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La particolare tenuità e la lieve entità: un difficile coordinamento

Nel documento Cause di non punibilità e reati economici (pagine 130-132)

324 A PERINI, op cit., p 7 s.

8. I nuovi meccanismi selett

8.3. La particolare tenuità e la lieve entità: un difficile coordinamento

Parecchio complicato – lo si è accennato – diviene, in concreto, rintracciare un criterio differenziatore tra la categoria dei «fatti di lieve entità» e quella della «particolare tenuità del fatto», tant’è che, in certa parte della dottrina, si è ritenuto immediatamente «preferibile propendere per la sovrapponibilità delle due fattispecie»397.

Secondo una diversa prospettiva, invece, partendo dal riferimento al dato strettamente letterale del disposto normativo, si potrebbe ipotizzare che la formula «particolare tenuità» (ulteriormente connotata dal riferimento, nell’art. 131 bis c.p., al concetto di «esiguità», concernente gli estremi del pericolo e del danno) evochi una componente dimensionale minima, collocata al limite dell’apprezzabilità. Diversamente, il sintagma «lieve entità» rinvierebbe ad un profilo – anch’esso –dimensionale, ma contrassegnato da una rilevanza (relativamente) maggiore, ferma restando la sua intrinseca modesta entità398.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   

problemi applicativi del nuovo art. 131 bis c.p. (Prima parte), cit., p. 973 ss.) circa la natura giuridica (sostanziale) di causa di non punibilità in senso stretto del nuovo istituto.

396 S. FIORE, ult. op. cit., p. 54 ss., che, sul punto, richiama R. ORLANDI, Procedibilità (condizioni di), in Dig. disc. pen., X,

Torino, 1995, p. 49.

397 R. BRICCHETTI – L. PISTORELLI, ult. op. cit., p. 66. 398 F. MUCCIARELLI, ult. op. cit., p. 30 s.

Oltre a questa preliminare distinzione, qualche spunto in più – alla stregua di tale ultima ricostruzione – si ritiene possa essere tratto dai criteri che il legislatore ha esplicitamente indicato nelle due disposizioni societarie.

Innanzitutto – partendo dall’art. 2621 bis c.c. – i parametri da esso, al secondo comma, descritti, una volta accertata la loro integrazione, permetterebbero di affermare l’automatica sussistenza della fattispecie di false comunicazioni sociali di lieve entità. Si tratta, come pocanzi rimarcato, di criteri che, facendo rinvio a componenti dimensionali dell’attività d’impresa, si pongono all’esterno del fatto tipico e rimandano, seppur indirettamente, alle dimensioni della società e, quindi, all’ambito dei destinatari della comunicazione sociale.

In tal senso deporrebbe anche la maggior parte dei requisiti disciplinati dalla fattispecie del primo comma del medesimo art. 2621 bis c.c., ossia quelli riguardanti la natura e le dimensioni della società, e dunque direttamente indicativi dell’ampiezza dei destinatari della comunicazione; fermo restando che il riferimento alle modalità della condotta e agli effetti della stessa importa una palese (ancorché parziale) sovrapposizione con gli indici stabiliti dal combinato disposto degli artt. 2621 ter c.c. e 131 bis c.p. (che parlano rispettivamente, da un lato, di danno – che è pur sempre un effetto della condotta – e, dall’altro, di modalità della condotta oltre che di danno).

Perciò, salvo dover considerare tale parziale sovrapposizione di alcuni dei requisiti prescritti, che genera senza dubbio confusione, si potrebbe «ipotizzare che la «lieve entità» debba essere – viene da dire in modo prevalente (per citare le parole del legislatore) – apprezzata sulla base della dimensione della società in quanto suggestiva della estensione dell’offesa (sul presupposto che la dimensione della società sia in relazione diretta con il numero dei destinatari della comunicazione sociale), mentre il giudizio circa la «particolare tenuità» debba trovare invece fondamento essenzialmente nell’estremo del danno (eventuale) nonché nei parametri concernenti il pericolo e le modalità della condotta»399.

Ebbene, al di là di questa possibile e forse non azzardata, almeno sul piano semantico, differenziazione, è altresì evidente come il momento della concreta applicazione delle due differenti categorie («particolare tenuità» e «lieve entità») e, quindi, della efficienza della proposta distinzione, sia tutt’altro che agevole.

