi attributi; è un tema che abbiamo già incontrato nel lavoro di Cooley, dove c‘è un gioco continuo tra le impressioni che l‘individuo ha di sé attraverso gli altri ed il tentativo, da parte sua, di imporre una certa visione di se stesso a dispetto dell‘opinione degli altri. Goffman introduce poi una divisione tra due tipologie di individuo, o meglio tra due possibili atteggiamenti che l‘individuo può avere nei confronti della sua parte. È in gioco la vicinanza e la distanza dal ruolo: nel caso di quello che Goffman definisce l‘individuo sincero, la sua vicinanza al ruolo è massima, mentre nel caso del cinico le cose stanno diversamente.
Occorre però chiarire cosa Goffman intende con ―rappresentazione‖, termine che illustra in un passaggio successivo: «sto adoperando la parola ―rappresentazione‖ per indicare tutta quell‘attività di un individuo che si svolge durante un periodo caratterizzato dalla sua continua presenza dinanzi a un particolare gruppo di osservatori e tale da avere una certa influenza su di essi […]. Sarà opportuno classificare come ―facciata‖ quella parte della rappresentazione dell‘individuo che di regola funziona in maniera fissa e generalizzata allo scopo di definire la situazione per quanti la stanno osservando […]. La facciata costituisce quindi l‘equipaggiamento espressivo di tipo standardizzato che l‘individuo impiega intenzionalmente o involontariamente durante la propria rappresentazione»224. Possiamo indicare, dunque, la rappresentazione come ciò
223 E. Goffman, The Presentation..., pp. 29-30. 224
che avviene all‘interno di una particolare cornice; una cornice che include l‘individuo ed un certo gruppo di altri partecipanti, che ovviamente è estremamente variabile. L‘altro termine utilizzato da Goffman, ―facciata‖, ci indica l‘atteggiamento che l‘individuo adopera di fronte agli osservatori interni alla cornice. Goffman sottolinea come la facciata sia un elemento standardizzato della rappresentazione; lo scopo di questo, aggiunge, è definire la situazione per chi osserva. Dunque, la facciata gioca un ruolo importante nello stabilire i confini della cornice ed il significato della rappresentazione che sta avvenendo al suo interno. Goffman introduce anche la nozione di ―ambientazione‖, «che comprende il mobilio, gli ornamenti, l‘equipaggiamento fisico: insomma tutti quei dettagli di sfondo che forniscono lo scenario e gli arredi per quelle improvvisazioni di azioni umane che vi hanno luogo dentro, davanti e sopra»225
. Tornando all‘individuo, degno di nota è un altro concetto, quello di ―facciata personale‖: «[…] possiamo usare il termine ―facciata personale‖ per riferirci a quegli altri elementi dell‘equipaggiamento espressivo che identifichiamo strettamente con l‘attore stesso e che naturalmente lo seguiranno ovunque (o almeno così ci immaginiamo). Fra gli elementi che compongono la facciata personale possiamo includere: i distintivi di rango o di carica; il vestiario; il sesso; l‘età e le caratteristiche raziali […]. Alcuni di questi strumenti semantici, quali le caratteristiche razziali, sono generalmente fissi e non variano nel tempo […]; altri, invece, sono relativamente mobili e transitori […]»226
. Si tratta di un elemento importante, perché introduce le caratteristiche uniche del singolo all‘interno dell‘atteggiamento standardizzato che abbiamo introdotto prima. Questo ci porta su una direzione importante: le interazioni umane sono fatte da routine che presentano, per loro essenza, degli standard; al contempo, però, queste interazioni presentano caratteristiche uniche, in quanto ciascun attore possiede una facciata personale differente, ed anche gli osservatori possono differire grandemente tra loro. Questo comporta che «per quanto una routine possa essere unica e specializzata, la sua facciata […] tenderà a convalidare fatti che possono esser ugualmente sostenuti ed asseriti a proposito di altre routines abbastanza diverse […]. Questo costituisce un grande vantaggio per l‘osservatore, anche se a volte può essere fuorviante. Anziché riservare un modello di aspettative e di trattamento differenziati per ogni attore e rappresentazione leggermente diversi, egli può collocare la situazione entro una vasta categoria intorno a cui gli risulta facile organizzare la sua
225 E. Goffman, The Presentation..., p. 34. 226
passata esperienza e un modo di pensare stereotipato»227. Dal punto di vista dell‘osservatore, dunque, viene privilegiato un modello basato su aspettative generalizzate, che gli permettono di entrare in un determinato contesto e di interpretare una determinata rappresentazione pur senza conoscerne ancora gli elementi di specificità. Questo ha però risvolti importanti anche per l‘attore: «in aggiunta al fatto che differenti routines possono servirsi della stessa facciata, è da tener presente che questa tende a divenire istituzionalizzata e ad assumere un significato e una stabilità che prescindono dai comportamenti specifici che in quel momento capita siano rappresentati in suo nome. La facciata diventa ―rappresentazione collettiva‖ e realtà a sé stante […]. Quando un attore assume un determinato ruolo sociale, generalmente scopre che a questo è stata già assegnata una particolare facciata. L‘attore può aver rivestito il ruolo per svolgere le funzioni da esso previste, o semplicemente per desiderio di utilizzare la relativa facciata, ma in ogni caso ben presto si accorgerà che le due cose non possono essere fatte separatamente»228.
