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Spunti per alcune riflessioni general

Nel documento Cause di non punibilità e reati economici (pagine 164-194)

432 Così V CHIUSANO, op cit., p 122.

4. Spunti per alcune riflessioni general

Si è avuto fin qui modo di verificare l’estrema difficoltà di comprendere a pieno le scelte di non punibilità intervenute in campo economico. I modelli proposti sono apparsi, nella loro enorme complessità, riconducibili ad istituti eterogenei, spesso poco bilanciati, alcuni – come visto – frutto di opzioni discutibili, legate per lo più a fattori di contingenza politica, altri espressione di una strategia criminale eccessivamente lassista, altri ancora ricollegati opportunamente ad una logica di bilanciamento di interessi, ma poi oggetto di applicazioni ambigue e per nulla corrispondenti alle reali esigenze di tutela.

                                                                                                               

535 R. ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell’economia, cit., p. 111; A. ABBAGNANO TRIONE, op. cit., p. 186 s. In generale

sui modelli di organizzazione, A. ALBERICI ET AL., Il modello di organizzazione, gestione e controllo di cui al d.lgs. 231/2001, Milano, Giuffrè, 2008; E. AMATI, La responsabilità degli enti, in E. AMATI e N. MAZZACUVA (a cura di), Diritto penale dell’economia, cit., p. 79 ss.; G. BERSANI, La responsabilità degli enti per la commissione dei reati da parte dei dirigenti e dei sottoposti ai sensi del d.lgs. 231/2001. L’efficacia esimente dei modelli organizzativi idonei a prevenire la commissione dei reati, in Impresa comm. ind., 2003, p. 1146 ss.

536 Tra gli altri, A. MANNA, La cd. responsabilità amministrativa delle persone giuridiche: un primo sguardo d’insieme, in

Riv. trim. dir. pen. ec., 2002, p. 514; C. PIERGALLINI, Societas delinquere et puniri non potest: la fine tardiva di un dogma, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2002, p. 595.

537 A. ALESSANDRI, ult. op. cit., p. 319. 538 A. ABBAGNANO TRIONE, op. cit., p. 187.

Sotto quest’ultimo profilo, si sono rese subito palesi le incongruenze insite nell’effettivo funzionamento dei meccanismi selettivi previsti nella normativa ambientale e di sicurezza sul lavoro, rispetto ai quali la futura, e auspicabile, linea di azione del legislatore dovrebbe, senza dubbio, tendere a rendere meno scontato l’affidamento al giudice del compito di modellare le ipotesi di non punibilità a seconda della specifica vicenda criminosa, attraverso la definizione preventiva di idonei parametri delimitativi di digressioni ingiustificate rispetto al contenuto e alle finalità delle norme incriminatrici.

Anche in ordine alla conformità dei singoli istituti ai principi generali e ai tradizionali paradigmi di riferimento si sono evidenziate le ricorrenti contraddizioni, sul piano, soprattutto, dell’incerto inquadramento dogmatico e della confusa collocazione di sistema.

Sviluppi in parte diversi hanno fatto seguito alle scelte di esclusione della punibilità laddove è prevalsa, a ragione, «una prospettiva recuperatoria dei profili funzionali dei beni oggetto di protezione giuridico-penale»540. Ciò è avvenuto, lo si è evidenziato, nel settore penale tributario,

rispetto al quale non può di certo contestarsi la scelta del legislatore di ricorrere a strumenti selettivi dell’intervento punitivo, in primis alla soglia quantitativa, che bene esprime l’esigenza di circoscrivere la risposta sanzionatoria, di tipo penale, ai fatti dotati di effettiva consistenza dal punto di vista della pretesa fiscale e, dunque, realmente offensivi degli interessi posti al centro delle incriminazioni. Salvo poi constatare, in concreto, evidenti difetti di disciplina, che – come detto – rimandano essenzialmente ai parametri di operatività delle soglie stesse, che potrebbero auspicabilmente essere rivisti, in modo da uniformare maggiormente le norme alle ragioni della determinatezza e precisione.

Prescindendo, comunque, dalle problematiche applicative con cui giocoforza l’interprete deve misurarsi, è facile considerare che le opzioni normative così costruite esprimono una logica coerente con l’assetto di sistema, non solo in una prospettiva “interna”, di extrema ratio e sussidiarietà, ma anche in una proiezione esterna, in quanto idonee ad essere comprese e accettate dalla collettività541.

E, senza dubbio, le scelte di mancata punibilità devono rientrare, anch’esse, in questo piano, se non a patto di sminuire il significato della minaccia di pena e della punizione542.

