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Le soglie percentual

64 Sul punto, S CAVALLINI, op cit., p 12 s.

5. La rilevanza dell’informazione: le soglie

5.2. Le soglie percentual

La punibilità del fatto era «comunque esclusa» nelle ipotesi in cui gli effetti delle falsità o delle omissioni non fossero tali da comportare una «variazione» del risultato di esercizio o del patrimonio netto superiore, rispettivamente, al 5% e all’1%.

La previsione di soglie percentuali pone, anch’essa, non poche problematiche interpretative ed il rilievo che queste ultime assumono sarebbe stato senz’altro maggiore se non fosse per la scarsa applicazione concreta delle figure.

Si osserva, a riguardo, che, da un punto di vista generale, l’individuazione di limiti formulati in termini aritmetici rimanda al parametro, irraggiungibile, del «valore corretto», poiché solo in relazione ad una quantità precisa si può stabilire uno scostamento di tipo percentuale, altrimenti il riferimento al valore sarebbe meramente indicativo di una grandezza che si colloca molto al di sopra o molto al di sotto di una ipotetica misura265. Tra l’altro, lo

stesso criterio è stato espressamente inserito nella formulazione dell’ultima soglia di rilevanza, che si riferiva alle valutazioni estimative, da rapportare appunto al valore corretto, il cui superamento (del 10%) escludeva «in ogni caso» la punibilità della falsità.

Altro aspetto che pure viene criticato riguarda la tipologia dei parametri assunti (risultato di esercizio ante imposte e patrimonio netto266), in quanto scarsamente significativi, sia considerati

singolarmente, sia nel loro affiancamento267.

                                                                                                               

262 Ivi, p. 294 s. 263 Ivi, p. 295.

264 R. ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell’economia, cit., p. 160. 265 A. ALESSANDRI, ult. op. cit., p. 296.

266 Il risultato economico di esercizio è individuato nell’art. 2425 c.c. e rappresenta la differenza tra i valori e i costi di

Senza voler entrare nel merito del tecnicismo della materia, che ovviamente non può essere approfondito in questa sede, risulta chiara, comunque, la ragione per cui si è fatto ricorso tanto all’uno quanto all’altro, ossia permettere di ricomprendere nell’ambito di operatività della previsione normativa, oltre alle imprese che presentassero risultati positivi di gestione, anche quelle in perdita o in pareggio (con risultato economico inconsistente, in assoluto o rispetto alle dimensioni dell’impresa, e per le quali utilizzare il parametro del patrimonio netto)268. Si ritiene,

peraltro, che ciò conducesse – e la considerazione è certamente condivisibile – all’irragionevole risultato di porre in una situazione irrazionalmente sfavorevole i bilanci prossimi al pareggio, quindi con un modesto risultato positivo o negativo, o con un patrimonio netto tendente allo zero e, allo stesso tempo, consentire grandi scostamenti, rispetto alla fascia di valori attendibili, per le società in grave perdita o con un patrimonio netto pesantemente negativo. È indubbio che in casi come quest’ultimo la veridicità dell’informazione sarebbe, invece, auspicabile, e appare paradossale una estesa area di impunità269.

Si tratta, inoltre, di parametri che risultano ormai superati, espressione di una datata cultura aziendalistica, quasi per nulla utilizzati attualmente per valutare le società, e sostituiti con altri criteri di natura diversa (Roe – Return on Equity; Ebitda – Earnings before Interest, Taxes,

Depreciation and Amortization) oppure basati sul riferimento alle quote di mercato, al valore

dei marchi e così via270.

Ad ogni modo, a destare maggiori perplessità era l’inserimento di misure percentuali, motivato, peraltro, anche sulla base di presupposti infondati271. Le soglie numeriche, secondo un riferimento contenuto nella citata Relazione di accompagnamento al d.lgs. 61/2002 (a proposito dell’introduzione della soglia del 5%), avrebbero avuto l’avallo della SEC (l’organo di controllo e vigilanza sulle società e la borsa degli Stati Uniti). È stato, al contrario, dimostrato che quest’ultima ha «esplicitamente rigettato, come irragionevole […], ogni pretesa di fissare quella

o qualsiasi altra soglia quantitativa, ritenendo anzi rilevanti le falsità qualitative relative anche

a poste di bilancio per un ammontare quantitativamente piccolo»272.

Ed invece, le soglie percentualistiche hanno un valore assolutamente patrimoniale, ricomprendendo nel loro raggio di azione esclusivamente grandezze misurabili, cioè valutabili in termini numerici e perciò rigorosamente quantitativi, con ciò escludendo la possibilità di considerare elementi di valutazione qualitativa, del tutto estranei ad una dimensione aritmetica.