Il primo elemento da tenere presente, dunque, è che la facciata tende a diventare istituzionalizzata, tende cioè a diventare quella che Goffman definisce una ―rappresentazione collettiva‖. Quello che succede, dunque, è che a certi ruoli vengono assegnate certe caratteristiche nell‘immaginario collettivo: al concetto di medico si accompagnano certe caratteristiche, che saranno diverse da quelle che accompagnano l‘idea di giudice, e così via. Questo comporta che l‘attore, quando entra in un determinato ruolo, scopre che, in un certo senso, questo ruolo è qualcosa che va oltre la sua specificità individuale: il ruolo sociale porta con sé, come dice Goffman, una relativa facciata e delle relative funzioni. È in linea con quanto abbiamo detto espondendo l‘idea di ―me‖ presente in Mead: l‘istanza sociale del sé è molteplice proprio perché ce ne sono tante varianti quanti sono i ruoli interpretabili dall‘individuo; e si tratta di un‘istanza sociale, perché le aspettative rivolte verso quel ruolo non sono, appunto, rivolte verso l‘individuo che lo ricopre nello specifico, ma verso il ruolo in sé, prima di tutto. Quando l‘individuo interpreta un certo ruolo, si comporta, di norma, conformemente alle aspettative di chi lo osserva; perciò i concetti di ―ruolo sociale‖ e di ―me‖ sono in questo molto vicini tra di loro. La standardizzazione dell rappresentazioni di cui parla Goffman è la testimonianza del fatto che siamo di fronte a un fattore socializzato; lo standard di un ruolo, dopotutto, dipende ovviamente dalla società in
227 E. Goffman, The Presentation..., p. 38. 228
esame. Lo stesso ruolo potrà perciò avere procedure standardizzate differenti a seconda della società, andando a cambiare anche il modo in cui l‘individuo si approccia al ruolo. Le routines, dunque, sono soggette a cambiamento. Nonostante questi elementi mutabili, Goffman ravvisa delle ricorrenze nella struttura delle rappresentazioni: «in quasi tutte le società sembra esistere un sistema generalizzato di stratificazione, nonché un‘idealizzazione dei ranghi più elevati ed una certa aspirazione da parte di chi si trova nei più bassi ad ascendere ai più alti […]. In genere, la mobilità verticale implica la messa in scena di rappresentazioni appropriate , e gli sforzi per salire e quelli per evitare di scendere socialmente sono espressione di sacrifici fatti per il mantenimento della facciata. Una volta che è entrato in possesso dell‘appropriato repertorio di simboli ed ha acquistato una certa familiarità nel maneggiarlo, l‘individuo può adoperarlo per abbellire ed illustrare le proprie rappresentazioni quotidiane con uno stile sociale accettabile»229. Nella rappresentazione, dunque, gioca un ruolo importante anche lo status sociale: quello che l‘individuo ha e quello che vorrebbe avere. L‘importanza dello status sociale è qualcosa che abbiamo già approfondito con Cooley e con gli esperimenti basati sui suoi studi; abbiamo già visto come per un individuo dallo stato sociale considerato, per qualsivoglia motivo, influente, è più facile influenzare l‘opinione che gli altri individui hanno di se stessi. Si tratta di un elemento che torna, sotto forme mutabili, in società differenti tra loro; un elemento ricorrente, dunque, che sembra essere alla base di alcuni tipi di società.