E, dunque, non può di certo escludersi che la prima ipotesi ricostruttiva (quella da cui siamo partiti), nel senso della totale sovrapponibilità delle due figure, rappresenti il più che verosimile pronostico degli esiti applicativi.

Peraltro, il quadro si complica ulteriormente – a conferma di come la clamorosa imprecisione tecnica del legislatore del 2015 rappresenti uno dei principali snodi critici della riformulata disciplina del falso in bilancio – nel momento in cui, lo abbiamo in precedenza accennato, i due meccanismi selettivi in discorso vanno a leggersi in combinato disposto con le clausole («fatti materiali» e «fatti materiali rilevanti») che definiscono l’oggetto materiale della falsa esposizione.

Difatti, le previsioni degli artt. 2621 bis e 2621 ter c.c., che ovviamente disciplinano i «fatti di lieve entità» e il «fatto di particolare tenuità» allo scopo di graduare il regime sanzionatorio per tali fattispecie, possono a prima vista rappresentare un ulteriore fattore di confusione nella già complessa determinazione del preciso valore da attribuire alle richiamate formule400,

portando quasi a supporre che il legislatore abbia finito per delineare una sorta di quadripartizione nella quale dovrebbero riconoscersi le tipologie differenziate (secondo un

                                                                                                               

399 Così ivi, p. 31.

crescente rilievo) di «fatti di particolare tenuità», «fatti di lieve entità», «fatti materiali» e «fatti materiali rilevanti».

In realtà, seppur nell’estrema confusione del disposto legislativo, è certamente da condividere la posizione di chi ritiene che una ricostruzione più attenta dei dati normativi permetta, tuttavia, di escludere un siffatto scenario: a ben vedere, le formule «fatti materiali» e «fatti materiali rilevanti», che compaiono negli artt. 2622 e 2621 c.c., sono destinate a contrassegnare esclusivamente l’oggetto della esposizione difforme dal vero (o della non esposizione). In altri termini, esse concernono un ben delimitato tratto del fatto tipico (l’oggetto della condotta decettiva): «verrebbe da dire, lo strumento, il mezzo strumentale della induzione in errore, in parallelo con gli artifici e raggiri del retrostante modello del delitto di truffa»401.

Le nozioni di «lieve entità» e di «particolare tenuità» rimandano, invece, non soltanto al fatto complessivamente inteso, ma anche ad elementi ulteriori ed esterni rispetto al fatto corrispondente a quello punibile tipizzato dalla norma.

E se è vero che nell’art. 2621 bis, co. 1, c.c., con riferimento alla «lieve entità», tra i criteri fissati dal legislatore compare anche il richiamo alla condotta (che importa una parziale sovrapposizione con le clausole concernenti i «fatti materiali» e i «fatti materiali rilevanti»), è tuttavia indubitabile che gli ambiti di riferimento siano profondamente diversi.

Conferma questa conclusione la considerazione del disposto del secondo comma dell’art 2621 bis c.c., che assegna la qualifica della lieve entità ai fatti di cui all’art. 2621 c.c. se riguardano società non soggette al fallimento in relazione ai limiti di cui all’art. 1, co. 2, r.d. n. 267/1942; limiti che, come visto, concernono componenti dimensionali dell’attività d’impresa senz’altro estranei al fatto tipico e in nulla collegati all’oggetto della esposizione falsa o reticente.

Stesso discorso vale per la «particolare tenuità»: si è potuto constatare come la stessa dipenda dall’apprezzamento di parametri ulteriori e ben diversi rispetto a quelli implicati dalle clausole normative che definiscono l’oggetto della esposizione difforme dal vero (eventualmente per reticenza), sicché anche in questo caso si verte in un ambito ben diverso.

Non sembra, allora, azzardato ritenere che, malgrado il clamoroso atecnicismo del linguaggio legislativo, che pur determina limitati ambiti di sovrapposizione, le qualificazioni di «lieve entità» e di «particolare tenuità» non si affiancano a quelle di «materiali» e «materiali rilevanti» in funzione specificativa della nozione di «fatto» come oggetto della esposizione falsa o reticente e, dunque, tratto della condotta costitutiva dei delitti di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c. Pertanto, la supposta distinzione pocanzi considerata non si rende affatto necessaria.

Nel documento Cause di non punibilità e reati economici (pagine 130-132)