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La natura giuridica delle soglie del (vecchio) falso punibile

Nel documento Cause di non punibilità e reati economici (pagine 120-123)

324 A PERINI, op cit., p 7 s.

6. La natura giuridica delle soglie del (vecchio) falso punibile

Per quanto concerne l’inquadramento dogmatico più corretto delle soglie di rilevanza, che – lo abbiamo accennato – costituiva uno dei profili maggiormente problematici della vecchia disciplina, vale l’opinione già espressa in merito alla classificazione delle stesse nell’ambito dei reati tributari (v. supra Cap. I, par. 5).

Ripercorreremo a grandi linee i termini della questione, tentando di mettere in luce quanto tale controverso aspetto di natura sistematica influenzasse il concreto operare dell’istituto. Si darà conto, inoltre, delle soluzioni ricercate, in sede interpretativa, per far fronte alle obiettive difficoltà di individuazione della più giusta collocazione cui ricondurre il principale limite posto dalle vecchie norme alla punibilità del fatto. Difficoltà che – è ovvio – attualmente non si ripropongono all’interprete, il quale tuttavia incorre in altre, e non meno significative, preoccupazioni di ordine sistematico legate alla previsione dei nuovi meccanismi selettivi.

Avremo modo di constatare, allora, cosa è davvero cambiato nell’applicazione concreta delle figure in analisi.

Di certo, pure nel caso delle fattispecie di false comunicazioni sociali, la soluzione più semplice in ordine alla discussa natura giuridica delle soglie quantitative – anche ai fini dell’accertamento del dolo – sarebbe stata quella di ricorrere alle condizioni obiettive di punibilità, istituto fortemente controverso, che ben poteva rappresentare, indifferentemente, un filtro selettivo del fatto (a livello di tipicità) oppure del reato punibile, ricollegabile oggettivamente, nell’ordinamento originario del vigente codice penale. Nota a tutti è, tra l’altro, la discussione356 riguardante proprio la collocazione esterna o interna delle condizioni

medesime rispetto al reato, affrontata a suo tempo dalla Corte costituzionale, che ha espressamente richiamato la distinzione tra condizioni intrinseche ed estrinseche, sottraendo solo queste ultime alle regola della rimproverabilità ex art. 27, comma 1, Cost., in quanto «elementi estranei alla materia del divieto»357.

                                                                                                               

355 V. A. ALESSANDRI, ult. op. cit., p. 101 ss. (e la bibliografia ivi richiamata).

356 Nella manualistica, v. C. FIORE – S. FIORE, op. cit., p. 423 ss.; G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale,

V ed., Bologna, Zanichelli editore, 2007, p. 643 e 763 ss.; F. MANTOVANI, Diritto penale, cit., p. 801 ss.

È chiaro, comunque che, al di là di questa autorevole statuizione i cui risultati, tuttavia, non si sono mostrati del tutto affidabili358, nell’ordinamento attuale, improntato al pieno rispetto del principio di colpevolezza, le condizioni oggettive, dalle quali occorrerebbe affrancarsi definitivamente, non dovrebbero svolgere più alcun ruolo, in quanto profondamente incoerenti con le linee di fondo che caratterizzano il sistema di imputazione della responsabilità penale.

Risulta altrettanto acquisito359 che i residui di elementi ascrivibili oggettivamente non

possono riguardare la significatività o offensività del fatto.

Ebbene, considerando il disegno complessivo delle soglie previste per le vecchie fattispecie

de quibus, nella loro graduazione, ma anche solo in riferimento alla alterazione sensibile,

sembra difficilmente discutibile che le stesse partecipassero al profilo dell’offesa penalmente rilevante. Esse risolvevano un prestabilito bilanciamento tra quantum di disvalore della condotta di falsità e sanzione penale. Soltanto al ricorrere di un significativo scostamento dal dato reale, determinato in termini fissi (salvo poi contestare l’opportunità della scelta di ricorrere a tale tipologia di misure, peraltro solo apparentemente modeste), la falsa comunicazione assurgeva alla qualificazione complessiva di fatto di reato; altrimenti, il livello di offensività della condotta medesima veniva ritenuto non meritevole di reazione propriamente penale, pur continuando a costituire un illecito, sebbene amministrativo.

Dunque, le soglie di rilevanza costituivano chiari elementi costitutivi del reato360 e, pertanto,

dovevano essere oggetto di dolo, seppure – lo si è già accennato nell’ambito della ricostruzione della fattispecie soggettiva – nella consueta forma del dolo eventuale, come rappresentazione e accettazione dell’agente di aver alterato il bilancio in misura superiore a quanto previsto dalla legge.

Nulla a che vedere con le condizioni obiettive361, quali limiti esterni alla punibilità del fatto,

incidenti sulla opportunità di punire ed estranei a qualsiasi rilevanza dell’atteggiamento psicologico dell’autore delle falsità circa il loro superamento.

Si fa correttamente notare362 che scarsa importanza rivestiva, a riguardo, la collocazione topografica delle stesse soglie nell’ambito della formulazione delle norme: il fatto che fossero inserite in commi separati da quelli dedicati alla descrizione della condotta tipica dipendeva dalla loro complessità di enunciazione e, nel caso dell’alterazione sensibile, da un’evidente frettolosità nella redazione. Certo, almeno tale ultima previsione, sulla scia di altre legislazioni (valga di nuovo l’esempio della materiality anglosassone, cui viene assegnato un ruolo centrale nell’economia espositiva della falsità rilevante), avrebbe potuto essere ricompresa nel corpo delle fattispecie, ma con un risultato per nulla diverso e, semmai, creando un appesantimento ulteriore delle già poco lineari diposizioni, oltre che amplificando il problema del rapporto con le altre soglie percentuali, che, comunque, il legislatore ha pensato bene di non affrontare e di rimettere all’interprete.

