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La «particolare tenuità del fatto» di cui all’art 2621 ter c.c.

Nel documento Cause di non punibilità e reati economici (pagine 127-130)

324 A PERINI, op cit., p 7 s.

8. I nuovi meccanismi selett

8.2. La «particolare tenuità del fatto» di cui all’art 2621 ter c.c.

Si è più volte accennato all’introduzione, nell’attuale disciplina del falso in bilancio, di questa nuova ipotesi di non punibilità. Si tratta del più importante limite selettivo del reato, che di fatto sostituisce le vecchie soglie quantitative e ritaglia un’area di irrilevanza penale probabilmente ancora più estesa.

L’art. 2621 ter c.c. richiama espressamente la causa generale di non punibilità per particolare esiguità del fatto di recente introdotta nell’ordinamento penale all’art. 131 bis c.p.385.

                                                                                                               

384 In questo senso, R. BRICCHETTI – L. PISTORELLI, Per le “non quotate”, cit., p. 64.

385 L’art. 131 bis c.p. («Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto»), inserito dal d.lgs. 16 marzo 2015, n.

28, in attuazione della l. 28 aprile 2014, n. 67 («Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie»), dispone che: «Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale. L'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. Il comportamento è abituale nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonchè nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest'ultimo caso ai fini dell'applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all'articolo 69. La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante». V., per i primissimi commenti, G. ALBERTI, Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto: le linee guida della Procura di Trento, in www.penalecontemporaneo.it, 18 giugno 2015; G. ALBERTI, Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto: le linee guida della Procura di Palermo, in

www.penalecontemporaneo.it, 2 luglio 2015; G. AMARELLI, L’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. Inquadramento dommatico, profili politico-criminali e problemi applicativi del nuovo art. 131 bis c.p. (Prima parte), in Studium Iuris, 9/2015, p. 968 ss.; G. AMARELLI, L’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. Inquadramento dommatico, profili politico-criminali e problemi applicativi del nuovo art. 131 bis c.p. (Seconda parte), in Studium Iuris, 10/2015, p. 1102 ss.; C.F. GROSSO, La non punibilità per particolare tenuità del fatto, in Dir. pen. proc., 2015, p. 517 ss.; A. MANGIARACINA, La tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p.: vuoti normativi e ricadute applicative, in

A ben vedere, il legislatore ha inteso non tanto estendere esplicitamente l’efficacia di quest’ultimo anche alle incriminazioni previste dagli artt. 2621 e 2621 bis c.c. (effetto che deriva già dalla valenza generale della clausola, salve le limitazioni espressamente previste), quanto piuttosto dettare un criterio per l’applicazione dello stesso alle due figure di false comunicazioni sociali (quella dell’art. 2622 c.c. ne è esclusa perché il massimo edittale della pena supera il limite stabilito dall’art. 131 bis c.p.).

Il dato letterale, stavolta, è di per sé inequivoco, prescrivendo che nell’apprezzamento dei parametri indicati dalla norma generale il giudice debba valutare «in modo prevalente» l’entità del danno eventualmente cagionato alla società, ai soci o ai creditori.

Al di là del profilo meramente linguistico, la disposizione presenta, tuttavia, qualche complessità sul versante sistematico.

In prima approssimazione, ben si sottolinea in dottrina386, l’uso del termine «prevalente»

suggerisce che anche gli altri indici fissati nell’art. 131 bis c.p. debbano essere oggetto della valutazione giudiziaria: sicché rientreranno nella considerazione della tenuità del fatto le modalità della condotta e l’esiguità del pericolo, mentre riesce impossibile (con l’eccezione dell’ipotesi della abitualità) dar rilievo alle situazioni in presenza delle quali il secondo comma dello stesso art. 131 bis c.p. esclude oggettivamente la sussistenza della «particolare tenuità del fatto»387.

Indipendentemente dall’opportunità di stabilire un ordine di priorità fra i criteri che dovrebbero regolare l’esercizio del potere discrezionale del giudice (e che, così come delineati, sembrano ben lontani dal dimostrarsene idonei), pare opinabile la scelta del danno quale parametro predominante: quelli in questione sono reati di pericolo, perciò il danno (indicato come eventuale dall’art. 2621 ter c.c.) non solo è un requisito estraneo al tipo legale, ma addirittura potrebbe non essere oggetto d’indagine e/o di accertamento dibattimentale (e ben potrebbe accadere allora che, in concreto, spetti all’imputato fornire la prova della sua esiguità).

