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L’elusione fiscale

64 Sul punto, S CAVALLINI, op cit., p 12 s.

3. Le (nuove) ipotesi di irrilevanza penale

3.2. L’elusione fiscale

Che l’intervento penalistico in materia tributaria – come, d’altra parte, e non sempre in maniera del tutto condivisibile, nell’intero settore economico – stia conoscendo un significativo arretramento, prendendosi coscienza (opportunamente, in questo contesto) dell’impossibilità dello stesso di costituire in ogni caso un efficiente (e necessario) strumento di protezione degli interessi in rilievo, è confermato dalla recente introduzione di una ulteriore ipotesi di esclusione della punibilità (rectius, di irrilevanza penale). Essa è inserita nell’ambito della nuova disciplina dell’elusione fiscale prevista dal d.lgs. 5 agosto 2015 n. 128, che, all’art. 1, in attuazione dell’art. 5 della citata legge delega 11 marzo 2014, n. 23, interviene sulla vexata quaestio della rilevanza penale dell’abuso del diritto (tributario)75, inserendo un nuovo articolo 10 bis nello Statuto del contribuente (legge 27 luglio 2000, n. 212), con il quale viene attuata una radicale ristrutturazione della normativa previgente76.

Vi è, per un verso, l’unificazione, fortemente influenzata dalla raccomandazione della Commissione europea 2012/772/UE sulla pianificazione fiscale aggressiva, delle nozioni di abuso del diritto ed elusione fiscale, che vengono fuse in un’unica definizione (art. 10 bis, comma 1)77, con la coerente abrogazione del farraginoso articolo 37 bis del d.p.r. n. 600/73, foriero di difficoltà interpretative certamente deleterie, in primis, per le ragioni di certezza del quadro normativo operante in materia di elusione, oltre che, naturalmente, – da un diverso e non

                                                                                                               

75 In generale sull’argomento, F. MUCCIARELLI, Abuso del diritto, elusione fiscale e fattispecie incriminatrici in G. MAISTO

(a cura di), Elusione ed abuso del diritto tributario, Milano, Giuffrè, 2009, p. 421 ss.; F. TESAURO, Elusione e abuso nel diritto tributario italiano, in Dir. prat. trib., 2012, vol. 8, fasc. 4, parte I, p. 683 ss.; G. CORASANITI, Contrasto all’elusione e all’abuso del diritto nell’ordinamento tributario, in Obbligazioni e contratti, 2012, vol. 8, fasc. 5, p. 325 ss.; E.M. SIMONELLI - F. FERINI, L’abuso del diritto: da principio immanente nell'ordinamento tributario a fattispecie penalmente ir- rilevante, in Riv. dott. comm., 2013, vol. 64, fasc. 1, p. 135 ss. Nella giurisprudenza più recente, in ordine all’applicabilità dell’istituto de quo in materia tributaria, v. Cass., sez. trib. civ., n. 3242/2013; Cass., sez, trib. civ., n. 4901/2013. Con specifico riferimento alla rilevanza penale dell’abuso del diritto (tributario), a partire dalla nota sentenza Dolce e Gabbana (Cass. pen., sez. II, 22/11/2011 n. 7739) si era ormai consolidato l’orientamento favorevole al suo totale accoglimento: la violazione penalmente rilevante della normativa fiscale si è ritenuta realizzabile, non solo per il tramite delle fattispecie penali previste dagli artt. 2, 3 , 4 d.lgs. n. 74/2000, ma anche attraverso la conclusione di atti negoziali, con l’utilizzo di scelte imprenditoriali di per sé conformi ai poteri e ai diritti del contribuente e dell’imprenditore, ma che in ragione delle finalità in concreto perseguite (risparmio fiscale o integrale omesso versamento dell’imposta) realizzano una condotta vietata. In senso conforme, cfr. Cass. pen., sez. III, 6 marzo 2013, n. 19100, Pres. Teresi, Rel. Amoresano; Cass. pen., sez. V, 23/05/2013, n. 36893 (Della Gatta); Cass. pen., sez. IV, 20 novembre 2014 (Bellavista Caltagirone). Per la tesi contraria, tra le altre, Cass. pen. sez. III, n. 14486/2009.

