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Le soglie di rilevanza

64 Sul punto, S CAVALLINI, op cit., p 12 s.

4. Le soglie di rilevanza

In linea con la voluntas legis diretta al contenimento dell’impiego della sanzione penale e, quindi, al recupero del sistema repressivo tributario ai criteri di offensività e extrema ratio del diritto penale comune, tutte le fattispecie sin qui esaminate, fatta eccezione soltanto per quella di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2, d.lgs. 74/2000), vengono sottoposte e subordinate – lo si è accennato più volte – nella loro applicazione a soglie di punibilità (o di rilevanza), volte a limitare l’intervento punitivo ai soli illeciti di rilevante significato economico.

Queste sono disciplinate in modo tale da escludere la sanzione penale al di sotto di una determinata entità di evasione e prevederla, invece, quando l’ammontare dell’imposta evasa sia superiore ad un valore stabilito (prima soglia). In buona sostanza, il legislatore ha delineato l’utilizzo dello strumento penale come contrasto prevalentemente alla grande evasione fiscale in ragione, evidentemente, della sua maggiore portata offensiva, dal momento che essa determina una concreta lesione del patrimonio dello Stato, ma sacrifica, a monte, anche il perseguimento dei fini istituzionali dello stesso82. L’intervento punitivo deve poi avere luogo quando l’insieme

degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante l’indicazione di elementi passivi fittizi, raggiunga una certa percentuale in relazione a quanto indicato in dichiarazione, oppure, in termini assoluti, eguagli un ammontare determinato, a prescindere dal superamento della soglia proporzionale (seconda soglia)83.

Ciò vuol dire che, ai fini della configurabilità della responsabilità penale in capo all’evasore, la legge richiede il superamento congiunto di due diverse soglie di punibilità, la prima in funzione dell’imposta evasa; la seconda in funzione degli elementi reddituali non dichiarati.

Si tratta, allora, di un elemento di novità rispetto al sistema delle soglie di rilevanza previsto dalla l. 516/198284, le quali erano relative soltanto all’ammontare dei redditi non dichiarati, dei corrispettivi non annotati o non fatturati e delle ritenute d’imposta. É evidente come il mancato riferimento all’imposta evasa rappresenti l’ovvio riflesso dell’opzione politico-criminale di abolizione della pregiudiziale tributaria adottata da quel legislatore, che aveva tentato di affrancare, anche sotto questo aspetto, il giudice penale dagli accertamenti compiuti in sede amministrativo-tributaria85.

Di contro, la riforma del 2000 – in linea con gli indirizzi di tutela da essa perseguiti – ha inteso ricorrere anche a soglie di punibilità strutturate sul quantum di evasione. Di conseguenza, è derivato per il giudice penale il delicato compito di determinare con esattezza i dati

                                                                                                               

82 G. SALCUNI, Natura giuridica e funzioni delle soglie di punibilità nel nuovo diritto penale tributario, in Riv. trim. dir.

pen. econ., 2001, p. 131 ss.

83 In merito, v. A. MARTINI, Reati in tema di finanze e tributi, in C.F. GROSSO - T. PADOVANI - A. PAGLIARO, Trattato di

diritto penale. Parte speciale, vol. XVII, Milano, Giuffrè, 2010, p. 360; G. RISPOLI - C. BUSATO, Reati tributari. Percorsi giurisprudenziali, Milano, Giuffrè, 2007, p. 4 ss.; A. TRAVERSI - S. GENNAI, I delitti tributari. Profili sostanziali e processuali, Milano, Giuffrè, 2011, p. 42 ss.

84 Tali soglie erano previste in relazione alle ipotesi meno gravi disciplinate dagli artt. 1 e 2 della l. 516/1982: si trattava

delle contravvenzioni di omessa presentazione della dichiarazione, di omessa o infedele annotazione di corrispettivi, di infedele dichiarazione dei redditi, di omessa o irregolare tenuta delle scritture contabili e dei reati del sostituto d’imposta. Al riguardo, v. A. CADOPPI, in I. CARACCIOLI, A. GIARDA, A. LANZI, Diritto e procedura penale tributaria. Commentario alla legge 7 agosto 1982 n. 516 modificata dalla legge 15 maggio 1991 n. 154, Padova, 1994, p. 217 ss.

85 C. MANDUCHI, Il ruolo delle soglie di punibilità nella struttura dell’illecito penale, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2003, vol.

quantitativi, relativi all’imposta evasa, dal superamento dei quali discende la punibilità dei reati sopra indicati86.