Viene, dunque, in rilievo la questione, pure controversa, attinente ai rapporti tra queste soglie e quella, precedente, dell’alterazione sensibile (non meramente numerico-quantitativa e, per alcuni, lo si è accennato, di natura essenzialmente qualitativa273).

È stata da più parti sostenuta una loro applicazione autonoma, considerando che il parametro generale – come precisato nella richiamata Relazione al d.lgs. 61 – avrebbe dovuto operare, in via sussidiaria, negli esclusivi casi in cui non potessero trovare applicazione le soglie

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   

straordinarie, al lordo delle imposte. Il patrimonio netto lo si ricava, invece, come indicato nell’art. 2424 c.c., dalla somma del capitale, delle riserve, degli utili (o delle perdite) portati a nuovo e dagli utili (o dalle perdite) d’esercizio.

267 Per tutti, E. FILIPPI, Le soglie di non punibilità, in A. ALESSANDRI (a cura di), Il nuovo diritto penale delle società, cit., p.

265.

268 V. A. ALESSANDRI, False comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori, cit., p. 182. 269 A. CRESPI, Il falso in bilancio e il pendolarismo delle coscienze, in Riv. soc., 2002, p. 449.

270 Per un approfondimento circa i più attuali criteri di valutazione aziendale, v. L. GUATRI e V. UCKMAR (a cura di), Linee

giuda per le valutazioni economiche, Milano, Egea, 2009; L. GUATRI, La qualità delle valutazioni, Milano, Università Bocconi Editore, 2007.

271 Cfr. L. FOFFANI, La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, cit., p. 290. 272 Così G. MARINUCCI, «Depenalizzazione», cit., p. 137 ss.

numeriche274. Trattasi, tuttavia, di una soluzione incompleta, perché in tal modo non si chiarisce quale fosse il ruolo della stessa alterazione sensibile nelle ipotesi in cui era possibile accertare anche il superamento delle soglie percentuali.

Sembra, allora, preferibile ritenere che le due tipologie di soglie dovessero operare congiuntamente275 e condividere la posizione di chi, facendo prevalere ragioni di tassatività

rispetto ad intenti (pur apprezzabilissimi) di ricostruzione in chiave equitativa delle norme, considera la sensibilità dell’alterazione solo un primo sbarramento, destinato a rimanere inefficiente ove non fossero stati superati gli altri limiti276. Anzi, paradossalmente, la clausola generale poteva valere ad escludere la punibilità del fatto proprio nel caso di superamento dei limiti numerici, quando, comunque, la falsità era ininfluente rispetto all’esigenza di una corretta rappresentazione dell’informazione. Indirizzata, dunque, ad operare anche (e a quanto pare solo) verso l’alto della soglia quantitativa, la stessa avrebbe potuto contenere il rischio – naturalmente connesso a qualunque limite di tipo quantitativo cui si ricolleghino effetti penali – di far ricadere nel campo dell’intervento punitivo anche variazioni del risultato economico e del patrimonio netto di poco superiori alla soglia fissata, ma inidonee ad alterare in modo sensibile la fisionomia societaria.

Del resto, è questa l’interpretazione più conforme alla lettera della legge, seppure non arrivasse ad esiti complessivamente soddisfacenti e comportasse una significativa, ulteriore, restrizione dell’efficacia applicativa delle fattispecie in questione. Le altre soluzioni, a favore di una autonoma valenza anche della dimensione qualitativa del falso attraverso la valorizzazione del requisito dell’alterazione sensibile277, condivisibili in linea astratta (è, di sicuro, una scelta audace quella di aver escluso totalmente la rilevanza delle falsità qualitative), trovano un forte ostacolo nel disposto normativo, troppo vincolante per permettere di staccare l’alterazione sensibile dalle soglie percentuali. Se il legislatore indica che è «comunque» esclusa la punibilità qualora non si superino i limiti numerici, e aggiunge l’altro limite delle valutazioni estimative con efficacia «in ogni caso», non si può che attribuire prevalenza al dato quantitativo.

Il punto è, poi, stabilire – e questo è sicuramente uno degli aspetti che mostrano con tutta evidenza le inevitabili limitazioni applicative di un sistema del genere – se rispetto alle stime valutative, o comunque non riducibili ad entità numeriche, per nulla estranee alle operazioni di ricostruzione dei bilanci societari, potessero valere limiti edittali alla punibilità di tipo “rigido”, come quelli rappresentati dalle soglie percentualistiche. Si pensi in particolare, e si avrà modo di approfondirlo, alla “soglia di tolleranza” finale, che operava per le falsità derivanti da valutazioni estimative.