Un altro degli elementi cruciali analizzati da Goffman è la distanza che separa l‘attore dal pubblico: «[…] vediamo che si verifica una ―segregazione dal pubblico‖. Per mezzo di questa l‘individuo si assicura che coloro davanti ai quali egli rappresenta una delle sue parti, non saranno gli stessi davanti ai quali egli rappresenterà un‘altra parte in un ambito diverso […]. Vorrei far notare sin d‘ora che anche se gli attori tentassero di distruggere questa segregazione e l‘inganno che ne deriva, spesso il pubblico impedirebbe loro di farlo. Il pubblico infatti si accorge che c‘è gran risparmio di tempo ed energia emotiva nel trattare l‘attore per quello che appare, come se, cioè, l‘attore fosse solamente e veramente ciò che l‘uniforme del momento lo fa sembrare»230
. Il punto è chiaro: il ruolo sociale interpretato dall‘individuo non è sempre lo stesso, ma varia in funzione del suo pubblico, e viceversa. Con certe persone l‘individuo interpreta un certo ruolo mentre con altre, un altro ancora. All‘interno delle differenti cornici,
229 E. Goffman, The Presentation..., p. 48. 230
l‘attore interpreta ruoli diversi; è questo il punto. Se il pubblico fosse lo stesso, qualcosa si spezzerebbe: si spezzerebbe quell‘inganno per cui l‘individuo è il ruolo che sta interpretando in quel momento, la sua identificazione con quel ruolo e solo con esso. Avere lo stesso pubblico significherebbe avere una parziale uscita dalla cornice; e Goffman rileva che lo stesso pubblico tenterebbe di impedire la distruzione dell‘inganno. Non si deve ovviamente intendere inganno in senso valutativo; l‘inganno di cui stiamo parlando è un inganno consapevole cui partecipano entrambe le parti, che rende possibile le stesse dinamiche sociali con un ingente risparmio di energie. Ci troviamo nuovamente di fronte ad un punto chiave del tema della cornice: la sua separazione da ciò che la circonda. Non si tratta di un isolamento completo, ma l‘inganno di chi si trova all‘interno di una cornice arriva perlomeno ad ignorare momentaneamente ciò che in quel momento cozzerebbe con il contesto. Goffman scrive che «questa differenza causa una notevole ed imbarazzante discrepanza fra la realtà e la sua proiezione ufficiale, poiché è caratteristica essenziale di quest‘ultima il fatto di esser l‘unica possibile nella circostanza specifica. Forse, allora, non dovremmo analizzare le rappresentazioni in termini di standard meccanici […]. Un‘immagine artistica sarebbe più appropriata, poiché ci prepara al fatto che una sola nota stonata può distruggere l‘armonia di tutta una rappresentazione»231. Anche in questo caso, dunque, viene utilizzata un‘immagine artistica come metafora per indicare l‘unità di significato da salvaguardare. Se all‘interno della cornice, reale o metaforica che sia, viene introdotto un elemento contraddittorio rispetto alla realtà rappresentata, l‘inganno si rompe.
Su questo, Goffman poco oltre commenta: «la coerenza espressiva richiesta nelle rappresentazioni indica una netta dissonanza fra il nostro fin troppo umano ―io‖ ed un ―io‖ socializzato. Come esseri umani siamo principalmente creature dagli impulsi variabili, con umori ed energie che cambiano da un momento all‘altro: come personaggi davanti ad un pubblico, tuttavia, non possiamo permetterci alti e bassi»232. In termini meadiani, possiamo tradurre questa affermazione sostenendo che le rappresentazioni richiedono una coerenza espressiva troppo grande per il nostro ―io‖, il nostro centro di impulsi personali; pertanto, è solo grazie all‘istanza sociale del nostro sé, è solo grazie ai diversi ―me‖ che si formano nel corso della vita, che possiamo effettivamente ed efficacemente partecipare a queste rappresentazioni. Non è un caso, infatti, che il sé sociale si formi anche attraverso la partecipazione al gioco, dove i bambini imparano
231 E. Goffman, The Presentation..., p. 64. 232
l‘ingresso e l‘uscita da un mondo fatto di significati diversi rispetto a quello che si trova all‘esterno. Nei rapporti sociali, dunque, è importante che l‘―io‖ non prenda il sopravvento, per così dire, sul ―me‖; il rischio sarebbe infatti quello di compromettere la propria immagine sociale, quantomeno quella legata al ruolo che stiamo eseguendo in quel momento. Goffman nota infatti: «forse la cosa più importante che dobbiamo notare è il fatto che la falsa impressione data da un individuo in una qualsiasi delle sue routines può costituire una minaccia per l‘intero rapporto o ruolo di cui la routine specifica è soltanto una parte, poiché una rivelazione che lo discrediti in uno dei campi della sua attività può far sorgere dubbi relativamente a tutti gli altri campi in in cui egli non avrebbe niente da nascondere»233 .
Goffman introduce poi un altro elemento, vale a dire le rappresentazioni in cui più attori si trovano a collaborare: «adopererò il termine ―équipe di rappresentazione‖, o più brevemente équipe, per riferirmi ad un qualsiasi complesso di individui che collaborano nell‘inscenare una singola routine […]. Sia che i membri di un‘équipe inscenino rappresentazioni individuali simili o che ne inscenino di differenti – che però si fondono in una sola routine – ne emerge un‘impressione di équipe che può essere adeguatamente trattata come fatto a sé stante, come qualcosa che si trova a un terzo livello, fra la rappresentazione individuale, da un lato, e il complesso delle interazioni dei partecipanti, dall‘altro»234
.
