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Il sé come fatto sociale

2 Tra filosofia e psicologia sociale: il pensiero di G H Mead

2.2 La genesi del sé

2.2.1 Il sé come fatto sociale

L‘interesse di Mead per la psicologia sociale emerge esplicitamente nel saggio Social Psychology as Counterpart to Physiological Psycholgy (1909)63, dove l‘autore si confronta con alcune delle posizioni dominanti sul tema del sé e, in particolare, sul tema del sé sociale.

«Ripetendo i punti di vista che abbiamo notato, alcuni vedono nella coscienza sociale nient‘altro che uniformità in condotta e sentimento risultanti dall‘interazione fra uomini e donne, altri riconoscono una coscienza organizzata attraverso istinti sociali, altri altri ancora trovano nel mezzo della comunicazione e nel pensiero che dipende da esso un‘origine sociale per la coscienza riflessiva, altri ancora pensano che l‘aspetto sociale della natura umana sia il solo prodotto di un‘intelligenza già organizzata che risponde a impulsi sociali, mentre altri pensano che un‘intelligenza organizzata nella forma di un sé possa sorgere solo contro gli altri sé che devono esistere nella coscienza con la stessa immediatezza del sé del soggetto, infine altri affermano la necessità di riconoscere condizioni sociali nella genesi della volizione e del sé che si esprime nella volizione. È evidente che non possiamo assumere entrambe le posizioni. Non possiamo assumere che il sé sia contemporaneamente un prodotto ed un presupposto della coscienza umana, che la riflessione è sorta attraverso la coscienza sociale e che il contatto sociale è nato perché gli individui umani hanno idee e volontà da esprimere»64.

63 Social Psychology as Counterpart to Physiological Psychology, in Psychological Bullettin, 6 (1909), presente in Mead: A Reader.

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«To repeat the points of view we have noted, some see in social consciousness nothing but uniformities in conduct and feeling that result from the interaction of men and women, others recognize a consciousness that is organized through social instincts, others still find in the medium of communication and the thought that depends upon it, a social origin for reflective consciousness itself, still others find the social aspect of human nature to be only the product of an already organized intelligence responding to certain social impulses, while others find that an organized intelligence in the form of a self could arise only over against other selves that must exist in consciousness as immediately as the subject self, still others are content to recognize necessary social conditions in the genesis of volition and the self that expresses itself in volition. Now it is evident we cannot take both positions. We cannot assume that the self is both a product and a presuppoisition of human consciousness, that reflection has arisen through

Qui Mead ha appena ripercorso, in breve, le posizioni dei suoi contemporanei sul tema della psicologia sociale e, in particolare, sul rapporto esistente tra sé come fatto privato e sé sociale. In questa sede, mostra evidentemente il suo debito nei confronti di alcuni autori, che abbiamo già incontrato nel nostro percorso: vengono fatti i nomi di Royce, Baldwin, James e Cooley, tra gli altri. Tuttavia, è chiaro che Mead è ancora insoddisfatto da quanto sinora è stato detto sul tema del sé sociale: da qui l‘esigenza di tornare sul tema, per riprenderlo ed espanderlo. In altre parole, ci troviamo di fronte a quella che Dewey ha definito la haunting question di Mead, la domanda che avrebbe attraversato tutto il suo percorso di filosofo e psicologo.

Ora, facciamo un passo avanti per capire la posizione di Mead su questo argomento: «Il sé, proprio in quanto può essere oggetto a se stesso, è essenzialmente una struttura sociale, e sorge nell‘esperienza sociale. Dopo che un sé è sorto, esso in un certo senso fornisce a se stesso le proprie esperienze sociali, e in conseguenza di ciò è possibile concepire un sé perfettamente isolato. È invece impossibile concepire un sé che sorga fuori dall‘esperienza sociale»65

.

Questo breve passaggio ci fa già capire come, per Mead, la questione sia rovesciata rispetto al modo in cui è stata spesso affrontata in filosofia. Non ci troviamo di fronte ad un sé fatto e compiuto alla nascita che incontra altri sé lungo il suo percorso di crescita, idea che aveva dominato per lunga parte il pensiero occidentale. Pensiamo al forte contrasto che si presenta con le teorie contrattualistiche, dove l‘inizio della società è subordinato all‘incontro di individui che, proprio grazie alla consapevolezza di sé e dei propri bisogni, delle proprie forze e delle proprie debolezze, giungono a stipulare un contratto per permette di loro di vivere nella società. Ma pensiamo anche al punto di riferimento polemico che Mead, come gli altri pragmatisti, spesso utilizza: quel Cartesio che, per giustificare l‘esistenza degli altri, partiva innanzitutto dalla giustificazione della propria esistenza. L‘inversione qui operata, per quanto non senza precedenti, come abbiamo visto, è estremamente potente: l‘idea di un sé forte, definito, pieno viene letteralmente rovesciata. Ma se il sé non esiste fin dalla nascita, allora come viene a formarsi?

Mead cerca la risposta al di fuori del sé, negli altri. E per capirlo meglio, facciamo riferimento a Mente, Sé e Società, dove Mead afferma: «Il sé è qualcosa che ha un suo social consciousness and that social intercourse has arisen because human individuals had ideas and meanings to express» in Mead: A Reader, p. 16.

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sviluppo; non esiste alla nascita, ma viene sorgendo nel processo dell‘esperienza e dell‘attività sociale, cioè si sviluppa come risultato delle relazioni che l‘individuo ha con quel processo nella sua totalità e con gli altri individui all‘interno di esso»66.

Dunque, lo sviluppo dell‘individuo, del sé non sarebbe prima di tutto un fatto privato, ma un fatto eminentemente sociale: «Il sé […] è essenzialmente una struttura sociale, e sorge nell‘esperienza sociale»67

. Ancora: «Il sé non è qualcosa che in primo luogo esiste e poi entra in relazione con gli altri, ma è […] un mulinello nella corrente sociale e perciò sempre una parte della corrente»68.

Quest‘ultima definizione è particolarmente forte: il sé è un mulinello in una corrente, rappresenta soltanto una parte di un qualcosa di più grande e non può essere compreso, non può esistere al di fuori di questo contesto, che è un contesto sociale.

Adesso sappiamo che per Mead è la società a consentire la formazione del sé, è il rapporto con gli altri, con l‘altro che garantisce all‘individuo di poter esistere come tale. Dobbiamo però ancora esplorare i meccanismi attraverso cui questo accade.