Già in sede di esame dei criteri direttivi contenuti nella legge delega 205/199987, erano stati avanzati dubbi sull’opportunità di correlare la configurabilità dei delitti tributari a soglie di punibilità così strutturate e non invece commisurate ai soli componenti positivi di reddito sottratti a tassazione o ai componenti negativi non deducibili.

Ed infatti, sono palesi le difficoltà applicative che il richiamo al concetto di imposta evasa, implicante valutazioni di tipo contabile, ha creato nel giudizio penale. Non è, di conseguenza, infondata la questione se si sia, in realtà, reintrodotta surrettiziamente una sorta di pregiudiziale tributaria, dal momento che appare difficile, almeno nei casi più complessi, che la determinazione dell’imposta evasa, ad opera del giudice penale, non comporti un rinvio agli accertamenti compiuti in sede tributaria88.

Secondo altra prospettiva, si è invece osservato che la tesi della reviviscenza della pregiudiziale tributaria appare priva di qualsiasi appiglio normativo, in quanto essa non troverebbe alcun riferimento nella stessa legge delega (art. 9, l. 205/1999), ma risulterebbe anche in chiaro contrasto con la Relazione ministeriale di accompagnamento al d.lgs. 74/2000, ove, in ordine all’introduzione delle soglie ragguagliate all’ammontare dell’imposta evasa, si parla espressamente «di devoluzione al giudice penale di compiti di verifica spesso completamente sovrapponibili a quelli del giudice tributario»89.

Possono, dunque, ragionevolmente riconoscersi nel tentativo (poco riuscito, evidentemente) di dissipare queste incertezze interpretative le ragioni che hanno portato il legislatore ad inserire fra le definizioni di cui all’art. 1 del d.lgs. 74/2000 anche quelle relative all’«imposta evasa» e alle «soglie di punibilità». Infatti, tra le modifiche apportate alla vecchia disciplina vi è l’introduzione, in via preliminare, di una norma generale che preveda alcune definizioni valide in ordine a tutte le ipotesi delittuose disciplinate. Trattasi di una tecnica legislativa che, negli ultimi anni, ha caratterizzato numerosi settori della legislazione complementare (si pensi alla materia della sicurezza e salute dei lavoratori90, dei rifiuti91, o del trattamento dei dati

personali92), e riguardo al diritto penale tributario pare una scelta particolarmente opportuna,

posto che la intellegibilità delle fattispecie criminose da esso disciplinate richiede il rinvio a concetti di non facile comprensione, derivanti da altri rami dell’ordinamento giuridico93.

Per quanto concerne la nozione di «imposta evasa», all’art. 1 lettera f) del citato decreto, si

                                                                                                               

86 L.D. CERQUA e C.M. PRICOLO, La riforma della disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore

aggiunto (I), cit., p. 575.

87 Parte della dottrina ha manifestato dubbi di legittimità costituzionale in ordine a quello che sarebbe un evidente eccesso di

discrezionalità attribuita al legislatore delegato riguardo alla determinazione in concreto delle soglie di punibilità, in quanto analiticamente descritte anche in merito alla loro stessa struttura. In tal senso v., tra gli altri, S. RIONDATO, Riforma del diritto penale tributario tra abuso parlamentare della delegazione legislativa e abuso governativo della legislazione delegata, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2001, p. 115 ss.; E. MUSCO, Il nuovo diritto penale dell’economia tra legislativo ed esecutivo, cit., p. 117 ss. In generale, per un commento dei principi e criteri direttivi sanciti dalla legge delega in materia penale tributaria, cfr. O. DI GIOVINE, La nuova legge delega per la depenalizzazione dei reati minori tra istanze deflattive e sperimentazione di nuovi modelli, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, p. 1427 ss.; G. BERSANI, La riforma del diritto penale tributario ex art. 9 l. 205/1999, in Riv. pen., 2000, p. 197 ss.

88 Per le medesime considerazioni, I. CARACCIOLI, Reati fiscali: ritorna la forte tentazione di risuscitare la pregiudiziale

tributaria, in Il Fisco, 2000, fasc. 5, p.13.

89 V. L.D. CERQUA, L’evasione d’imposta nella struttura dei delitti in materia di dichiarazione. Profili di natura

processuale, in Dir. pen. proc., 2006, p. 1142.

