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Sé riflesso nel contesto familiare

3 Mead, tra limiti e modernità

3.5 Il ―me‖ e il sé riflesso: esperimenti e riscontri

3.5.2 Sé riflesso nel contesto familiare

Come abbiamo visto, la teoria del sé riflesso di Cooley si dimostra forte nel caso in cui l‘opinione percepita sia quella di un altro significativo per il soggetto in questione. Sarebbe dunque soltanto logico aspettarsi che il sé riflesso giochi un ruolo importante all‘interno di contesti intimi come, ad esempio, le famiglie. La questione, però, è più complessa di quanto possa sembrare in apparenza. Richard B. Felson ha condotto un esperimento proprio su un campione di famiglie, volto a scoprire se il modello proposto da Cooley e da chi ha seguito la sua teoria potesse essere ritenuto valido empiricamente. L‘esperimento è stato condotto su un campione di bambini, a cui è stato chiesto come si percepivano in determinati aspetti (quanto pensi di essere intelligente? Quanto pensi di essere bravo negli sport?), prima di chiedere quale pensavano che fosse l‘opinione dei genitori su quel particolare ambito. Una terza domanda, inoltre, chiedeva se davvero il bambino sapesse cosa il genitore pensava di lui. Il risultato dell‘esperimento è stato che: «dopotutto, le prove suggeriscono che, anche se i bambini sono influenzati dalle valutazioni riflesse, la normale concettualizzazione di questo processo è inadeguata. Secondo questa concettualizzazione, una persona assume il ruolo di un altro significativo. Una persona specifica comunica una valutazione, il bersaglio percepisce consciamente la valutazione e poi la interna. Queste prove, invece […] suggeriscono che le valutazioni riflesse sono influenzate più dagli altri generalizzati, cioè l‘atteggiamento dei gruppi […]. I bambini – e sospettiamo anche gli adulti – hanno un senso generale di come gli altri li vedono, ma non riescono solitamente a giudicare come sono visti differentemente da altri specifici»167.

167 «Onverall, the evidence suggests that, although children are affected by reflected appraisals, the usual conceptualization of this process is inadequate. According to that conceptualization, the person takes the role of significant others. A specific person communicates an appraisal, the target consciously perceives that appraisal, and then internalizes it. Instead, this evidence […] suggests that reflected appraisals are

La ricerca di Felson, dunque, sembra sminuire l‘effetto del sé riflesso di Cooley, portando prove a favore dell‘altro generalizzato di Mead; i risultati ottenuti lo portano infatti a dire che l‘individuo ha soltanto una concezione di come i gruppi lo percepiscono, e che è questa ad influenzare la sua concezione di sé. Questo sarebbe in contrasto con la teoria di Cooley, che dona una grande importanza al rapporto in questione, per cui non tutte le immagini riflesse che il sé riceve hanno un‘uguale importanza.

In contrasto con la ricerca di Felson troviamo lo studio di William L. Cook ed Emily M. Douglas168. Il loro studio, condotto sulle famiglie con almeno due figli, esplorava i rapporti interni alla famiglia attraverso domande riguardanti il concetto di sé e il proprio comportamento verso un certo membro della famiglia, il comportamento di questo membro della famiglia verso di sé e il giudizio percepito di quest‘ultimo membro della famiglia verso di sé. Anche in questo caso, lo scopo è quello di indagare un possibile legame tra la concezione di sé dell‘individuo e quella che viene percepita come proveniente dagli altri membri della famiglia. La ricerca di Cook e Douglas aveva anche un secondo obiettivo, cioè quello di verificare l‘ipotesi per cui i giudizi dei bambini su come i genitori li percepivano si sarebbero rivelati accurati. Nel nostro caso, siamo interessati alla prima ipotesi della ricerca, quella per cui ci sarebbe un collegamento tra concezione di sé e il modo in cui siamo visti dagli altri all‘interno della famiglia. I risultati ottenuti hanno mostrato una tendenza per i bambini ad avere una concezione di sé effettivamente legata alla percezione che avevano del giudizio dei genitori. Cook e Douglas, comunque, sottolineano che questo non esclude che anche l‘altro generalizzato giochi un ruolo importante nello sviluppo del sé, anzi. Queste due ricerche, dunque, ci offrono prospettive diverse su come la percezione di sé si forma nel bambino. Sembra che, in ogni caso, l‘altro generalizzato di Mead possa trovare conferma nel fatto che l‘opinione che il bambino (e forse anche l‘adulto, come ipotizzato da Felson) ha di sé è strettamente legata al modo in cui si sente percepito dal suo gruppo sociale. Il sé riflesso di Cooley trova invece una conferma in una delle due ricerche, ma non nell‘altra. A favore della teoria di Cooley, però, abbiamo anche la ricerca di Yeung e Martin che, sebbene fatta in un contesto ben diverso da quello familiare, ha testimoniato come influenced more by generalized others, that is, the attitudes of groups […]. Children – and aduls as well, we suspect – have a general sense of how others view them, but they cannot usually judge how they are viewed differently by specific others» in R. B. Felson, Parens and the Reflected Appraisal Process: A

Longitudinal Analysis, in Journal of Personality and Social Psychology, vol. 56, n° 6, 1989, p. 970.

168 W. L. Cook e E. M. Douglas, The Looking-Glass Self in Family Context: A Social Relation Analysis, in Journal of Family Psychology, vol. 12, n°3, 1998, pp. 299-309.

l‘opinione di sé tendesse a variare in modo forte in presenza di altre persone ritenute, per motivi diversi, significative. La nostra opinione è che la strada da battere potrebbe essere quella di un‘integrazione delle due teorie, nonostante le divergenze presentate, almeno su alcuni punti, da Mead e Cooley.