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425 Così la Relazione al d.lgs 61/2002, cit.

Nel documento Cause di non punibilità e reati economici (pagine 139-141)

426 Cfr. A. ALESSANDRI, Diritto penale e attività economiche, cit., p. 310.

427 È un dibattito risalente quello concernente l’opportunità o meno di introdurre su vasta scala, in ambito penale, il

risarcimento del danno quale causa di esclusione della punibilità. V., per i termini generali della questione, D. FONDAROLI, Illecito penale e riparazione del danno, Milano, Giuffrè, 1999, passim. Cfr. anche, sul tema, F. BRICOLA, La riscoperta delle “pene private” nell’ottica del penalista, in Foro it., 1985, V, p. 1 ss.; M. ROMANO, Risarcimento del danno da reato, diritto civile, diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen.,1993, p. 865 ss.; C. ROXIN, Risarcimento del danno e fini della pena, in Riv. it. dir. proc. pen., 1987, p. 3 ss.

Nell’ambito del diritto penale dell’economia, ad eccezione delle ipotesi ricollegate a provvedimenti di sanatoria (cc.dd. condoni), non ci si era spinti fino al punto di attribuire efficacia estintiva ad una semplice condotta antagonista al reato. Ad esempio, nella richiamata legge delega n. 205/2000 per la riorganizzazione del sistema penale tributario era stata inserita la possibilità di prevedere, in forma stabile, «meccanismi premiali idonei a favorire il risarcimento del danno», ma – come visto – il delegato si era limitato ad introdurre solo una circostanza attenuante. Solamente da ultimo, con la recente novella del 2015, si è effettivamente tentata la strada del “ponte d’oro” ed il ravvedimento operoso del contribuente vale, ora, ad escludere la punibilità nelle esaminate ipotesi di cui ai nuovi artt. 13 e 13 bis d.lgs. 74/2000 (v.

supra Cap. I, par. 2).

In realtà, la disciplina della responsabilità degli enti, di cui al d.lgs. 231/2001, è interamente ispirata ad una logica che si fonda su un sistema di “premi”, consistente – lo preciseremo – in attività riparatorie che influiscono direttamente, ad esempio, sull’applicazione delle sanzioni interdittive. Ma questo è un ambito di responsabilità, almeno formalmente, amministrativa.

Con la riforma della materia penale societaria, coerentemente al disegno di privatizzazione della tutela, sono, invece, divenuti numerosi i casi nei quali comportamenti successivi al fatto, e di segno e contenuto opposto alla condotta criminosa, producono l’estinzione del reato.

Si consideri, innanzitutto, la fattispecie dell’illegale ripartizione di utili e riserve, disciplinata dall’art. 2627 c.c. e punita, blandamente, in una cornice contravvenzionale; eppure, ad integrare l’illecito è una condotta che tradizionalmente429 produce una lesione del capitale sociale e delle riserve. Nondimeno, il legislatore del 2002 ha disposto che il reato è estinto se gli amministratori restituiscono gli utili o ricostituiscono le riserve prima dell’approvazione del bilancio.

Dunque, dalla previsione normativa scompare ogni preoccupazione di salvaguardare la correttezza dell’operato degli amministratori, ai quali, di fatto, si consente di prendere a prestito utili o riserve e ripartirli ai soci (magari si tratta degli stessi amministratori), ed evitare la punibilità rimettendo successivamente nelle casse sociali quanto indebitamente sottratto. Si potrebbe facilmente immaginare – come ben sottolineato430 – «una perversa reiterazione di

comportamenti di questo genere, con l’unica accortezza di una puntuale restituzione prima dell’approvazione del bilancio».

Ed infatti, normalmente, ciò che si contesta alle pratiche ripristinatorie cui è collegata l’estinzione del reato è di permettere all’agente di “monetizzare” il rischio da reato, assicurandosi un vantaggio “certo” (derivante dall’illecito), che se scoperto verrebbe comunque mantenuto a fronte del pagamento di un prezzo (risarcimento, oblazione, sanatoria in via amministrativa, etc.), annullando nel contempo qualsiasi efficacia deterrente della pena431.