90 D.lgs. n. 81/2008 e relative disposizioni correttive (art. 2). 91 D.lgs. n. 152/2006 e relative modifiche (art. 5).

92 D.lgs. n. 196/2003 come modificato (art. 4).

93 L.D. CERQUA e C.M. PRICOLO, La riforma della disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore

precisa che per tale deve intendersi «la differenza tra l’imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, ovvero l’intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta o comunque in pagamento di detta imposta prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine». Chiarendosi, inoltre, con specifica aggiunta (in sede di riforma ultima), che «non si considera imposta evasa quella teorica e non effettivamente dovuta collegata a una rettifica in diminuzione di perdite dell’esercizio o di perdite pregresse spettanti e utilizzabili». Quanto alle «soglie di punibilità», la successiva lettera g) dell’art. 1 dispone che «le soglie di punibilità relative all’imposta evasa si intendono estese anche all’ammontare dell’indebito rimborso richiesto o dell’inesistente credito di imposta esposto nella dichiarazione», considerata la perfetta equivalenza, in ambito penale, delle due condotte: quella tesa a ridurre illecitamente l’ammontare della prestazione dovuta e quella volta ad ampliare il credito d’imposta, ancorché non esistente.

Probabilmente, fermo restando le inevitabili complicazioni pratiche legate alla necessità di riferirsi a misurazioni di ordine contabile, tali indicazioni vanno interpretate nel senso di una ricostruzione della voluntas legis in ogni caso tesa ad autonomizzare le valutazioni, in sede penale, concernenti la concreta quantificazione dell’entità dei comportamenti evasivi.

Venendo ora a trattare più nel dettaglio il concreto funzionamento delle soglie di punibilità in relazione alle fattispecie delittuose sopra indicate, occorre considerare che il superamento congiunto di entrambe le soglie è richiesto per i reati di cui agli artt. 3 e 4 del d.lgs. 74/2000, mentre per il reato ex art. 5 è previsto unicamente il superamento di un limite di imposta evasa.

In particolare, a seguito dell’emanazione del richiamato d.lgs. 158/2015, che – in chiara controtendenza rispetto alla linea di azione intrapresa pochi anni prima, con la citata legge 14 settembre 2011, n. 14894 – ha determinato un innalzamento delle stesse soglie per tutti e tre i delitti, quello di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici è punito (con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni) nel caso in cui l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro trentamila e l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi fittizi, è superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, è superiore a euro un milione cinquecentomila (in precedenza era 1.000.000,00 di euro) ovvero «qualora l’ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell’imposta è superiore al cinque per cento dell’ammontare dell’imposta medesima o comunque a euro trentamila (soglia, quest’ultima, introdotta ex novo dalla recente novella).

Il delitto di dichiarazione infedele è punito (con la reclusione da uno a tre anni) quando l’imposta evasa, con riferimento a taluna delle singole imposte, è superiore a euro centocinquantamila (in precedenza erano 50.000,00 euro) e l’ammontare complessivo degli

                                                                                                               

94 «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per

la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari». Tale legge si inseriva, determinando un notevole abbassamento delle soglie in parola, nel previgente contesto normativo ove, invece, il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici era punito (con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni) nel caso in cui l’imposta evasa fosse superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro 77.468,53 e l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi fittizi, fosse superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, fosse superiore a euro 1.549.370,70; il delitto di dichiarazione infedele era punito (con la reclusione da uno a tre anni) quando l’imposta evasa, con riferimento a taluna delle singole imposte, fosse superiore a 103.291,38 euro e l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione fosse superiore al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, fosse superiore a 2.065.827,60 euro; il delitto di omessa dichiarazione, infine, era punito (con la reclusione da uno a tre anni) nel caso in cui l’imposta evasa, con riferimento a taluna delle singole imposte, fosse superiore a 77.468,53 euro.

elementi attivi sottratti all’imposizione è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, è superiore a euro tre milioni di euro (in precedenza erano 2.000.000,00 di euro).

Il delitto di omessa dichiarazione, infine, è punito (con la reclusione da uno e sei mesi a quattro anni) nel caso in cui l’imposta evasa, con riferimento a taluna delle singole imposte, è superiore a euro cinquantamila (in precedenza erano 30.000,00 euro).

Ebbene, l’articolato sistema delle soglie di rilevanza sin qui descritto non è rimasto esente da critiche ed i rilievi che sono stati mossi riguardano diversi aspetti del suo funzionamento.

