• Non ci sono risultati.

4. LE CRISI DI MERCATO

4.2 La crisi del 2008

4.2.3 La crisi del 2008 nello shipping

A rendere la crisi così radicata, fu la somma tra una bolla globale, quella legata ai subprime, ed una bolla nel mercato dello shipping, il cui ciclo di business era giunto alla completa saturazione. Se come detto precedentemente le bolle sono in gran parte generate artificialmente da un’eccessiva concessione di credito che genera eccessive speculazioni, ad aggravare la situazione della “fisiologica” caduta del ciclo di shipping si è aggiunto lo scoppio della bolla finanziaria: si veda la Figura 3. . 67

(Fonte:De Monie, G. J-P Rodrigue and T. Notteboom, Economic Cycles in Maritime Shipping and Ports: The Path

to the Crisis of 2008, 2010)

Tra i fattori in gioco, le peculiarità legate alla natura del settore, hanno determinato il grado con cui esso è stato colpito:

-

la correlazione con i consumi mondiali: l’effetto della turbolenza macroeconomica De Monie, G. J-P Rodrigue and T. Notteboom, Economic Cycles in Maritime Shipping and Ports: The Path to

67

the Crisis of 2008, P.V. Hall, B. McCalla, C. Comtois and B. Slack (eds) Integrating Seaports and Trade Corridors.

Surrey: Ashgate, 2010

-

la tensione del mercato verso l’equilibrio: l’effetto della sovra-offerta

-

il legame con il mondo finanziario: l’effetto della turbolenza finanziaria

La turbolenza macroeconomica.

Il calo dei consumi e quindi dei traffici ha avuto, come prevedibile, un effetto immmediato sull’interno settore dei trasporti. Si può affermare che il settore abbia risentito del declino della domanda aggregata e che ciò abbia comportato una caduta dei traffici internazionali e dei volumi globali trasportati.

La sovra-offerta e la depressione dei noli.

Fabrizio Vettosi, si rese conto nell’ormai lontano 2008, che il ciclo era ormai in prossimità di cadere. Egli provò a stimare di quanto sarebbe dovuta crescere la domanda di trasporto, affinché gli investimenti ricevessero una remunerazione logica e il mercato rimanesse stabile. Trovò degli ev/sales infiniti: ci sarebbero voluti 1.200 anni di re-payment. Con gli ordinativi che erano stati fatti, la flotta sarebbe cresciuta al 10% annuo per 3 anni . Ed è ciò che è 68

accaduto. Al contrario, come sappiamo, la domanda non è cresciuta allo stesso ritmo.

Il segmento tankers era dotato a quella data della flotta più grossa, sia per numero di navi che per tonnellaggio, ma è il settore bulk che ha incrementato maggiormente la propria flotta con nuovi ordinativi, immettendo sul mercato 271.731.000 di offerta di tonnellaggio, un numero che incide del 67% sulla capacità esistente.

Un atteggiamento del genere in tutto il mercato dello shipping è spiegabile dal sentimento che il mercato stava vivendo in quel momento. I finanziamenti per la flotta potevano essere ricevuti con bassi tassi di interesse, inoltre si credeva che ci sarebbe stata ancora molta domanda da soddisfare. Si pensi che nel 2008 furono 16 i trilioni di Dollari di merci esportate . 69

I dati dimostrano l’esistenza di un bolla. Una bolla molto più grande di quella della new economy. Proprio come per la borsa di Wall Street o il fenomeno della new economy infatti, ciò che è successo nello shipping prima del 2008, è un processo speculativo. Ciro Russo della Vsl spiega che “erano in moltissimi comprare navi per poi rivenderle a prezzi più alti da tanto

F. Vettosi, “Intervista del 24 maggio”, Milano, 2017

68

UNCTAD, Review of maritime transport 2016, (UNCTAD/RMT/2016), UNITED NATIONS PUBLICATION, Palais

