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Una revisione di ―io‖ e ―me‖

3 Mead, tra limiti e modernità

3.2 Una revisione di ―io‖ e ―me‖

Precedenemente129, abbiamo sottolineato come ―Io‖ e ―Me‖ fossero due termini già utilizzati da William James, prima di essere ripresi da Mead in una nuova chiave di lettura. Tuttavia, la questione riguardante ―Io‖ e ―Me‖ presenta alcuni problemi a riguardo della definizione delle due istanze. Cook sottolinea130 come Mead dia effettivamente due versioni a riguardo. Riprendiamo la distinzione introdotta da James: nella sua teoria, ―Io‖ e ―Me‖ stanno a significare due modi diversi di vedere il sé, il primo come soggetto, il secondo come oggetto. «Mead abbraccia questa versione jamesiana (o ―soggetto vs. oggetto‖) della distinzione tra ―Io‖ e ―Me‖ in tre suoi articoli: ―The Definition of the Psychical‖ (1903), ―The Mechanism of Social Consciousness‖ (1912), e ―The Social Self‖ (1913). In questi saggi, egli utilizza la distinzione di James per dire che noi pensiamo alla relazione tra il nostro sé e la nostra esperienza autocosciente in due modi diversi. Da una parte, possiamo vedere il sé dell‘autocoscienza come un oggetto esperienziale che gioca un ruolo importante nel guidare la nostra condotta. Questo è l‘aspetto del sé che Mead intende indicare con ―Me‖. Dall‘altra parte, possiamo pensare il sé come soggetto a cui appare il ―me‖ dell‘autocoscienza. Questo è ciò che Mead ha in mente quando parla di ―io‖»131

. Per chiarire l‘opinione di Mead in questo frangente, vogliamo utilizzare la spiegazione data da Cook: «la chiave per capire ciò che Mead sta dicendo è tenere a mente la sua

129 Paragrafo 1.2.3. 130

G. A. Cook, Resolving…, pp. 97-99.

131 «Mead embraces this Jamesian (or ―subject vs. object‖) version of the ―I‖ and ―me‖ distinction in three of his early published essays: ―The Definition of the Psychical‖ (1903), ―The Mechanism of Soical Consciousness‖ (1912), and ―The Social Self‖ (1913). In these essays he uses James‘ distinction to make the point that we can think of the relationship between our self and our self-conscious experience in two different ways. On the one hand, we can regard the self of self-consciousness as an experiential object that plays an important role in guiding much of our conduct. This is the aspect of the self that Mead intends to indicate by the term ―me‖. On the other hand, we can think of the self as the subject to which the ―me‖ of self-consciousness appears. This subject-self is what Mead has in mind when he speaks of the ―I‖», in G. A. Cook, Resolving…, p. 98.

teoria pragmatista o funzionalista degli oggetti esperienziali. Un oggetto esperienziale, per lui, è una rappresentazione percettiva che nasce come fase di un comportamento in corso. E questa rappresentazione consiste sempre di un qualche stimolo a cui si aggiungono le risposte che interpretano questo contenuto infondendogli un significato o un‘immagine presi dall‘esperienza passata. Qualche schema continuativo di risposta, cioè, è sempre richiesto per l‘occorrenza di un oggetto esperito. E quando l‘oggetto esperito è il ―me‖ dell‘esperienza autocosciente, questo schema di risposta è ciò che funziona come ―io‖, rispetto a cui quel ―me‖ fa la sua comparsa»132

.

Da una parte, dunque, abbiamo una versione di ―io‖ e ―me‖ sostanzialmente in linea con quella jamesiana che abbiamo introdotto all‘inizio del nostro elaborato; dall‘altra, abbiamo una versione che Mead elabora in autonomia, e che vede l‘―io‖ come il centro delle pulsioni, dell‘immediatezza e dell‘originalità dell‘individuo, mentre vede il ―me‖ come il centro dei comportamenti sociali acquisiti. Il problema è che queste due versioni presentano degli aspetti difficilmente conciliabili tra loro, come riportato da Cook.