Altra ipotesi è quella dell’art. 2628 c.c., il quale stabilisce la rilevanza penale di una serie di

operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante, che sostanzialmente

costituiscono violazioni di obblighi civilistici (come indica la formula «fuori dai casi consentiti dalla legge»). La penalizzazione dell’inosservanza della disciplina civilistica viene meno – il reato è estinto – se il capitale sociale e le riserve, anche qui, sono «ricostituiti prima del termine previsto per l’approvazione del bilancio».

Lo stesso meccanismo è ripreso in ordine alle figure che riguardano le operazioni in

pregiudizio dei creditori, previste dall’art. 2629 c.c., nel quale, essendo inserito il requisito del

                                                                                                               

429 V., per tutti, A. CRESPI, L’illegale ripartizione di utili, II ed., Milano, Giuffrè, 1986. 430 A. ALESSANDRI, ult. op. cit., p. 311.

danno come elemento di fattispecie e, dunque, come diretta e necessaria conseguenza della condotta tipica realizzata in «violazione delle disposizioni di legge a tutela dei creditori», non solo è contemplata la querela della persona offesa (con tutti i possibili sviluppi negoziali con effetti estintivi già descritti a proposito del falso in bilancio), ma addirittura si dispone che il risarcimento del danno prima del giudizio estingue il reato.

In termini analoghi, infine, si atteggia l’indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei

liquidatori (art. 2633 c.c.), che deve cagionare – anch’essa – un danno ai creditori. Alla

previsione della querela, pure in questo caso, si affianca quella del risarcimento del danno con efficacia estintiva.

È evidente come l’introduzione di tale ulteriore strumento di neutralizzazione della punibilità, stavolta operante a posteriori rispetto alla commissione del reato, risulti perfettamente in linea con l’impostazione rigidamente individualistica ed economicistica della attuale disciplina penale societaria e con la conseguente trasformazione delle fattispecie da reati di pericolo in «reati con evento di danno del bene sociale»432. In tutti i casi appena considerati il nucleo fondamentale delle incriminazioni si colloca esclusivamente in uno squilibrio di posizioni patrimoniali, che possono essere ripristinate anche successivamente, o nell’ambito della negoziabilità tipica della querela, oppure in quello delle restituzioni e del risarcimento. Ciò che per il diritto comune semmai rileva a titolo di circostanza attenuante delle conseguenze sanzionatorie (art. 62, n. 6, c.p.), qui assurge al rango di causa di estinzione del reato.

Del resto, in generale, la previsione di meccanismi di questo tipo si inquadra in una linea di politica criminale orientata ad una funzione di tutela ulteriore e rafforzata, fin dove è possibile oltre la consumazione, del bene già protetto in via principale dalla norma incriminatrice433 e

viene, in certa parte della dottrina434, ritenuta anche nella materia de qua una condivisibile

applicazione del principio di premialità in diritto penale435.

Il collegamento delle fattispecie premiali con il piano dell’offesa agli interessi tutelati rispecchia, dunque, fedelmente la funzione che le condotte post factum sono chiamate a svolgere: esse si muovono sullo stesso piano delle esigenze di protezione che le norme incriminatrici intendono perseguire (nel nostro caso, la condotta riparatoria di restituzione o risarcitoria ha comunque natura patrimoniale, come il capitale sociale) ed operano nel senso di eliminare o attenuare la lesione al bene protetto436.

Notevole importanza viene, allora, attribuita alle soglie temporali entro le quali trovano applicazione le misure ripristinatorie (approvazione del bilancio e celebrazione del giudizio, nelle ipotesi in parola). Si pone in evidenza che le stesse, da un lato, «imponendo che la condotta antagonista sia tenuta prima di un certo termine, assicurano una reintegrazione «utile» dell’offesa»437 e, dall’altro, mantengono le cause di non punibilità ben ancorate ad «un sistema in cui la prevenzione dell’offesa mediante la «minaccia penale» resta il momento fondamentale»438.

                                                                                                               

Nel documento Cause di non punibilità e reati economici (pagine 139-141)