69

che erano alti i noli, propri come se fossero titoli in portafoglio; questo gli consentiva di esercitare delle opzioni e ottenere navi non pagando praticamente niente: si trovava sempre a chi vendere” . 70

Come ogni bolla prima o poi è scoppiata e il motivo è stato ancora l’overcapacity. L’ottimismo e l’irrazionalità hanno ancora una volta accecato le previsioni e le decisioni di investimento. Una delle ragioni della sovra-offerta è da ricercare nella crescita dei paesi emergenti, in primis la Cina, che dagli anni 2000 ha allargato enormemente l’offerta, soprattutto delle dry bulk. I Paesi est-asiatici hanno cominciato ad aprire mano a mano sempre più cantieri navali a partire dagli anni ’90 secondo il “flying gene paradigm”, così come è definito da Kaname Akamatsu . L’FGP è un modello per la divisione internazionale del lavoro in Asia orientale 71

basato su vantaggi comparativi dinamici. Il paradigma spiega come avvenga lo sviluppo dei paesi asiatici, come parte di una gerarchia regionale dove la produzione di commodity si sposta continuamente dai paesi più avanzati e quelli meno avanzati, e così la crescita di vari settori. Le nazioni sottosviluppate della regione possono essere considerate allineate dietro le nazioni industrializzate e avanzano nell'ordine delle loro differenti fasi di crescita, proprio come accade per il volo delle oche selvatiche. L'impulso allo sviluppo deriva sempre dal livello superiore, rendendo l'FGP un modello top-down. Il leader inizialmente è stato il Giappone, che dal ’70 sino al ’75 ha guadagnato una quota del 52% della produzione navale mondiale. Come un domino, il modello di crescita è stato seguito dalla Corea del Sud, che negli anni 2000 è arrivata a contribuire al 30% dell’offerta di tonnellaggio mondiale. E infine la Cina, guadagnando un 35% nel 2009 . 72

La turbolenza finanziaria causata dalle connessioni tra shipping e finanza.

La stretta correlazione tra shipping e finanza, ha fatto sì che il settore risentisse particolarmente di quanto successo al mondo bancario. Nella decade precedente la crisi, il rapporto delle compagnie di shipping con le banche era notevolmente mutato. Se dapprima quest’ultime rivestivano un ruolo passivo, dalla fine degli anni ‘90 cominciarono ad avere un grado di involvement maggiore.

C. Russo, “Intervista del 24 maggio”, Venice logistic shipping - Milano, 2017

70

United Nations, Discussion Papers, “The Asian developmental state and the flying geese paradigm” Discussion

71

Papers N.213, November 2013

Magnolis G. Kavussanos, Ilias D. Visvikis, The international handbook of shipping finance

Uno dei motivi di questo cambiamento è stata l’intensità di capitale richiesta dal trasporto, non più soltanto per l’acquisizione di asset, ma anche per il finanziamento dell’attività operativa. Gli investimenti hanno cominciato a protrarsi sempre più nel tempo, richiedendo un coinvolgimento sempre più intenso nell’attività da parte degli istituti bancari.

Inoltre, con la crescita del commercio internazionale, i porti e le imprese di trasporto sono diventate sempre più attraenti per il mondo finanziario, dalle banche, alle assicurazioni e perfino ai fondi pensione: grandi quantità di capitali sono state investite nelle imprese di shipping, considerandole come asset per differenziare il proprio portafoglio e consolidando una reciproca dipendenza.

Alla crescita dei traffici si deve un altro fenomeno, che ha intensificato ancor di più il rapporto banche-shipping: il finanziamento da parte delle banche della quasi totalità delle transazioni mondiali. Uno degli strumenti più utilizzati con cui si realizza ciò è la lettera di credito.