Abbiamo notato come in certe occasioni Mead sembri dire che l‘―io‖ è conoscibile soltanto dopo che ha compiuto la sua azione, di fatto comparendo come un ―me‖. Si tratta di una definizione in linea con quanto sostenuto da James. Nella seconda versione, quella del ―me‖ sociale, diventa più difficile spiegare perché una delle due istanze viene messa in secondo piano e viene conosciuta poi solamente quando diventa parte della seconda. Cook aggiunge poi un altro punto critico, dicendo: «ricordiamo come questa visione degli oggetti esperienziali entri nella distinzione tra ―io‖ e ―me‖: Mead lì tratta l‘―io‖ non solo come un soggetto jamesiano, ma anche come unn processo continuativo di risposta che in parte costruisce il ―me‖ o sé-oggetto. Ora, aggiungiamo a questo l‘opinione di Mead per cui il ―me‖ è un oggetto sociale, un oggetto le cui significative proprietà derivano da risposte o comportamenti sociali importanti nella nostra condotta attraverso il meccanismo comportamentale di ―assumere l‘atteggiamento dell‘altro‖. Queste due affermazioni rivelano che la teoria di Mead concernente la costruzione del sé come oggetto sociale ci richiede di localizzare nell‘―io‖ tutte quelle risposte e

132 «The key to making sense of what Mead is saying here is to bear in mind his pragmatic or funcionalist theory of experiential objects. An experienced object, according to this view, is a perceptual presentation that arises as a phase of ongoing conduct. And this presentation always consists of some stimulus content plus the responses that interpret this content by infusing it with meaning or imagery drawn from past experience. Some ongoing pattern of response, in other words, is always required for the occurrence of an experienced object. And when the experienced object involved is the ―me‖ of self-conscious experience, this pattern of response is what functions as the ―I‖ with respect to which that ―me‖ makes its appearance», ivi.

attitudini sociali acquisite coinvolte nella costruzione del ―me‖ sociale dell‘esperienza auto-cosciente. In breve, se accettiamo la versione funzionalista di Mead degli oggetti esperienziali, allora non possiamo attribuire una struttura sociale solo o principalmente al ―me‖, considerando l‘―io‖ come una semplice risposta biologica, impulsiva o non- sociale a questa struttura sociale»133.

Per questi motivi, è difficile tenere insieme le due definizioni date di ―io‖ e ―me‖ da Mead; si tratta di un problema che rimane senza una soluzione effettiva, perché se da una parte è difficile conciliare le due visioni, dall‘altra è allo stesso modo complesso privilegiarne una. Sicuramente, la versione del ―me‖ sociale è quella che ha incontrato una maggiore fortuna dopo la morte di Mead; a ragione, dato che si tratta di uno degli aspetti più interessanti ed originali del suo pensiero, contrariamente alla prima formulazione di ―io‖ e ―me‖, ereditata da James. Cook propone134

di smettere di utilizzare ―io‖ e ―me‖ per indicare gli aspetti socialmente non-strutturati e socialmente strutturati del sé, in quanto queste idee possono essere indicate con altri termini presi dall‘ampio vocabolario di Mead. Si tratta di una proposta da tenere in considerazione per evitare confusione, soprattutto tra gli studiosi dell‘opera di Mead nel suo intero. Non ci sentiamo tuttavia di appoggiare decisamente questa opzione: dopotutto, la scelta di utilizzare quei due termini è imputabile allo stesso Mead, e sebbene questa scelta possa creare difficoltà e contraddizioni con quanto egli ha scritto in altre opere, modificare la sua terminologia sarebbe comunque un atto da ponderare con estrema attenzione.