Giustamente ci si chiede, poi, quale rilievo assuma l’assenza del danno: dato che il legislatore impiega per definirlo (nell’ambito dell’ipotesi generale), appunto, il lemma «esiguità» (che semanticamente rimanda ad una componente dimensionale minima, al limite dell’apprezzabilità), la radicale mancanza di tale requisito (come detto, inessenziale per la sussistenza del fatto tipico) potrebbe addirittura suggerire l’automatica integrazione della causa di non punibilità388.

La conclusione, sebbene non preclusa dal dato letterale, sembra eccessiva sul piano sistematico, perché finirebbe per l’attribuire all’estremo del danno portata assoluta e non già relativa, come implica invece il termine «prevalente»389.

Non è, però, infondato ipotizzare che, nel momento applicativo, la sua assenza si traduca effettivamente in un riconoscimento automatico della sussistenza della causa di non punibilità; diversamente, il giudice dovrebbe accertare una spiccata connotazione del fatto in termini di pericolo oppure una modalità realizzativa della condotta particolarmente gravi.

E sebbene le prime pronunce giurisprudenziali sulla generale causa di non punibilità ex art.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   

sostanziale, in www.penalecontemporaneo.it, 14 luglio 2015; P. POMANTI, La clausola di particolare tenuità del fatto, in Arch. pen., n. 2/2015, p. 1 ss.; L. TAVASSI, I primi limiti giurisprudenziali alla ‘particolare tenuità del fatto’, in

www.penalecontemporaneo.it, 16 giugno 2015.

386 F. MUCCIARELLI, ult. op. cit., p. 29.

387 Ex art. 131 bis, cpv., c.p.: aver agito per motivi abietti o futili, con crudeltà, anche in danno di animali, aver adoperato

sevizie, aver approfittato delle condizioni di minorata difesa, ovvero «quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona».

388 Così R. BRICCHETTI – L. PISTORELLI, ult. op. cit., p. 66. 389 F. MUCCIARELLI, ult. op. cit., p. 30.

131 bis c.p. propendano per ritenere che il richiamo al «fatto» si estenda anche ai profili concernenti la colpevolezza390, tale impostazione, come correttamente si pone in evidenza in dottrina391, non può essere accolta: non soltanto perché il dato letterale vi si oppone («fatto» sta per fatto tipico e non per reato), ma anche perché il riferimento alle modalità della condotta e al pericolo, nonché al danno, depongono univocamente nel senso che ad integrare gli elementi di valutazione della particolare tenuità possano essere unicamente estremi di natura oggettiva.

Né si potrebbe ricavare argomento contrario – ben si sottolinea392 – dall’opzione normativa che allude alle modalità della condotta, invece che alla condotta tout court, per trarne la conclusione che in forza di ciò il legislatore avrebbe richiesto anche l’apprezzamento del momento soggettivo del reato, in quanto le modalità della condotta devono comunque essere coperte dalla colpevolezza. A parte il rilievo che identica notazione varrebbe anche con riguardo alla condotta stessa, non sembra superabile il dato letterale, informato ad una connotazione complessivamente orientata sugli elementi propri del fatto nella sua obiettività tipica. E neppure argomento contrario potrebbe ricavarsi dal richiamo ai motivi abietti o futili (come situazione ostativa della particolare tenuità), posto che un estremo circostanziale non potrebbe di sicuro mutare la struttura della fattispecie dalla quale dipende la disciplina applicabile.

Dunque, già alla luce di queste brevi considerazioni, non è difficile pronosticare un’applicabilità per nulla certa e lineare del nuovo istituto.

Innanzitutto, senza naturalmente volersi addentrare troppo nelle questioni interpretative che hanno immediatamente investito la clausola generale di cui all’art. 131 bis c.p. (e per le quali si rimanda ai primi commenti elaborati in materia393), va preliminarmente rimarcato come la stessa integri un filtro selettivo che, di certo, non incide sulla struttura costitutiva del reato, ma contrassegna il limite a partire dal quale l’intervento punitivo è ritenuto opportuno. La particolare tenuità dell’offesa è qualcosa di diverso rispetto alla inoffensività sostanziale, già nota al diritto penale: in quest’ultimo caso, invero, il fatto è praticamente privo di qualsiasi significato offensivo e, quindi, l’esistenza del reato (già a livello di fatto tipico) va radicalmente esclusa; nel caso della particolare tenuità, invece, l’offesa al bene giuridico è ravvisabile, ma la stessa, in base ai parametri normativi, deve essere considerata particolarmente lieve394. Il reato

perciò sussiste, ma, per ragioni di opportunità, il legislatore ritiene che non debba essere punito. Allora, si può facilmente prevedere come la clausola in questione sarà inevitabilmente soggetta ad una disciplina analoga a quella prevista dall’art. 44 c.p., quasi fosse una sorta di generale condizione obiettiva di punibilità, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di imputazione e di colpevolezza395.