Nel caso dell‘équipe, le dinamiche della rappresentazione vanno a complicarsi, ad esempio perché «ogni membro ha la possibilità di far fallire lo spettacolo o di disturbarlo con un comportamento inappropriato. Ogni componente dell‘équipe è obbligato a fidarsi della buona condotta e del comportamento dei suoi compagni, e questi, a loro volta, sono obbligati a fidarsi di lui: si sviluppa quindi necessariamente un vincolo d‘interdipendenza reciproca fra di loro»235
. Ciò significa, ovviamente, che la rappresentazione di un‘équipe ha molte più possibilità di fallire rispetto a quella del singolo; serve una coordinazione tra i suoi membri per non spezzare la realtà della cornice. La partita di baseball, dunque, è la rappresentazione di un‘équipe; ovviamente, le differenze tra i membri dell‘équipe non sono annullate. Ci sono differenze nel grado di leadership interna che vanno a creare una diversità anche all‘interno dell‘équipe.
233 E. Goffman, The Presentation..., pp. 76-77. 234 E. Goffman, The Presentation..., pp. 97-98. 235
Per quanto riguarda invece il rapporto tra attore e pubblico, un altro dei termini introdotti da Goffman è la ―ribalta‖: «se prendiamo in considerazione una particolare rappresentazione è talvolta utile servirsi del termine ―ribalta‖ per indicare il luogo dove si svolge la rappresentazione […]. La rappresentazione di un individuo sulla ribalta può essere considerata come un tentativo per mostrare che la sua attività entro quel territorio segue certe norme. Queste sembrano riconducibili a due vaste categorie. La prima si riferisce al modo in cui l‘attore tratta il pubblico mentre è impegnato con questo in una conversazione o in uno scambio di gesti, sotitutivo della parola; talvolta possiamo riferirci alle norme di questa categoria con il termine ―cortesia‖. La seconda categoria si riferisce invece al modo in cui l‘attore si comporta quando può essere visto o udito dal pubblico, ma non è necessariamente impegnato a parlargli. Mi servirò del termine ―decoro‖ per riferirmi a questa seconda categoria di norme […]»236
.
La ribalta, essendo appunto il luogo della rappresentazione, è il fulcro dell‘incontro tra attore e pubblico. Pertanto, il comportamento dell‘attore deve essere estremamente attento, in quanto la tenuta della rappresentazione, e dunque della cornice, dipende proprio da come si struttura la sua interazione con il pubblico quando si trova sulla ribalta. Che si rivolga al pubblico direttamente o indirettamente, è fondamentale che l‘attore non vada ad incrinare la realtà della rappresentazione mentre si trova sulla ribalta. Dal lato opposto, abbiamo invece il retroscena: «nei confronti di una data rappresentazione il retroscena può essere definito come il luogo dove l‘impressione voluta dalla rappresentazione stessa è scientemente e sistematicamente negata. Le funzioni caratteristiche di tali luoghi sono naturalmente molte. È qui che viene faticosamente costruita la capacità di una rappresentazione a esprimere qualcosa che vada oltre la rappresentazione stessa; è qui che apertamente si creano illusioni e impressioni […]»237
. Al contrario della ribalta, dunque, il retroscena è il luogo dove la rappresentazione può essere negata, dove l‘individuo può isprimersi liberamente senza il timore di incrinare la realtà della sua rappresentazione. Questi due concetti, insieme, ci mostrano quanto Goffman tenda a sottolineare l‘importanza dell‘integrità della cornice e di ciò che si trova al suo interno: è proprio come nell‘opera d‘arte, basta una nota fuori posto per rompere l‘incantesimo. A differenza del quadro, però, all‘attore è concessa una scappatoia alle norme della rappresentazione: questo è il retroscena.
236 E. Goffman, The Presentation..., pp. 127-128. 237
A questi due spazi, Goffman ne aggiunge un terzo «che comprende tutti i luoghi all‘infuori di quelli già indicati: tale territorio può esser chiamato ―esterno‖. La nozione di un territorio esterno che non costituisce né retroscena né ribalta nei confronti di una rappresentazione particolare, è perfettamente compatibile con la nostra nozione di istituzioni sociali, poiché, se osserviamo la maggior parte degli edifici, vediamo che dentro ci sono delle stanze che regolarmente o temporaneamente sono usate come retroscena e ribalta, e che le mura perimetrali dell‘edificio isolano i due tipi di ambienti dal mondo esterno. Gli individui che si trovano al di fuori dell‘edificio possono essere chiamati ―estranei‖ […]. Il muro che divide il retroscena e la ribalta dall‘esterno ha ovviamente una funzione nella rappresentazione inscenata e rappresentata in questi territori, ma le decorazioni esterne del fabbricato devono essere guardate anche come