Tuttavia, per Cook non sono solamente le contraddizioni con gli scritti antecedenti di Mead a creare problemi quando si parla di ―io‖ e ―me‖. «Quello che Mead dovrebbe dire, vista la spinta del suo pensiero socio-psicologico, e ciò che la sua seconda definizione della distinzione tra ―io‖ e ―me‖ gli impedisce di dire consistentemente e bene, è questo: le nostre personalità hanno il loro fondamento in un insieme originale di tendenze biologiche e sociali. Ma queste tendenze si compiono nelle nostre personalità

133 «Let us recall how this view of experiential objects enters into Mead‘s earlier way of drawing the ―i‖ and ―me‖ distinction: he there treats the ―I‖ not only as a Jamesian subject but as an ongoing process of response that in part constructs the ―m‖ or object-self. Now add to this Mead‘s view that the ―me‖ is a social object, an object whose meaningful properties derive from social responses or attitudes imported into our conduct through the behavioral mechanism of ―taking the attitude of the other‖. These two claims reveal that Mead‘s theory concerning the construction of the self as a social object requires us to locate in the ―I‖ all those acquired social responses and attitudes involved in the construction of the social ―me‖ of self-conscious experience. In short, if we accept Mead‘s funcionalist view of experiential objects, then we cannot attribute social structure only or primarily to the ―me‖, while regarding the ―I‖ as some kind of merely biological, impulsive or nonsocial response to this social structure», in G. A. Cook, Resolving..., p. 100.

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solo attraverso un processo di espressione in cui acquisiscono strutture sociali complesse. Le nostre personalità possono non essere armoniose e coerenti; possono contenere, e solitamente lo fanno, tensioni tra differenti strutture sociali o schemi di risposta sociale. Bisogna aspettarselo visto che i nostri sé o le nostre personalità riflettono i processi sociali in cui sorgono. Ma le strutture sociali vanno fino in fondo alla nostra personalità. Quando rispondiamo ad altri o a noi stessi, le nostre risposte quasi sempre mostrano qualche tipo di struttura sociale […]. La distinzione tra un ―me‖ socialmente strutturato ed un ―io‖ che sembra non avere alcuna struttura sociale acquisita porta Mead ad un indebito dualismo nel modo di pensare la relazione tra la struttura sociale e la condotta dell‘individuo umano»135.

Su questo, condividiamo pienamente l‘opinione di Cook. Il rischio di presentare un dualismo troppo forte è concreto. Sembra quasi che Mead, temendo di far scomparire l‘originalità individuale appiattendo la coscienza privata sul fattore sociale, abbia voluto garantire l‘autonomia dell‘‖io‖ in modo fin troppo forte. L‘individuo è fatto di tendenze sociali e tendenze biologiche che, con il suo sviluppo, hanno formato delle strutture sociali complesse. È difficile pensare a due poli contrapposti: un ―me‖ che rappresenta tutte le pulsioni sociali ed un ―io‖ che, invece, rappresenta l‘originalità dell‘individuo. Pensiamo, con Cook, che sia possibile mantenere l‘originalità dell‘individuo pur ammettendo che neanche l‘―io‖ può dirsi libero dalle strutture sociali, almeno in qualche loro forma. Dunque, per quanto non ci sentiamo nella posizione di accogliere completamente la revisione proposta da Cook, che prevede di non utilizzare i termini ―io‖ e ―me‖ nel secondo senso in cui Mead li ha intesi nel corso della sua carriera, siamo d‘accordo che una lettura critica di Mead debba tenere comunque in considerazione il cambiamento di prospettiva dell‘autore e, soprattutto, il suo limite nell‘andare a delineare un dualismo fin troppo potente tra la componente individuale dell‘individuo e quella sociale.

135 «What Mead should say here, given the basic thrust of his social psychological theorizing, and what his second way of making the ―I‖ and the ―me‖ distinction prevents him from saying consistently and well, is this: our personalities have their foundation in an original set of biological and social tendencies. But these tendencies come to fruition only through a process of expression in which they acquire complex social structures. Our personalities may not be completely harmonious or coherent; they may and usually do contain tensions between different social structures or patterns of social response. This is only to be expected since our selves or personalities reflect the social processes within which they arise. But social structures go all the way down in our personalities. When we respond to others or to ourselves, our responses almost always exhibit some kind of social structure […]. The distinction between a socially structured ―me‖ and an ―I‖ that seems to have no inherent or acquired social structure forces Mead into an unduly dualistic way of thinking about the relation between social structure and the conduct of the human individual», in G. A. Cook, Resolving..., p. 101.