Esattamente quanto (non) avvenuto, invece, in ordine agli illeciti societari. Lo si è dimostrato ampiamente e non si tornerà sulle profonde contraddizioni e lacune della disciplina delineata, dal punto di vista delle tradizionali esigenze di tutela, degli scopi punitivi (legittimi) e della coerenza sistematica in generale, se non per sottolineare che a risultare fortemente compromessi sono gli obiettivi stessi dell’azione penale, riconducibili alla necessità che l’intervento istituzionale in materia di controllo penale sia improntato a chiarezza e ragionevolezza. Le tecniche di non punibilità prive di una giustificazione coerente sotto il profilo della razionalità (in chiave assiologica) e di quello più specificamente funzionalistico (sul piano delle ragioni legate alla finalità della pena) minano la credibilità stessa del divieto

                                                                                                               

540 Per questa espressione, in realtà utilizzata per giustificare il ricorso ai meccanismi post factum di selezione del fatto

punibile, con particolare riferimento alla politica premiale, ritenuta pienamente conforme agli scopi di tutela, adottata in merito all’ipotesi di condono ambientale introdotta dall’art. 1, commi 36 e 37, l. n. 308/2004, V. MAIELLO, Clemenza e sistema penale. Amnistia e indulto: dall’indulgentia principis all’idea di scopo, Napoli, Esi, 2007, p. 287.

541 Efficacemente si rileva infatti (S. FIORE, La condotta susseguente al reato, cit., p. 47) che il presupposto della

interiorizzazione delle norme di condotta previste nell’ordinamento giuridico risiede nella loro comprensibiltà, anche nel senso della possibilità di ricondurle ad un quadro di sistema complessivamente omogeno ai principi generali. Sul tema, v. anche D. PULITANÒ, Tecniche premiali fra diritto e processo penale, in AA.VV, La legislazione premiale, Milano, Giuffrè, 1987, p. 101.

542 T. PADOVANI, Il traffico delle indulgenze. «Premio» e «corrispettivo» nella dinamica della punibilità, in AA.VV., La

penale. E non può che essere così quando soluzioni contrattate della punibilità, che di fatto sostituiscono la clemenza generale di un tempo543, intervengono laddove a reclamare attenzione sono beni istituzionali che vanno ben oltre la dimensione puramente patrimoniale (salvo poi concentrare la punizione, e il rigore sanzionatorio, nel momento di eventuale fallimento e, quindi, di trasformazione da reati societari in delitti di bancarotta, ove previsto). Né può dirsi che lo strumento della soglia quantitativa nel caso delle false comunicazioni sociali esprimesse validamente esigenze di irrilevanza del fatto, perché di irrilevanza non si tratta riguardo ad ipotesi di falsità, abusi gestori e condotte di malversazione che incidono fortemente sulla correttezza e trasparenza dell’informazione societaria, con tutte le ripercussioni sul mercato e sulla fiducia degli operatori economici. Dunque, non una mancanza di offensività rispetto al bene giuridico da tutelare. Tantomeno i nuovi strumenti selettivi riescono – così sembra – a rispondere adeguatamente alle ragioni, certamente ineludibili, di graduazione della punibilità del falso in bilancio. Abbiamo avuto modo di soffermarci sulle difficoltà interpretative legate alle clausole di esiguità del fatto da ultimo introdotte, che, combinate alle ulteriori incertezze applicative connesse alla complessa questione delle valutazioni, le quali, allo stato, si ritengono escluse dal raggio di azione delle incriminazioni544, lasciano ben ipotizzare che i vuoti di

disciplina della figura delittuosa non saranno di sicuro colmati. E, quindi, la ripristinata centralità dell’informazione societaria, nell’ambito dei rimodellati indirizzi di tutela, sarà destinata a rimanere un’opzione valida solo sul piano formale, dal momento che, in concreto, la portata penale delle norme non è stata affatto recuperata.

Il criterio dell’irrilevanza del fatto compare anche in altre ipotesi (ma al di fuori della materia economica) ed è, pure in questi casi, utilizzato collegandolo all’operatività di clausole legislative di esiguità, a cui dunque il diritto penale (processuale) era certamente abituato. Anch’esse pongono rilevanti problematiche, dal punto di vista, soprattutto, del rispetto del principio di determinatezza/tassatività, nel senso della necessaria predeterminazione dei criteri che regolano il giudizio di esiguità dell’offesa545. Si pensi al modello di irrilevanza penale valutata “in concreto” (a livello “secondario” di criminalizzazione) previsto dalla normativa sulla competenza del giudice di pace (art. 34, d.lgs. 274/2000), e operante attraverso il meccanismo della non procedibilità, rispetto a cui emerge con particolare evidenza il problema della integrazione tra i criteri (oggettivi e soggettivi) regolativi della rilevanza546. Lungo questo

                                                                                                               

543 A. ALESSANDRI, ult. op. cit., p. 320, il quale osserva che la corsa, quasi inarrestabile, verso soluzioni contrattate della

punibilità, nel campo del diritto penale economico, sia resa certamente più pressante dall’«odierna pratica esclusione di una possibilità generalizzata di estinzione, almeno fino a un certo limite, mediante il modulo dell’amnistia».