Per quanto concerne, poi, il rapporto tra i due parametri di commisurazione delle soglie percentuali, del 5% e dell’1%, l’utilizzo della disgiuntiva «o» potrebbe far ritenere che essi si ponessero in rapporto di alternatività tra loro, nel senso di poter considerare sufficiente, ai fini della rilevanza penale del falso, il superamento di uno solo dei due limiti percentuali278.

Conclusione corretta, dal momento che sarebbe irragionevole ipotizzare che, fissata una soglia, il suo superamento sia insignificante senza il concorrente superamento dell’altra. Anche la

                                                                                                               

274 In tal senso, F. GIUNTA, La vicenda delle false comunicazioni sociali. Dalla selezione degli obiettivi di tutela alla cornice

degli interessi in gioco, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2003, p. 626; D. PULITANÒ, op. cit., p. 156.

275 Per questa ricostruzione, v. E. MUSCO, I nuovi reati societari, cit., p. 89; E.M. AMBROSETTI, E. MEZZETTI, M. RONCO,

op. cit., p. 125.

276 A. ALESSANDRI, Diritto penale e attività economiche, cit., p. 297. 277 In merito, v. D. PULITANÒ, op. cit., p. 153.

278 Così A. ALESSANDRI, False comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori, cit., p. 181 ss.; D. PULITANÒ, La

riforma del diritto penale societario. Tra «dictum» del giudice e ragioni del diritto, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, p. 947; R. ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell’economia, cit., p. 162.

Relazione al d.lgs. 61 precisava che le due soglie operassero separatamente, tenuto conto della non omogeneità tecnico-contabile dei parametri presi in considerazione dalle stesse.

La soluzione alternativa è quella di leggere la congiunzione «o» come disgiuntiva solo nel caso di assenza di uno dei due parametri di accertamento (così da consentire l’isolata operatività di ciascuna soglia), e ritenere necessario, invece, il superamento congiunto delle due soglie qualora fosse possibile procedere ad accertarle entrambe279. In questo modo ne sarebbe derivata,

tuttavia, una restrizione eccessiva della già limitata operatività delle norme incriminatrici de

quibus.

Ebbene, volendo tentare di delineare un giudizio complessivo sullo strumento selettivo analizzato, al di là delle critiche, senza dubbio fondate, circa il metodo di normazione utilizzato (delega generica, che ha previsto le soglie quantitative solo come eventuali, senza specificare né i parametri, né le misure di rilevanza, rimettendo di fatto al Governo la disciplina sostanziale degli illeciti in alcuni elementi significativi), certamente in violazione del principio di riserva di legge280, è altrettanto evidente che il legislatore della riforma del 2002 avesse un percorso già tracciato da seguire. Si è dovuto necessariamente indirizzare verso l’opzione – da accogliere positivamente – di attribuire espresso riconoscimento ad un limite di rilevanza, fissando una misura entro la quale la divergenza tra dato reale e quello contabilizzato cessava di avere valore e indicando, così, al giudice un criterio di valutazione predeterminato legislativamente.

Del resto, una volta operata la scelta di patrimonializzazione del bene giuridico (esagerata, come spesso ripetuto), la previsione di soglie quantitative non può considerarsi di per sé stessa censurabile.

Chiare, quindi, le ragioni da parte del legislatore: restituire criteri di certezza nell’applicazione delle figure di false comunicazioni sociali, per eliminare le pericolose ambiguità interpretative a cui la giurisprudenza aveva dato luogo. Discutibile, invece, è il sistema, parecchio confuso, utilizzato per far fronte a tali esigenze. Il ricorso a molteplici ed eterogenei parametri di rilevanza, approssimativamente quantitativi, da una parte, generici ed indefiniti, dall’altra, solleva forti dubbi circa una possibile lettura razionale della disciplina delle soglie nel suo complesso, pur nella consapevolezza della effettiva difficoltà di fissare, in linea generale, un criterio sempre compatibile con tutte le forme di comunicazione sociale e con tutte le variabili del caso concreto281.

È evidente, dunque, quale preponderante peso abbia avuto l’obiettivo, avvertito come indifferibile, di contenere le tendenze dilatatrici delle incriminazioni e rimediare alla concezione che la prassi aveva contribuito a far emergere intorno al (l’originario) falso in bilancio, cioè di un reato completamente avulso dal contesto dell’informazione societaria. La preferenza per opzioni normative dirette ad eliminare lo spazio valutativo attribuito al giudice è prevalsa, nonostante il rischio, evidentemente ritenuto “accettabile”, della possibile creazione di enormi vuoti di tutela.