76 V., per i primissimi commenti, F. DONELLI, Irrilevanza penale dell’abuso del diritto tributario: entra in vigore l’art. 10-

bis dello Statuto del contribuente, in www.penalecontemporaneo.it, 1 ottobre 2015; F. MUCCIARELLI, Abuso del diritto e reati tributari: la Cassazione fissa limiti e ambiti applicativi, in www.penalecontemporaneo.it, 9 ottobre 2015.

77 Nozione, peraltro, già fatta propria dalla giurisprudenza: cfr., in particolare, Sezioni unite civili, 23 dicembre 2008 n.

30055, Min. finanze c. Peruzzi s.p.a., secondo cui, in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici.

meno importante punto di vista – per le decisioni di investimento ed, in generale, di crescita del sistema economico (art. 1, comma 2, d.lgs. n. 128/2015, che reindirizza tutti i previgenti rinvii in favore della disposizione abrogata al nuovo art. 10 bis). Ai sensi dell’attuale disciplina, «Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti78. Tali

operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni». In ogni caso – prosegue l’art. 10 bis, al comma 3, in una prospettiva di chiara preminenza degli interessi economici del contribuente e, dunque, del sistema produttivo nel suo complesso – «non si considerano abusive […] le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente».

Per altro verso, e per quello che qui più interessa, si inserisce la previsione espressa di

irrilevanza penale delle condotte abusive, che potranno essere sanzionate solo

amministrativamente (art. 10 bis, comma 13): «Le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta ferma l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie».

Dunque, alla luce della nuova disciplina, assume un’importanza fondamentale, e certamente maggiore rispetto a quella che rivestiva nell’ambito del risalente dibattito in materia di elusione/abuso del diritto (attestatosi, negli ultimi anni, sul totale riconoscimento della loro sanzionabilità in sede penale79), il problema della distinzione tra elusione ed evasione, ossia –

più precisamente – quello concernente la necessità di decidere se una condotta integratrice di una figura di abuso/elusione sia altresì riportabile ad una delle figure d’incriminazione contemplate dalla normativa penal-tributaria. Diventa, infatti, cruciale determinare con precisione massima il contenuto e i limiti di tali nozioni: sancita l’irrilevanza penale dei comportamenti elusivi, ciò significa individuare in maniera appropriata ed adeguata i criteri selettivi idonei per stabilire quali condotte siano qualificabili come abusive del diritto e, pertanto, in osservanza del disposto dell’art. 10 bis l. 212/2000, non costitutive di reato.

A tal proposito, dà delle direttive certamente utili per interpretare la nuova normativa la Corte di Cassazione, già intervenuta sull’argomento con riferimento, nel caso specifico, ad un’ipotesi di elusione – che considera appunto penalmente irrilevante alla stregua dell’attuale disciplina80 – consistente in una complessa operazione finanziaria, articolata in una serie di

contratti di prestito titoli e di correlata scommessa sui dividendi, che aveva permesso l’esposizione nella dichiarazione dei redditi di elementi passivi fittizi81.

                                                                                                               

78 «Ai fini del comma 1 si considerano: a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro

collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato; b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario» (art. 10 bis, comma 2).

79 V. nt. 75.

80 Quanto all’efficacia temporale delle nuove norme, la Suprema Corte chiarisce, infatti, che le stesse si applicano «oltre che

per le nuove operazioni abusive poste in essere dalla data del primo ottobre 2015, anche per quelle poste in essere prima di tale data» purché «prima della predetta data non sia stato notificato il relativo atto impositivo per evitare che gli atti impositivi già notificati siano posti nel nulla».