Nello specifico, si è osservato – da un lato – che la previsione di tali limiti quantitativi della punibilità determinerebbe una distinzione troppo netta tra chi si trovi poco al di sotto degli stessi e chi se ne ponga poco al di sopra, in modo da non giustificare in concreto la disparità di trattamento; dall’altro lato, si è evidenziato che essa potrebbe costituire un incentivo al delitto e creare delle aree di impunità95.

Tuttavia, sembrano valere anche in questo caso le considerazioni sopra accennate in merito alla necessità di selezionare le possibilità di ricorrere allo strumento punitivo, oltre che per il suo carattere indefettibilmente sussidiario, in ragione del contemperamento dell’esigenza repressiva con altri interessi di primaria importanza, pure presidiati a livello penalistico. È sensato e ragionevole, secondo una filosofia politica volta a rendere soggetti alle pene criminali solo i grandi evasori, rinunciare alla punizione se l’illecito manca di consistenza economica e se, per la non grave entità, è attribuibile a contribuenti piccoli e medi, rispetto ai quali prevalgono le preoccupazioni, di natura fiscale, atte a recuperare nella maniera più celere possibile quanto non versato all’erario. L’esperienza dei giudizi penali dimostra, del resto, non soltanto la difficoltà, ma addirittura l’impossibilità, in tali ipotesi, di far fronte a processi che spesso non è consentito neppure instaurare e che, quand’anche siano istruiti, terminano troppo di frequente in prescrizione dei reati, col solo risultato di distogliere i giudici da vicende di maggiore rilievo e di accumulare spese destinate a rimanere irripetibili.

Nondimeno, l’innalzamento ultimo delle soglie stesse (scontata è, naturalmente, l’incidenza anche sui processi in corso di tale intervento “ampliativo” operato sulla dimensione quantitativa dell’illecito) risponde all’obiettivo del legislatore, più volte evidenziato, di ridurre ulteriormente l’ambito operativo delle fattispecie penali tributarie, al fine di riservare la risposta punitiva ai soli casi connotati da un peculiare disvalore giuridico. E privilegiando, al contempo, la sanzione amministrativa per la repressione di quelle condotte che si connotano invece, in linea di principio, per un disvalore diverso e minore.

Che poi il concreto operare delle soglie, insieme al loro difficile inquadramento sistematico, comporti non poche problematiche, è cosa diversa. Si vedrà meglio più avanti quanto difficile sia, in generale, ricostruire il ruolo della “non punibilità” ancorata al composito meccanismo dei limiti quantitativi, utilizzato in diversi ambiti del diritto penale economico. Tuttavia, contestare

a priori che questo possa costituire uno strumento utile ai fini del necessario contenimento della

risposta penale, in ragione di una presunta “ingiustizia” sostanziale, non appare condivisibile. E ciò vale per la materia tributaria molto più che in altri settori, considerati i reali obiettivi di tutela sottesi al sistema repressivo degli illeciti fiscali.

Inoltre, tornando alla descrizione dei rilievi critici, non appare immediatamente afferrabile la ratio della diversificazione operata in via legislativa tra le due fattispecie di dichiarazione fraudolenta ex artt. 2 e 3 d.lgs. 74/2000, essendo la prima esclusa dall’ambito di operatività

                                                                                                               

95 Tra gli altri, V. MANES, Le violazioni dipendenti da «obiettive condizioni di incertezza» e l’errore nel sistema dei reati

delle soglie e assoggettata soltanto ad una diminuzione di pena (c.d. soglia di minor punibilità) nel caso in cui l’ammontare degli elementi passivi fittizi sia inferiore a euro 154.937,07 (art. 2, comma 3)96.

Probabilmente, a proposito, le perplessità in ordine al rispetto del principio di uguaglianza potrebbero essere fugate attraverso la considerazione secondo cui il disvalore della condotta del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti sia tale da pretenderne la punizione tout court. In questo caso, evidentemente sono prevalse le ragioni punitive, ed in particolare quelle preventive, a fronte di comportamenti ritenuti particolarmente insidiosi per le peculiari modalità realizzative e, dunque, idonei a concretizzare un rischio penale. Del resto, lo strumento della soglia di minor punibilità vale ad ammortizzare il potenziale squilibrio che potrebbe determinarsi, per quanto concerne la concreta punizione, rispetto alle altre ipotesi assoggettate alle soglie di rilevanza.