Tuttavia, le soluzioni sarebbero potute essere diverse. Peraltro, negli stessi lavori parlamentari al testo della riforma si era proposta una differente formulazione della disciplina delle soglie. Si era ipotizzata, ad esempio, la posposizione della clausola dell’alterazione

                                                                                                               

279 M. MASULLO, Artt. 2621-2622, in T. PADOVANI (a cura di), Le fonti del diritto italiano. Le leggi penali d’udienza,

Milano, 2003, p. 1218 ss.; L. FOFFANI, La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, cit., p. 291.

280 Tale aspetto è stato puntualmente ripreso nella questione di legittimità costituzionale rimessa alla Corte dal Tribunale di

Milano, sez. II, in data 12/2/2003, e risolta con la citata sentenza n. 161 del 2004, che ne ha dichiarato l’inammissibilità in ragione della incensurabile discrezionalità del legislatore nelle scelte di politica criminale.

sensibile. Tale inversione normativa – come ben si fa notare282 – avrebbe reso l’accertamento della non alterazione in misura sensibile della situazione economica complessiva della società operante anche verso il basso del limite delle soglie quantitative, con l’effetto di non poter ritenere sufficiente, ai fini della esclusione della punibilità, l’essersi mantenuti al di sotto delle misure legislativamente prefissate, ma di dover riscontrare anche l’assenza di un sensibile errore di rappresentazione da parte dei destinatari.

Il che avrebbe potuto ridimensionare le conseguenze, che, sul piano delle esigenze di protezione penale, sono inevitabilmente connesse all’utilizzo di limiti quantitativi di rilevanza, rendendoli indicativi e non vincolanti. Durissima la constatazione, a riguardo, secondo cui il sistema punitivo così delineato per le false comunicazioni racchiuderebbe «[…] una franchigia che ha consentito agli amministratori di avvalersi di una soglia apparentemente modesta per infrangere, distruggere le regole del mercato fondate sulla libertà di concorrenza»283. Eppure, lo

stesso legislatore penale, nonostante le problematicità emerse a seguito dell’esperimento compiuto con la riforma del 2002, pareva non voler proprio rinunciare ad esprimersi tramite valori meramente aritmetici; si è, difatti, mosso in una prospettiva rigorosamente economicistica anche nel 2005, quando – lo si è visto – ha introdotto la fattispecie aggravata del grave nocumento ai risparmiatori, calcolabile sulla base di parametri percentualistici, peraltro anche poco affidabili.

Sembra, inoltre, utile richiamare le osservazioni, quanto mai opportune, di chi ritiene che i requisiti di significatività del falso, la cui introduzione, sul piano materiale delle fattispecie, si rendeva senz’altro necessaria, avrebbero potuto essere ancorati a valutazioni di altra natura, ad esempio attinenti «alla dinamica e alle patologie dell’informazione societaria, al dialogo tra la società e i suoi interlocutori attuali o potenziali», o comunque dalla valenza più ampia rispetto alla mera dimensione quantitativa284. In tal senso, si sarebbero evitate le forzature connesse ad

accertamenti in ogni caso di natura numerica e la tutela dei destinatari avrebbe comunque mantenuto la sua prevalente connotazione patrimonialistica.

Il trend in atto, non solo nell’ambito penale strettamente economico, è allora quello di delineare drastiche riduzioni dell’intervento penale, peraltro individuate sulla base di criteri per nulla determinati, con l’effetto concreto di creare estese aree di impunità e provocare un’inadeguatezza complessiva della tutela penale285.

                                                                                                               

282 Ivi, p. 13.

283 A. CRESPI, Le false comunicazioni sociali, cit., p. 1350.

284 Così C. PEDRAZZI, Diritto penale, cit., p. 839 ss. V. anche R. ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell’economia, cit., p.

165.