81 Cass., Sez. III pen., 1 ottobre 2015 (dep. 7 ottobre 2015), n. 40272, Pres. Squassoni, Est. Scarcella, imp. M.A.V. A

Il primo passo della ricostruzione operata dalla Consulta muove dalla premessa secondo cui in base al «nuovo art. 10 bis (...) l’abuso del diritto può essere configurato solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di disposizioni del d.lgs. n. 74 del 2000, ovvero la violazione di altre disposizioni» (il dato ermeneutico si ricava immediatamente dal comma 12 del citato art. 10 bis, che funge da condizione negativa per la configurabilità dell’abuso). In altri termini, stando all’art. 5 della legge delega (cui l’art. 10 bis dà attuazione), l’abuso medesimo «postula l’assenza, nel comportamento elusivo del contribuente, di tratti riconducibili ai paradigmi, penalmente rilevanti, della simulazione, della falsità o, più in generale, della fraudolenza». Ciò, come correttamente osserva la Corte stessa,

«imprime alla disciplina dell’abuso caratteri di residualità», rimanendo «impregiudicata la

possibilità di ravvisare illeciti penali – sempre, naturalmente, che ne sussistano i requisiti – nelle operazioni contrastanti con disposizioni specifiche che perseguano finalità antielusive (...). Parimenti rimane salva la possibilità di ritenere, nei congrui casi che (...) operazioni qualificate in precedenza dalla giurisprudenza come semplicemente elusive integrino ipotesi di vera e propria evasione».

Ebbene, è di certo facilmente riconoscibile l’ancoraggio del percorso argomentativo appena tracciato al canone della legalità: perché una condotta sia penalmente rilevante occorre che la stessa sia sussumibile sotto una figura d’incriminazione. E alla definizione della tipicità contribuisce ora anche l’art. 10 bis della l. 212/2000, che ridisegna per sottrazione le fattispecie di reato, escludendo dal loro perimetro applicativo i comportamenti rientranti nella nozione di abuso del diritto.

Sicché, coerentemente con il principio informatore dettato dall’art. 8 della legge delega n. 23/20014 (per il quale, lo abbiamo già in precedenza sottolineato, la reazione penale deve essere riservata soltanto ai «comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all’utilizzo della documentazione falsa»), dovranno considerarsi abusive – e quindi estranee al rilievo penale (ma passibili di sanzione amministrativa) – le condotte che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, siano prive di sostanza economica e volte essenzialmente alla realizzazione di un vantaggio fiscale indebito. Non si considerano, in ogni caso, abusive, escludendosene perciò la sanzionabilità assoluta, le operazioni di pura convenienza fiscale, ossia quelle giustificate dalle «non marginali ragioni extrafiscali» funzionali alla crescita dell’attività professionale del contribuente cui la norma espressamente si riferisce e che, di fatto, risultano accertabili, secondo le indicazioni della stessa Corte di Cassazione, sulla base della loro intrinseca valenza rispetto al compimento dell’operazione di cui sindaca l’abusività e, dunque, valutando che quella stessa operazione non sarebbe stata posta in essere in loro assenza. Chiare, evidentemente, le ragioni da parte del legislatore: continuare nel senso della massima razionalizzazione della materia penale tributaria, privilegiando il soddisfacimento delle esigenze di semplificazione, trasparenza e crescita del sistema fiscale, in un’ottica, di certo condivisile, di potenziamento della sanzione amministrativa, sicuramente più pronta e più celere – lo abbiamo già sottolineato – rispetto a quella propriamente penale, e dunque più efficace anche sotto il profilo della prevenzione, a fronte di comportamenti scarsamente significativi dal punto di vista della consistenza economica e, perciò, privi di una concreta idoneità offensiva della pretesa erariale. Nonché, in piena rispondenza ad una politica di palese tolleranza delle manovre contabili dirette alla ricerca del vantaggio fiscale “un pò indebito” – terreno sdrucciolevole per molte società “esterovestite” – ma comunque collegate ad obiettivi di rilancio economico.