544 Cass. pen., sez. V, n. 2151/2015, cit.

545 A riguardo è utile richiamare la già accennata distinzione, ben argomentata da S. FIORE, La teoria generale del reato alla

prova del processo, cit., p. 56 s., tra irrilevanza per mancanza di offensività e irrilevanza collegata alla previsione di clausole legislative di esiguità: «mentre la prima attiene […] al giudizio di tipicità del fatto, il cu esito negativo dipende dalla rilevata assenza di ogni idoneità offensiva della condotta rispetto al bene giuridico tutelato; nel secondo caso il bene tutelato risulta invece offeso, ma la considerazione della misura minima (esigua) dell’offesa costituisce la base di un giudizio più complesso, che coinvolge diversi profili politico-criminali, che può condurre ad evitare la conseguenza di (un processo o di) una punizione. La diversa funzione svolta dal principio di offensività e da quello di esiguità si riflette dunque anche sulla valutazione circa l’opportunità di un intervento normativo: mentre infatti le clausole di esiguità non solo devono, ovviamente, essere legislativamente previste, ma è particolarmente necessario che il legislatore proceda ad una attenta e determinata predeterminazione dei criteri che presiedono ad un tale giudizio, una esplicita presa di posizione legislativa sul principio di offensività, della cui immanenza ad un sistema penale da Stato di diritto, nessuno dubita, presenta alcune controindicazioni che non si è mancato di rilevare assai autorevolmente». In particolare, su quest’ultima questione (e sulla proposta costituzionalizzazione del principio di offensività), M. DONINI, L’art. 129 del progetto di revisione costituzionale approvato il 4 novembre 1997. Un contributo alla progressione «legale» prima che «giurisprudenziale», dei principi di offensività e di sussidiarietà, in Crit. dir., 2-3/1998, p. 95 ss.

546 Sul punto, S. FIORE, ult. op. cit., p. 58. In generale, sul modello di irrilevanza nell’ipotesi del giudice di pace, C. CESARI,

percorso ha costituito un precedente importante la disciplina sul processo a carico degli imputati minorenni (d.p.r. n. 488/1988), nella quale per la prima volta nel nostro ordinamento compariva l’irrilevanza del fatto, quale causa della sentenza di non luogo a procedere (ovviamente qui non interessano le ben diverse condizioni che la definiscono: in particolare, la stessa deve essere collegata anche al pregiudizio che l’ulteriore corso del procedimento avrebbe sulle esigenze educative del minore).

Da ultimo, il legislatore è andato oltre la previsione di singole e specifiche clausole di esiguità, intervenendo sulla parte generale del codice penale, attraverso l’introduzione della richiamata causa generale di «Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto» (art. 131 bis), peraltro già in discussione da anni e fatta oggetto di diversi disegni di legge, mai approvati fino ad ora547.

Si è accennato, in precedenza (Cap. II, par. 8.2.), alle numerose questioni interpretative che – neanche a dirlo – essa pone, tra cui quella concernente la sua esatta collocazione dogmatica e quella, non meno significativa, legata alla discussa natura sostanziale (certamente da preferire) o processuale della norma che la disciplina548. Senza contare, poi, le problematiche attinenti, anche qui, alla validità dei parametri preventivamente stabiliti per la sua concreta operatività. Abbiamo avuto modo di constatare, con particolare evidenza, come tali criteri si mostrino completamente inadeguati, sul piano della determinatezza e della precisione, con riferimento all’applicabilità del nuovo meccanismo selettivo alle riformulate figure di false comunicazioni sociali, che espressamente lo richiamano. Inoltre, si sono pure immediatamente evidenziati i problemi di coordinamento con le ipotesi di ridotta punibilità ivi specificatamente previste.