                                                                                                               

390 Trib. Milano, 9 aprile 2015, n. 3936; Trib. Milano, 9 aprile 2015, n. 3937 e Trib. Milano, 16 aprile 2015, n. 4195, in

www.penalecontemporaneo.it, 21 maggio 2015, con commento di G. ALBERTI, La particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.): tre prime applicazioni del Tribunale di Milano. In tal senso sembra potersi leggere anche un inciso nella motivazione di Cass. pen., sez. III, 8 aprile 2015 (dep. 15 aprile 2015), n. 15449, Pres. Mannino, rel. Ramacci, ric. Mazzarotto, in www.penalecontemporaneo.it, 22 aprile 2015, con commento di G.L. GATTA, Note a margine di una prima sentenza della Cassazione in tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.).

391 F. MUCCIARELLI, ult. op. cit., p. 30. 392 Ibidem.

393 V., in particolare, L. PACIFICI, op. cit., p. 1 ss.; P. POMANTI, op. cit., p. 8 ss.; G. AMARELLI, L’esclusione della punibilità

per particolare tenuità del fatto. Inquadramento dommatico, profili politico-criminali e problemi applicativi del nuovo art. 131 bis c.p. (Prima parte), cit., passim; G. AMARELLI, L’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. Inquadramento dommatico, profili politico-criminali e problemi applicativi del nuovo art. 131 bis c.p. (Seconda parte), cit., passim.

394 Per questa distinzione già S. FIORE, La teoria generale del reato alla prova del processo, Napoli, Esi, 2007, p. 56 s.,

relativamente al modello di irrilevanza penale valutata “in concreto” (a livello “secondario” di criminalizzazione) previsto dalla normativa sulla competenza del giudice di pace (art. 34, d.lgs. 274/2000). Più ampiamente, vd. infra, Cap. III, par. 4.

395 Sull’argomento, cfr. L. PACIFICI, op. cit., p. 1. V. altresì le considerazioni efficacemente espresse da G. AMARELLI (in

Sono di immediata percezione anche le ulteriori difficoltà pratiche che la stessa comporterà, soprattutto per quanto concerne la validità dei parametri preventivamente stabiliti per la sua concreta operatività, considerato il possibile rischio – che da sempre motiva la condivisibile cautela con cui si è affrontata la questione della previsione di clausole del genere396 – di ricadute

sulla tenuta delle garanzie costituzionali, ed in particolare del principio di uguaglianza. Quello della attenta e puntuale specificazione dei criteri operativi avrebbe dovuto essere l’obiettivo principale del legislatore nel momento in cui si è apprestato a delineare la regolamentazione di questo importante limite della punibilità. Cosa che, a quanto pare, non è minimamente avvenuta.

Né la nuova disciplina societaria ha cura di precisarli in relazione all’applicabilità dello stesso istituto riguardo alle fattispecie di false comunicazioni. Anzi, abbiamo visto come il riferimento alla prevalenza dell’estremo del danno comporti il concreto rischio di un’estensione smisurata della non punibilità, tutte le volte in cui il requisito manchi o non ne sia fornita la prova.

Dunque, è chiaro che si tratti di un meccanismo selettivo che, di fatto, sarà rimesso alla discrezionalità del giudice, il quale potrebbe decidere, a seconda dei casi, di valutare la tenuità in ragione di un criterio, piuttosto che un altro. Risultano evidenti le pericolose derive applicative che ne conseguiranno.

Senza contare, poi, i problemi di coordinamento che l’art. 131 bis c.p. pone con riguardo alle fattispecie di reato che già al loro interno prevedono specifici elementi selettivi (si pensi, anzitutto, ai reati assoggettati alle soglie di rilevanza: per tale questione, vd. infra Cap. III, par. 4). Più in particolare, quanto all’ipotesi ex art. 2621 ter c.c., le difficoltà concernono, come anticipato, i rapporti con la causa di ridotta punibilità disciplinata al precedente art. 2621 bis c.c. Difficile, allora, lo si può sin da subito constatare, esprimere un giudizio complessivamente positivo sulle scelte compiute dal legislatore in tema di non punibilità, anche in sede di controriforma del falso in bilancio.

Nel documento Cause di non punibilità e reati economici (pagine 127-130)