Quindi, nonostante la formula impropria (non certo l’unica nell’ambito della legislazione penale) e nonostante il risultato poco congruo che ne derivava – la categoria della punibilità ancora una volta utilizzata in termini approssimativi e poco consapevoli – resta indiscutibile che ogni soglia costituiva un elemento del tipo legale, tanto che la stessa idoneità all’inganno poteva

                                                                                                               

358 V., a riguardo, C. FIORE – S. FIORE, op. cit., p. 427. 359 Corte cost. n. 1085/1988.

360 In questo senso, tra gli altri, A. ALESSANDRI, Diritto penale e attività economiche, cit., p. 297 ss.; R. ZANNOTTI, Il nuovo

diritto penale dell’economia, cit., p. 158 s.; E. MUSCO, I nuovi reati societari, cit., p. 90 ss.; F. GIUNTA, Lineamenti, cit., p. 215; T. PADOVANI, Il cammello e la cruna dell’ago, cit., p. 1603.

361 Così, invece, D. PULITANÒ, False comunicazioni sociali, cit., p. 162.

essere letta, e si è precisato nella ricostruzione sopra effettuata che senz’altro questa era la soluzione più corretta, come un sinonimo sostanziale della prima soglia dell’alterazione sensibile363.

Così posta la questione, risulta ovvio che il mancato superamento dei limiti di rilevanza rappresentasse un ulteriore elemento di selezione che incideva sulla tipicità del fatto, integrando una causa di esclusione della stessa, seppure – come visto – formulata in termini inconsueti.

In realtà, c’è anche chi, pur non avallando la ricostruzione in chiave di condizioni obiettive, prospetta una soluzione ancora diversa e ritiene che nei casi di mancato raggiungimento dei medesimi limiti si delineassero cause di esclusione della sola illiceità penale, cui applicare la disciplina ex art. 59 c.p., in quanto, solamente se la condotta realizzava un disvalore che superava la misura previamente fissata, il legislatore stabiliva la risposta sanzionatoria più grave, ricorrendo alla pena criminale. Nelle altre ipotesi, la misura di disvalore sarebbe stata insufficiente ad integrare l’illiceità penale, ma avrebbe determinato esclusivamente quella amministrativa364.

Tuttavia, se, come è corretto sostenere, il “ritaglio” dell’area di non punibilità si fondava sul mancato raggiungimento dello specifico livello di disvalore penalmente rilevante, pare non si possa revocare in dubbio che le soglie, in quanto espressive dell’offesa o dell’offensività, rappresentassero elementi necessari a fondare la tipicità del fatto. Le falsità sotto soglia realizzavano condotte atipiche, perché inidonee a soddisfare quel livello minimo di decettività richiesto dalla norma.

Del resto, è altrettanto evidente che il legislatore della riforma del 2002 avesse voluto configurare un fatto di reato di ampiezza minore rispetto al passato; ne è conferma l’ormai consolidata conclusione circa la sussistenza, in ordine alle due discipline intervenute (quella originaria e quella riformulata nel 2002), di un’ipotesi di successione di leggi penali con abolizione parziale365. Su questo punto la giurisprudenza di legittimità è stata chiara, mentre ha sempre evitato di intervenire sul tema della natura giuridica delle soglie di non punibilità delle false comunicazioni. Anche la Corte costituzionale, chiamata – come più volte ripetuto – a pronunciarsi sulla legittimità delle stesse, ha sorvolato la questione della classificazione dogmatica, sia pur sottolineando che «Alla stregua dell’opinione largamente maggioritaria, le soglie di punibilità contemplate dall’art. 2621 cod. civ. integrano requisiti essenziali di tipicità del fatto»366.

Questa lettura, infine, trova un altro importante aggancio nella modifica operata con la l. 62/2005 (durante il cui complesso e confuso iter di approvazione si era prospettata addirittura l’eliminazione dei limiti quantitativi, per poi arrivare a soluzioni tutt’altro che risolutive degli originari problemi applicativi) che aveva introdotto per il falso rimasto al di sotto delle soglie la sanzione amministrativa, la cui previsione contribuiva a rendere maggiormente visibile l’afferenza di esse alla tipicità penale367.

                                                                                                               

363 Per questo argomento, v. A. ALESSANDRI, ult. op. cit., p. 301; E. MUSCO, I nuovi reati societari, cit., p. 91.

364 E.M. AMBROSETTI, E. MEZZETTI, M. RONCO, op. cit., p. 126 s. Una posizione intermedia è assunta da chi (M. DONINI,

«Abolitio criminis», cit., p. 1244), pur ritenendo le soglie dei veri e propri limiti alla tipicità, osserva che esse potevano atteggiarsi anche come cause di non punibilità in senso stretto – assumendo così una doppia natura – «quando il mancato superamento delle soglie del 5% o dell’1% o di una differenza «sensibile» di rappresentazione» […] dipendesse «da fattori sopravvenuti ex post, mentre ex ante la condotta appariva potenzialmente lesiva» (nello stesso senso, seppure limitatamente alla soglia del 5% del risultato economico di esercizio, L. FOFFANI, La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, cit., p. 292 ss.).

365 Questione definitivamente risolta dalle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza 26 marzo 2003, n. 25887, in Cass. pen.,

2003, p. 3310, nota di T. PADOVANI).

366 Corte cost. n. 161/2004, cit.

Tale modello confermava l’impostazione gradualistica seguita dal legislatore del 2002 e introduceva la responsabilità «teorica» (come vedremo) ad altro titolo, «abbandonando il territorio delle condizioni obiettive di punibilità»368.

Nel documento Cause di non punibilità e reati economici (pagine 120-123)