A ben vedere, in merito a quest’ultimo punto, va sottolineato che tali difficoltà applicative riguardano, in generale, il funzionamento della clausola ex art. 131 bis c.p. rispetto alle fattispecie di reato che già al loro interno prevedono specifici elementi selettivi. In particolare, la questione di diritto sostanziale che più sta animando il dibattito dottrinale e giurisprudenziale, intervenuto in materia, concerne la possibilità di applicazione dell’istituto in caso di reati che prevedono soglie di punibilità specifiche (si pensi a titolo esemplificativo, ovviamente, ai reati tributari oppure, al di fuori dalla materia economica, all’art. 316 ter c.p. o a taluni reati stradali, per esempio ex artt. 186 e 187 d.p.r. 285/92).

Quanto, invece, al problema dell’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. anche alle ipotesi rispetto alle quali la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante, è la stessa norma, al comma 5, a risolverlo in senso positivo. E da più parti, in dottrina, si sottolinea come tale previsione non abbia funzione estensiva dell’ambito di applicazione della nuova causa di esclusione della punibilità, ma sia diretta esclusivamente a precisare la compatibilità tra il nuovo istituto e le fattispecie in relazione alle quali la particolare

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   

3/2001, p. 727 ss.; F. GIUNTA, La giurisdizione penale del giudice di pace, profili di diritto sostanziale, in Studium iuris, 4/2001, p. 400 ss.

547 In particolare, si considerino il n. 4625/C e il n. 4625 bis/C del 1998: con il primo si proponeva di configurare

l’irrilevanza del fatto come una causa di esclusione della procedibilità, da inserire nel codice di procedura penale (art. 346 bis); il secondo disegno di legge proponeva invece di configurarla come causa di non punibilità, ma sempre all’interno del codice di procedura penale. In entrambi i casi i parametri normativi ai quali ricollegare il giudizio di irrilevanza erano costituiti dall’esiguità del danno o del pericolo cagionato, dalle modalità della condotta, dalla sua occasionalità e dal grado di colpevolezza. Su tali progetti di riforma, cfr. S. FIORE, Osservazioni in tema di clausole di irrilevanza penale e trattamento della criminalità bagatellare. A proposito di una recente proposta legislativa, in Crit. dir., 1998, p. 274 ss.; M. RONCO, L’irrilevanza penale del fatto. Verso la depenalizzazione per mano del giudice, in Crit. pen., 1998, p. 13 ss.

548 V., in particolare, L. PACIFICI, op. cit., p. 1; G. AMARELLI, L’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.

Inquadramento dommatico, profili politico-criminali e problemi applicativi del nuovo art. 131 bis c.p. (Prima parte), cit., p. 973 ss. In giurisprudenza, cfr. Cass., sez. III, 8 aprile 2015 n. 15449, Mazzarotto, in www.cortedicassazione - Recentissime dalla Corte. Novità in evidenza. Giurisprudenza penale; Sez. III, ord. N. 21014 del 20.05.2015, non massimata; Rel. Massimario n. III/02/2015 del 23.04.2015.

tenuità è già oggetto di una circostanza attenuante (è chiaro il riferimento all’art. 62, n. 4, c.p.; ma di sicuro vi rientrano anche altre ipotesi: ad esempio, quella ex art. 323-bis c.p., oppure quella di cui all’art. 219 l. fall.). In proposito, inoltre, si ritiene che il discrimine tra la sussistenza della circostanza e l’esclusione della punibilità risieda nella diversità dei parametri cui il giudice deve fare riferimento per la valutazione di tenuità: per giungere ad una pronuncia

ex art. 131 bis c.p., egli non potrà liberamente valutare la particolare tenuità, come all’opposto

farebbe per l’applicazione della diminuzione di pena, ma dovrà fare rigoroso riferimento a tutti i parametri indicati dalla nuova disciplina549.

Tornando, allora, alla questione iniziale (stabilire se in presenza di espresse soglie di punibilità permanga oppure no il potere del giudice di ritenere, nonostante il superamento della soglia, il fatto di particolare tenuità) – e la soluzione va cercata necessariamente sul piano interpretativo –, la posizione su cui pare essere orientata la primissima giurisprudenza di legittimità550 è nel senso di applicare la clausola generale anche in caso di (lieve) superamento

della soglia quantitativa espressamente prevista dal legislatore nelle singole figure di reato (ad es. indebita percezione di erogazioni pubbliche per euro 4.100).

In pratica, ciò che si sostiene è questo: dato che l’art. 131 bis c.p. presuppone la consumazione di un reato e che, al di sotto della soglia di punibilità, non vi è illecito penale, la medesima norma, per avere pratica utilità anche in questi ambiti, dovrebbe trovare applicazione necessariamente sopra la soglia di rilievo penale. Altrimenti, si correrebbe il rischio di disparità di trattamento tra casi sostanzialmente analoghi che differiscono anche solo per poche decine di euro (si pensi, ad esempio, ad una indebita erogazione per euro 3.980, che costituisce mero illecito amministrativo, e ad una stessa ipotesi concernente euro 4.100, punibile ai sensi dell’art. 316 ter c.p.). In più, si rileva che l’evidente ratio deflattiva dell’istituto medesimo dovrebbe indurre ad interpretazioni estensive, che consentano di escludere il più possibile la punibilità e, dunque, di ridurre il carico giudiziario per fatti sostanzialmente bagatellari551.