285 A riprova della tendenza del legislatore a fare un uso sempre più disinvolto della categoria della non punibilità, si

consideri – sebbene riguardi una materia completamente diversa da quella in esame – la previsione, contenuta nel testo del decreto Ilva, varato di recente dal Governo, circa la «non responsabilità penale e amministrativa del commissario», una vera e propria immunità penale per il commissario straordinario e i suoi incaricati nell’attuazione del piano ambientale previsto. Trattasi, nello specifico, del d.l. 5 gennaio 2015, n. 15, «Disposizioni urgenti per l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della città e dell’area di Taranto». All’art. 2, comma 6, si legge che: «L'osservanza delle disposizioni contenute nel Piano di cui al D.P.C.M.14 marzo 2014, nei termini previsti dai commi 4 e 5 del presente articolo, equivale all'adozione ed efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione, previsti dall'articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, ai fini della valutazione delle condotte strettamente connesse all'attuazione dell'A.I.A. e delle altre norme a tutela dell'ambiente, della salute e dell'incolumità pubblica. Le condotte poste in essere in attuazione del Piano di cui al periodo precedente non possono dare luogo a responsabilità penale o amministrativa del commissario straordinario e dei soggetti da questo funzionalmente delegati, in quanto costituiscono adempimento delle migliori regole preventive in materia ambientale, di tutela della salute e dell' incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro». Problemi interpretativi si sono immediatamente mostrati, inoltre, relativamente alla causa di non punibilità prevista nell’ambito della disciplina del reato di autoriciclaggio, recentemente introdotto nel codice penale, all’art. 648 ter.1, dall’art. 3, comma 3, l. 15 dicembre 2014, n. 186. In particolare, anche in questo caso, controversa risulta la natura giuridica di tale limite di rilevanza penale, che probabilmente – senza entrare nel merito della questione, che ovviamente non può trovare approfondimenti in questa sede – potrebbe essere individuata nei limiti alla tipicità del fatto, e le difficoltà

A proposito della disciplina in esame, la censura concernente l’insoddisfacente livello di protezione apprestato per gli interessi rilevanti in materia societaria è stata fatta oggetto della questione di legittimità, in precedenza esaminata e, come visto, risolta nel senso della inammissibilità, in ragione dei limiti del sindacato di costituzionalità a fronte di una richiesta di intervento in peius in ambito penale286, e ha riguardato, tra i vari aspetti, anche la previsione

delle soglie di rilevanza. Questo sul presupposto che i parametri di significatività penale della falsa o omessa informazione, sia sotto il profilo dell’alterazione sensibile, sia sotto il profilo della fissazione di specifiche soglie quantitative, avrebbero lasciato esenti da pena fatti idonei a pregiudicare gravemente la capacità informativa delle comunicazioni sociali. In particolare, il Tribunale di Milano287, che ha adito la Corte costituzionale per quanto attiene allo specifico

aspetto delle soglie, ha ritenuto che la previsione del requisito dell’alterazione sensibile contrastasse con i principi di tassatività e uguaglianza (artt. 25 e 3 Cost.), in quanto clausola generale ed astratta che lasciava al giudice il compito di dare ad essa concretezza, svincolato da qualsiasi parametro prefissato. In relazione, poi, all’introduzione delle soglie numeriche, gli stessi Giudici hanno lamentato che la scelta adottata dal legislatore delegato sia stata arbitraria e contrastante con il canone della ragionevolezza, oltre che esulante la previsione della legge delega.

La disciplina delle soglie è stata censurata – lo si è accennato – anche dinanzi alla Corte di Giustizia, senza peraltro essere risolta nel merito, nell’ambito della questione concernente il possibile contrasto delle (vecchie) disposizioni di false comunicazioni sociali con la normativa europea in tema di protezione della veridicità delle informazioni di bilancio288.

Non si possono, allora, non evidenziare i riflessi negativi che tale clima di insicurezza determinava in ordine al concreto atteggiarsi della non punibilità, che era ben lontano dal significato che la teoria generale del reato, in relazione alle diverse tipologie di cause di esclusione della pena e nel sistema delle valutazioni dell’ordinamento giuridico, attribuisce alla categoria, che perciò era destinata ad operare in un terreno fortemente ambiguo. Sicuramente, non va contestata a priori la possibilità, nel campo penale economico, soprattutto ove vengano in rilievo interessi di natura patrimoniale, di aprire valvole di sfogo che consentano di risolvere le vicende in sede (sostanzialmente) amministrativa ed evitare di arrivare all’accusa declinata penalisticamente (assicurandosi, ovviamente, che l’applicazione della sanzione amministrativa effettivamente si realizzi, cosa che, come meglio si specificherà, non avveniva nella materia de

qua). Allo stesso tempo, però, le esigenze deflattive e di reintegrazione patrimoniale devono

necessariamente essere contemperate – lo si è più volte sottolineato – con altri interessi, non suscettibili di definizione economica, che pure richiedono interventi di tutela penale, e questo, da sempre, vale in particolar modo per le fattispecie in parola.

A ciò si aggiunga che gli strumenti di contrasto alla criminalità economica appaiono oggi totalmente eclettici, nel senso che nelle vicende delle società commerciali emergono istanze di