Vero ciò, al tempo stesso, deve altresì rilevarsi che alla luce della nuova disciplina – la novella ultima, lo si è visto, interviene incisivamente sulla struttura costitutiva della condotta tipica del reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici – la distinzione tra le due ipotesi delittuose risulta piuttosto sfumata, essendo divenuto alquanto difficoltoso tracciare una chiara linea di confine tra le operazioni «inesistenti» di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000 e le operazioni «simulate» contemplate dall’art. 3. Il legislatore d’altronde, in ordine al reato da quest’ultimo disciplinato, se, da un lato, salva la soglia quantitativa (continuando a non prevederla, invece, in relazione all’altra ipotesi di dichiarazione fraudolenta), dall’altro lato, elimina totalmente le regole di tolleranza previste dalla vecchia norma per le valutazione estimative, a dimostrazione di volerne comunque potenziare, da questo punto di vista, l’ambito applicativo.

Da un altro angolo visuale, poi, vengono opportunamente sollevati dubbi in merito alla effettiva capacità deflattiva, riguardo al numero dei procedimenti penali, dell’attuale sistema penale tributario ancorato all’applicazione di soglie quantitative commisurate al superamento di un limite di imposta evasa, posto che – come accennato – risulta necessario preliminarmente un accertamento di tipo contabile dello stesso97. Pertanto, il giudice penale dovrebbe in ogni caso

attendere i risultati dell’analisi valutativa compiuta dagli uffici finanziari, ai cui rilievi inevitabilmente condizionerebbe la propria decisione, al pari di quelli derivanti dalle operazioni peritali degli esperti da lui eventualmente nominati. Tale accertamento non può non provocare un appesantimento dell’indagine penale, a discapito del tanto invocato recupero della speditezza e celerità processuali.

Quanto appena detto introduce la questione, fortemente dibattuta, circa il rapporto tra procedimento penale e procedimento amministrativo-tributario in relazione alla corretta determinazione dell’imposta evasa.

Nonostante il legislatore abbia inteso escludere qualsiasi rapporto di dipendenza tra procedimento penale e contenzioso tributario, si è già evidenziato come rimanga ancora aperta, e non risulti affatto infondata, la discussione riguardante una possibile rinascita mascherata della pregiudiziale tributaria, in ragione dell’esigenza di quantificare l’imposta effettivamente dovuta98. Come noto, il meccanismo della pregiudizialità imponeva di subordinare l’esercizio

                                                                                                               

96 V. G. CASAROLI, op. cit., p. 358; C. MANDUCHI, op. cit., p. 1214. 97 A. MANNA, op. cit., p. 121.

98 Cfr. I. CARACCIOLI, Reati fiscali: ritorna la forte tentazione di risuscitare la pregiudiziale tributaria, cit., p. 13. V. anche

dell’azione penale al giudicato formatosi nell’ambito del processo tributario o, comunque, alla definitività del contenuto dell’avviso di accertamento.

Secondo un primo orientamento, vi sarebbe assoluta autonomia tra l’accertamento compiuto in sede penale e quello realizzato in ambito amministrativo-tributario. Al riguardo, si è precisato che i soggetti cui spetta una prima individuazione del tributo evaso sono i pubblici ufficiali incaricati di compiere operazioni ispettive nei confronti del contribuente e gli stessi, in caso in cui riscontrino una condotta riconducibile ai reati in parola, dovranno informarne la competente autorità giudiziaria. Ove, poi, gli agenti di polizia giudiziaria incontrassero difficoltà tecniche nella determinazione dell’imposta evasa, si ritiene che possano chiedere la collaborazione dei funzionari amministrativi, ma in ogni caso i due accertamenti resterebbero distinti e autonomi, nel senso che la ricostruzione della posizione fiscale del contribuente dovrebbe essere condotta dagli organi di polizia tributaria in maniera parallela rispetto al procedimento amministrativo relativo all’accertamento dei tributi dovuti99.

Alla stregua di una seconda impostazione, si sostiene invece la necessità di una stretta correlazione tra i due procedimenti, in quanto la determinazione quantitativa dell’imposta evasa, ai fini penali, non potrebbe prescindere dalla formalizzazione della pretesa impositiva da parte dei titolari del potere di accertamento in sede amministrativa. Per tale atto si intende quello resosi definitivo: - per scadenza dei termini previsti per l’impugnazione; - per l’adesione perfezionata in conformità al d.lgs. n. 218/1997; - per conciliazione giudiziale; - a seguito dell’esercizio del potere di autotutela; - in conseguenza di sentenza, non impugnata o non più impugnabile, emessa dalla commissione tributaria100. Inoltre, si considera al riguardo che le