Se ancora ciò non bastasse, negli ultimi anni antecedenti alla crisi, si è conosciuta la diffusione degli shipping derivatives, strumenti derivati sviluppati per proteggersi dal rischio derivante dall’alta volatilità del mercato dello shipping, ovvero dalle fluttuazioni dei noli, dei prezzi del bunker, del valore delle navi e dello scrap, dei tassi di interesse, delle valute estere . 73

Fino al 2008 questo rapporto ha prodotto molti benefici per il settore: ha supportato le economie importante sull’export come quelle est asiatiche, ha contribuito all’integrazione dei porti con i mercati regionali in Europa e negli Stati Uniti.

Quando la bolla è scoppiata però, la dipendenza era così intensa che le debolezze del sistema finanziario si sono riversate sullo shipping. I termini per ricevere lettere di credito divennero molto più stringenti; a volte gli istituti finanziari si rifiutavano di onorare le lettere di credito emesse da banche estere o semplicemente non volevano concedere il credito. 74

Russo afferma che “in molti coprirono le proprie navi con una leva anche al 100%: questi sono andati in rovina; altri, più fortunati, hanno intrapreso delle ristrutturazioni. Le banche, che spesso erano entrate con strumenti partecipativi nel capitale delle compagnie, non proprio come primi azionisti, hanno risentito dell’alta leva, e dopo la crisi hanno inasprito i controlli e restrinto la concessione di credito alle società armatoriali”.

Magnolis G. Kavussanos, Ilias D. Visvikis, The international handbook of shipping finance

73

De Monie, G. J-P Rodrigue and T. Notteboom, Economic Cycles in Maritime Shipping and Ports: The Path to

74

Gli effetti della crisi sullo shipping, e non solo.

Dopo aver parlato delle cause, vediamo come ha reagito il settore alla caduta repentina dei noli. Ricercando un paragone nella storia passata, durante la crisi dei noli del 1981-86 si visse una situazione simile, e cioè anche allora le banche si trovarono con prestiti in default che erano stati concessi a compagnie di shipping. A differenza della crisi dei subprime però, la crisi in quel caso fu legata soltanto al settore marittimo, il che concesse alle banche con un portafoglio diversificato di gestire i problemi di liquidità che sono invece stati vissuti dalle banche dopo il 2008.

Il sistema bancario infatti nel 2008, non era dotato di riserve sufficienti ad assorbire le perdite, dato che dovevano impegnarsi a rispettare i requisiti di capitale imposti da Basilea II. Per ogni somma di write off, è obbligatorio un aumento di capitale o una riduzione di asset.

Inoltre negli anni ‘80, il modus operandi fu quello di vendere il maggior numero possibile di navi per cercare di ripagare parte dei debiti. Ciò non accadde con i subprime.

La crisi del 2008 ebbe effetti molto più disastrosi di qualsiasi crisi degli ultimi 50 anni. Impattò sulla quasi totalità dei settori economici, compreso lo shipping. L’effetto fu immediato sul segmento dei container, a causa della repentina diminuzione dei consumi, ma ha pressoché fu lasciato invariato il segmento del dry-bull, che anzi esso beneficiò degli investimenti cinesi che portarono ad un forte aumento della propria produzione di acciaio e delle importazioni di carbone e grano.

Le aziende familiari infine, meritano una certa attenzione in questa trattazione. Si pensi infatti che nel 2008 su una totalità di 7.660 aziende italiane con ricavi superiori ai 50 milioni, 2.522 erano familiari e 21 di esse operavano nel settore del trasporto marittimo.

Queste 21 aziende avevano tra l’altro un fatturato superiore a 250 milioni, che si attesta quindi su livelli molto più alti rispetto alla totalità delle aziende italiane e le qualifica come aziende di grandi dimensioni. Dagli anni 2000 sino alla crisi, le aziende familiari hanno dimostrato di saper crescere più delle altre: i loro ricavi sono cresciuti dell’ 84%. Ancora più meritevoli le 75

aziende familiari nello shipping, che nello stesso periodo sono cresciute ad un tasso del 136%. Se ancora agli albori del 2008 la redditività del settore era molto alta, più alta rispetto alla media nazionale, la crisi ha poi annullato completamente questo vantaggio.