Tale ricostruzione, per quanto appaia suggestiva, si espone, tuttavia, a dei rilievi di natura teorica.

Nell’ambito dei primi commenti all’art. 131 bis c.p. vi è, infatti, chi552 all’opposto sottolinea

come la nuova causa di non punibilità non faccia riferimento alla particolare tenuità ‘del reato’, ma alla particolare tenuità ‘dell’offesa’, sicché non risulterebbe dirimente l’argomento in base al quale sotto soglia non vi sarebbe reato e, quindi, non sarebbe astrattamente configurabile la particolare tenuità. Si è già avuto occasione di precisare, peraltro, che l’istituto deve essere inquadrato dogmaticamente come causa di non punibilità in senso stretto553, ossia come scelta

politica del legislatore di non punire penalmente fatti comunque illeciti ed offensivi. L’art. 131

                                                                                                               

549 P. POMANTI, op. cit., p. 17 ss.; G. ALBERTI, Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto: le linee guida

della Procura di Palermo, cit.; G. ALBERTI, Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto: le linee guida della Procura di Trento, cit. Sul punto v. altresì G. AMARELLI, L’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. Inquadramento dommatico, profili politico-criminali e problemi applicativi del nuovo art. 131 bis c.p. (Prima parte), cit., p. 977.

550 Cass., Sez. III, ord. n. 21014 del 20.05.2015, non massimata. Nello stesso senso si orientano le linee guida della Procura

di Palermo: v. G. ALBERTI, Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto: le linee guida della Procura di Palermo, cit.

551 Sul fondamento politico-criminale del nuovo istituto, come diretta espressione del principio dell’extrema ratio del diritto

penale e della necessarietà-sussidiarietà “secondaria” e come strumento di “depenalizzazione in concreto” di carattere trasversale (operata dal giudice), v. G. AMARELLI, L’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. Inquadramento dommatico, profili politico-criminali e problemi applicativi del nuovo art. 131 bis c.p. (Prima parte), cit., p. 972 s. Più approfonditamente sul profilo della depenalizzazione cfr. T. PADOVANI, Un intento deflattivo dal possibile effetto boomerang, in Guida al dir., 4 aprile 2015, p. 1.

552 L. PACIFICI, op. cit., p. 2 s. 553 Cfr. nt. 395.

bis c.p. disciplina una generale soglia di offensività che segna il limite al di sotto del quale

l’intervento penale si reputa non opportuno. E allora, tenuto conto di tale classificazione, le soglie quantitative e qualitative di punibilità previste di volta in volta per le singole ipotesi di reato altro non sarebbero che una concretizzazione della norma generale. In altri termini, quest’ultima dovrebbe trovare applicazione, in forza del fondamentale principio di non contraddizione dell’ordinamento giuridico, solo nei casi in cui il legislatore non sia già intervenuto con una disciplina di settore volta ad individuare specificatamente il limite al di sotto del quale non si applica la sanzione penale, sulla base di valutazioni concernenti l’effettiva portata lesiva del singolo fatto di reato in ordine agli interessi tutelati. Altrimenti opinando – si pone per di più in rilevo554 – l’interprete sarebbe legittimato a sostituirsi alle scelte di politica

criminale del legislatore, ritenendo non punibili condotte che comunque superano la soglia di rilevanza penale dettata con norma ad hoc. Né pare che si possa invocare in senso contrario – ed è questa una considerazione certamente valida – il "rischio di disparità di trattamento per poche decine di euro", dal momento che lo stesso consegue necessariamente all’individuazione di limiti numerici che, da un lato, eliminano le incertezze applicative, ma, dall’altro, comportano l’applicazione della sanzione penale anche per superamenti di scarso importo del limite fissato. Ciò, d’altronde, trova giustificazione nell’inquadramento della soglia quantitativa – lo si è più volte ripetuto – quale limite massimo al di sotto del quale il principio di extrema ratio induce a non applicare sanzioni penali. Soltanto se si supera tale limite (e anche se lo si supera di pochissimo), il fatto tipico assume una consistenza tale da richiedere l’intervento dello strumento punitivo.

Ebbene, è indubitabile che tale interpretazione restrittiva rechi il vantaggio di limitare la

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