• Non ci sono risultati.

La sanzione amministrativa

Nel documento Cause di non punibilità e reati economici (pagine 123-125)

324 A PERINI, op cit., p 7 s.

7. La sanzione amministrativa

La previsione, in ordine ai casi di falsità che non raggiungevano la rilevanza stabilita, di un illecito amministrativo costruito attraverso l’inserimento di una sanzione amministrativa che l’ordinamento penale non conosce per le persone fisiche, ossia le quote, non appare un’opzione di politica criminale particolarmente felice. Un ulteriore obiettivo mancato da parte della legge del 2005, ammesso che l’intento della “controriforma” sia stato davvero quello di conferire al(l’allora) sistema punitivo delle falsità in comunicazioni sociali un’adeguatezza repressiva consona alle tipologie di illeciti in considerazione, e rimediare alla pressoché totale inapplicabilità degli stessi.

In particolare, era sancita (art. 2621, comma 5, e art. 2622, comma 9, c.c.) l’irrogazione della sanzione pecuniaria da dieci a cento quote e dell’interdizione, da sei mesi a tre anni, dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, dall’esercizio dell’ufficio di amministratore, sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonché da ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica o dell’impresa.

Da premettersi che non si pone in discussione in astratto la possibilità di ricorrere alla sanzione amministrativa per punire ipotesi illecite la cui consistenza non raggiunge un sufficiente livello di significatività che possa assumere rilevanza dal punto di vista del diritto penale. È noto, infatti, che la sanzione amministrativa svolge oggi un ruolo importante nella prevenzione degli illeciti economici369; si pensi al rigoroso sistema punitivo, di natura amministrativa, che la medesima l. 62/2005 ha previsto nel settore degli abusi di mercato, aumentando notevolmente le sanzioni amministrative disciplinate nel t.u.b. e nel t.u.f. e conferendo ad esse una chiara funzione generalpreventiva, tipica degli scopi della pena in senso stretto370. A ciò si aggiunga che, come già sottolineato a proposito dei reati fiscali sotto soglia, sul piano dell’effettività della sanzione, l’illecito amministrativo presenta un livello di certezza maggiore rispetto alla sanzione penale, soprattutto quando la stessa è bagattellare. Tuttavia, riguardo alle fattispecie in analisi, comunque basate sulla falsità come pregnante disvalore di condotta, qualche dubbio in più sulla opportunità di una scelta del genere è legittimo, anche considerando che l’organo deputato ad infliggere le sanzioni amministrative è il Prefetto, con tutti i problemi di raccordo tra autorità giudiziaria ed amministrativa371.

In realtà, l’individuazione dell’organo materialmente competente ad irrogare la sanzione amministrativa nelle ipotesi di falso in bilancio che non raggiungevano le soglie è stata molto discussa (con pericolose ricadute specialmente per le temute sanzioni interdittive), dal momento che appariva necessario differenziare le soluzioni a seconda del tipo di società. Per le quotate si è affermato essere competente la Consob372. Per le società non quotate (salvi i casi di

                                                                                                               

368 Così A. ALESSANDRI, Diritto penale e attività economiche, cit., p. 301.

369 R. ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell’economia, cit., p. 175, che a sua volta richiama C.E. PALIERO, La sanzione

amministrativa coma moderno strumento di lotta alla criminalità economica, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1993, p. 1021 ss.

370 In merito, cfr. E.M. AMBROSETTI, E. MEZZETTI, M. RONCO, op. cit., p. 110. 371 V., a proposito, S. SEMINARA, Nuovi illeciti penali, cit., p. 551.

competenze specifiche), in assenza di una normativa volta ad individuare un organo specificatamente deputato a comminarla, si riteneva addirittura impossibile applicare la sanzione373.

Al di là di quest’ultimo profilo, ciò che maggiormente lascia perplessi è la cattiva tecnica di legislazione impiegata dal legislatore del 2005, per quanto concerne la disciplina della responsabilità amministrativa. Come anticipato, l’ordinamento penale conosce le quote rispetto alle pene sostitutive (art. 53, l. 689/1981, come riformulato nel 2003374); le conosce ovviamente nei confronti delle persone giuridiche, con una analitica disciplina (artt. 10 e ss. d.lgs. 231/2001) che tiene conto espressamente delle caratteristiche tipiche dell’ente, con indici di grandezze economiche ad esso commisurate, e le prevede come conseguenza della commissione di un reato, e non di un mero illecito amministrativo375. Le prime sono specificatamente dettate per

quell’ambito, dal quale, in assenza di un’indicazione normativa (la medesima legge, all’art. 2, sancisce esplicitamente il limite del divieto di analogia376), non possono essere esportate; le

seconde sono inutilizzabili per le persone fisiche, se non in palese contrasto con il principio di tassatività.