La crisi nel settore dello shipping in Italia è arrivata dispiegando tutti i suoi effetti nel 2009.

Convegno Scuola di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza, La crisi finanziaria internazionale e le banche

75

E fu proprio a livello di impresa familiare che la crisi ha impattato in maniera più rilevante. La ragioni possono ricondursi principalmente a due circostanze:

• la forte dipendenza di tali aziende dal settore bancario. Lo si nota nel grado di indebitamento espresso come rapporto tra il totale delle attività ed il patrimonio netto, che sì sembrava essere inferiore alle medie di mercato, ma trovava ragione nella contabilizzazione del leasing, di rilevante peso per tali aziende . 76

• la bassa capacità di tali aziende di ripagare il debito. Il rapporto tra Pfn ed ebitda è passato da 3,8 nel 2008 ad 8,1 nel 2010. Oltre all’eccessiva esposizione, mostrata nel 2009 da un incremento della Pfn del 28%, ha chiaramente inciso la riduzione della capacità di generare reddito, che è scesa del 30% in termini di Ebitda . 77

Per quanto riguarda i porti italiani, si può dire che la maggior parte ha risentito di ciò che è avvenuto nel mercato delle commodity. Esso, che negli anni precedenti beneficiava di una espansione continua della domanda, sulla scia dello sviluppo economico generale, dal 2009 conobbe una dura contrazione che causa un collasso dei prezzi ed una forte domanda di stoccaggio delle merci presso i porti.

I dati mostrano che il 2009 ha registrato per l’Italia una contrazione del traffico di merci del 13,7% rispetto all’anno precedente. In modo particolare sono stati toccati i traffici delle merci solide. Alcuni tra i decrementi più significativi: Livorno -24%, Trieste -18,10%, La Spezia -16% e Ravenna -13,7%. Tra i meno negativi Taranto (-5,7%) e Venezia (-2,5%) . 78

Per quanto riguarda le rinfuse liquide, che meritano più attenzione per questo studio, il principale porto italiano nel 2009 è restato Trieste, che ha anche conosciuto uno dei minori decrementi, con un relativamente meno pungente 6% in meno rispetto all’anno precedente. Per importanza in relazione all’entità del decremento, nel settore merci liquide, vi furono i porti di Augusta con 23,522 milioni di tonnellate (-19,78%), Cagliari-Porto Foxi con 23,343 milioni di tonnellate (-16,3%), Genova con 20,310 milioni di tonnellate (-3,3%), Messina- Milazzo, che a differenza degli scali che la precedono mostra un traffico in crescita (+2,6%; 14,859 milioni di tonnellate), e Venezia (-5,33%; 11,674 milioni di tonnellate). Livorno movimentò un -13,3% rispetto alle quantità movimentate nell’anno precedente, per un totale

Le aziende non redigono il bilancio secondo i principi IFRS/IAS che impongono il metodo finanziario, quindi la

76

contabilizzazione del leasing non comporta affatto la sua iscrizione nelle attività ed il relativo debito nelle passività.

Per i dati di questo paragrafo si veda lo scritto Di G.Corbetta, A. Minichilli, F. Quarato, Executive Summary -

77

Focus sulle aziende dello Shipping, Osservatorio AIdAF-Unicredit-Bocconi (AUB) su tutte le aziende familiari

italiane di medie e grandi dimensioni, Milano, 2012

http://www.mit.gov.it/mit/mop_all.php?p_id=08957 78

di 7,474 milioni di tonnellate. Gli unici scali che, confrontati con il 2008, riportarono una crescita furono Taranto (+4,3% circa; 6,610 milioni di tonnellate) e Ravenna (+3,2%; 4,632 milioni di tonnellate). Sostanzialmente stabili, anche se in leggera flessione, furono i traffici a Savona (- 1,27%; 7,360 milioni di tonnellate) e Napoli (-0,5%; 4,260 milioni di tonnellate).” 79