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Il 2014: anno di decisioni importanti per Dalmare

6. IL CASO DELLA D’ALESIO GROUP

6.3 Lo studio della Dalmare

6.3.3 Il 2014: anno di decisioni importanti per Dalmare

Il 2014 è l’anno in cui la situazione per Dalmare è peggiorata talmente da indurre il management a prendere scelte concrete. La perdita si fece consistente ma non arrivò ai livelli di Motia, Augusta, D’Amato o Bottiglieri; i Fcfo negativi.

La situazione finanziaria stava peggiorando: dall’analisi del margine di struttura secondario, si evince che il capitale permanente copriva parzialmente le attività immobilizzate, in parte quindi finanziate con le passività correnti. L’indebitamento a breve termine continuò a crescere e superò quello a lungo termine, portando la società a pagare 10 milioni di oneri finanziari annui, che determinarono un Rod del 6,89%.

Con un Roi dello 0,69%, a fronte di una leva altissima (15), il Roe diventò negativo, pari al -166,34%: il patrimonio netto nel giro di un anno era passato da 39 milioni a soli 15.

La riduzione del rendimento del capitale proprio fu notevolmente influenzato da minusvalenze patrimoniali conseguite dalla vendita di due asset. I natanti si sono ridotti del 19%, infatti nel corso dei primi mesi del 2014, la Dalmare procedette alla vendita delle Bulk

Passività a breve Passività a lungo

OF 10 mln

carrier Giannutri e Montecristo, riconducendo il proprio core-business sul settore petrolifero e abbandonando l’esperimento del carico secco.

Vista la crisi, intorno alla primavera del 2011 l’intenzione del management dell’azienda, era di vendere le supramax per realizzare quanto più cassa, facendo Asset play. Una bulk-carrier è stata venduta realizzando una plusvalenza di 3 milioni, le restanti invece, non trovando alcun compratore, hanno navigato per due anni sotto le redini della società. In seguito, come spesso accade nello shipping, il mercato è imprevedibile: anche i noli del carico secco hanno subito un grave rallentamento, cosa che ha determinato l’incapacità dell’azienda di ripagare le rate capitali relative alle due bulk rimaste, oltre che alle altre navi della flotta. Nel 2014 quindi, la società si è liberata del business del carico secco, vendendo ciascuna nave a 28,5 milioni e registrando 15 milioni di minusvalenze complessive. Si pensi però, che soltanto l’anno dopo la stessa nave veniva quotata sul mercato a soli 15 milioni. Il bulk rimase soltanto un esperimento: l’azienda è sempre stata focalizzata sul business delle navi cisterna e la scelta di rivolgersi anche al settore del carico secco fu una scelta obbligata, lungimirante viste le condizioni di mercato, ma non di certo frutto di un reale interesse per quel segmento.

Il problema principale di un’azienda armatoriale in crisi è che, per assurdo, non può liberarsi della propria flotta: ciò che un tempo è stato driver di valore, diventa una patata bollente. Le navi diventano soltanto un costo da sopportare.

La causa di tutto ciò sono state le significative ripercussioni sull’attività commerciale del mutato contesto macroeconomico:

-

nel segmento noleggi le rate di nolo sono arrivate ai livelli minimi e come se non bastasse vi è stato un aggravio dei costi del carburante

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nel segmento vendite prodotti petroliferi i quantitativi movimentati sono stati minori rispetto al passato a causa di una crisi congiunturale che ha ridotti i traffici portuali

La conseguenza principale è stata che per la maggior parte delle aziende, Dalmare compresa, è stato impossibile ripagare le quote capitali e gli interessi relativi a finanziamenti di asset ormai non più capaci di generare profitti.

Quando la situazione si fece inequivocabile, maturò a pieno l’idea di trovare al più presto una soluzione sostenibile con le banche per la ridefinizione dell’indebitamento finanziario della Dalmare, e non solo (come vedremo in seguito la ristrutturazione riguardò tutto il Gruppo). Il 4 marzo 2014 è stata indirizzata una lettera di standstill a tutte le banche finanziatrici. Con la lettera di standstill una società chiede un accordo di sospensione delle rate già scadute od in scadenza, chiamato pactum de non petendo nel primo caso e moratoria nel secondo, e

manifesta la volontà di ristrutturare la propria posizione debitoria. L’accordo di standstill è catalizzatore del risanamento, ma non è di per sé la soluzione alla crisi. Esso fa guadagnare tempo all’azienda in crisi, che nel periodo di sospensione dei pagamenti ha il tempo di predisporre un piano di turnaround da sottoporre all’attenzione dei propri creditori. Questo periodo sospensivo, ha consentito all’azienda di sfruttare marginalità positive per il completo riequilibrio delle esposizioni debitorie non bancarie, ovvero del capitale circolante netto. La ristrutturazione non ha quindi coinvolto i creditori commerciali.

Le trattative con le banche sono durate due anni e mezzo. Inizialmente gli istituti si mostrarono incerti, il loro atteggiamento, come spesso accade, si fece ostile, e tutto ciò rallentò il processo di risanamento.

Si fece decisivo l’intervento a fianco dell’azienda di figure professionali per conferire credibilità alle richieste del Gruppo. Furono incaricate primarie società di advisory quali Lazard, in veste di consulente finanziario, e Venice Logistic Shipping (Vsl), con esperienza di restructuring nei settori di riferimento, coadiuvate dagli studi legali Latham&Watkins e dallo Castaldo Magliulo, al fine di predisporre una manovra finanziaria che prevedesse un buisiness plan finalizzato a rimodulare i termini e le condizioni del debito complessivo, per renderlo maggiormente congruo con le aspettative di cash flow operativo e perseguire l’obiettivo della prosecuzione aziendale.

Anche gli istituti di credito, esteri ed italiani, hanno nominato degli studi legali a loro tutela per gestire le trattative. La richiesta principale dell’azienda era quella di ridurre lo spread a 100 bps.