Dunque, a prescindere dalla violazione del principio di uguaglianza, insita nella previsione di sanzioni di pari entità per fatti, disciplinati rispettivamente dai vecchi artt. 2621 e 2622 c.c., di diversa gravità, che pure avrebbe potuto configurare una illegittimità costituzionale delle norme per irragionevolezza377, il vero vulnus della disciplina in parola era la sua totale inapplicabilità, non avendo il legislatore previsto alcun parametro di riferimento cui commisurare il valore della quota specificatamente per la persona fisica.

Se allora non risultava applicabile alcuna sanzione principale, era solo teoricamente aperta la possibilità di comminare sanzioni interdittive; ma non si riesce davvero ad immaginare una sanzione accessoria applicata in assenza di quella principale fuori dei casi espressamente previsti.

Il quinto comma dell’art. 2621 c.c., al pari del nono dell’art. 2622 c.c., era, in sostanza, da «considerare come non scritto»378. Si trattava di illeciti ritenuti «totalmente svincolati da

qualsiasi logica di sistema»379, figli di una riforma “di facciata” che, da un lato, non ha voluto

rinunciare al meccanismo delle soglie di rilevanza, ma, dall’altro, per dimostrare una maggiore attenzione, rispetto al passato, nei confronti delle esigenze di protezione dei fondamentali interessi sottesi alle ipotesi di false comunicazioni sociali, ha ostentato una parvenza di tutela, senza riuscire, naturalmente, a delineare un sistema di responsabilità che potesse realmente assicurarla.

Ad ulteriore conferma di quanto appena sostenuto, si consideri che per il falso in bilancio- illecito amministrativo non si era nemmeno prevista, contrariamente a ciò che si verifica in caso di reato, l’operatività della responsabilità per l’ente nell’ipotesi in cui esso fosse stato commesso

                                                                                                               

373 Così G. LUNGHINI, sub art. 2621 c.c., in E. DOLCINI e G. MARINUCCI (a cura di), Codice penale commentato, II, Milano,

Ipsoa, 2006, p. 5131.

374 E. DOLCINI, Il castigo sia moderato, ma certo, in Sistema sanzionatorio: effettività e certezza della pena, Atti del

convegno (Casarano-Gallipoli, 27-29 marzo 2000), Milano, Giuffrè, 2002, p. 31; E. MIEDICO, La pena pecuniaria. Disciplina, prassi e prospettive di riforma, Milano, Egea, 2008, p. 37.

375 In ordine a tale ultimo rilievo, v. C.E. PALIERO, La riforma, cit., p. 617.

376 Per l’estensione all’illecito amministrativo delle garanzie costituzionali previste dal diritto penale, ed in particolare del

principio di legalità e con specifico riferimento al caso del falso in bilancio, C. PECORELLA, Corte costituzionale e falso in bilancio: un inspiegabile ritorno al punto di partenza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, p. 304 s.

377 Per questa censura, cfr. R. ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell’economia, cit., p. 176. 378 Così A. ALESSANDRI, Diritto penale e attività economiche, cit., p. 301.

nell’interesse o a vantaggio della società. Legittime le perplessità espresse a riguardo380, soprattutto ove si faccia di nuovo riferimento alla direzione intrapresa dalla stessa l. 62/2005 in materia di abusi di mercato, in cui è stata introdotta per le società una doppia forma di «responsabilità amministrativa», discendente sia da reato che da illecito amministrativo.

Ebbene – alla stregua delle attuali norme – venute meno le soglie quantitative, cade anche il collegato sistema di responsabilità amministrativa, con tutte le difficoltà pratiche che ne derivavano. Le ipotesi tipiche, che, secondo la nuova disciplina, sono sussumibili nelle fattispecie di falso punibile, integrano sempre e comunque illecito penale.

Vediamo, a questo punto, cosa – di contro – non costituisce più reato e, dunque, rimane impunito. Non è difficile pronosticare, lo si anticipa sin da subito, che, collegate ai nuovi meccanismi selettivi, attraverso cui il legislatore ha inteso graduare la punibilità, si presenteranno all’interprete ulteriori problematiche applicative, che di sicuro non saranno – anch’esse – di agevole soluzione.

Nel documento Cause di non punibilità e reati economici (pagine 123-125)