5. CRISI D’IMPRESA E TURNAROUND
5.2 La strategia di turnaround: il ripensamento del business e la formula strategica del domani
5.2.1 Le tre dimensioni del turnaround
Nel precedente paragrafo si è parlato dell’esistenza di tre dimensioni d’impresa, più o meno interponesse tra loro. Esse fanno riferimento a tre modi di essere di un’azienda che scaturiscono da idee, decisioni ed azioni riguardanti la stessa.
Il cambiamento nella formula strategica di un’azienda impone il ripensamento di queste dimensioni ed è necessario che ciò avvenga in modo mutuale. Non si può dire che una dimensione prevalga su un’altra in termini di importanza, o che le decisioni prese su un fronte non abbiano effetti sugli altri; inoltre non è possibile tracciare confini netti per suddividerle.
L’intervento deve essere quindi calibrato prendendo in considerazione congiuntamente:
-
la dimensione organizzativa;-
la dimensione competitiva;-
la dimensione finanziaria . 105La dimensione finanziaria: il pericolo più imminente.
Partiamo dalla dimensione finanziaria. Non si può definire in assoluto la più importante, come appena detto non può essere fatta una classifica in questo senso, è però quello che necessita la maggior attenzione iniziale. Nonostante non basti al turnaround di raggiungere l’equilibrio finanziario, la mancanza di liquidità e l’incapacità di far fronte alle proprie posizioni debitorie sono i problemi imminenti di un’impresa in crisi.
garantendo un bilanciamento tra obiettivi opposti: i rimborsi dei debiti ed il fabbisogno finanziario.
Un intervento finanziario diventa in tal senso condizione necessaria perché si realizzino i piani di sviluppo e si ridia vita alle risorse strategiche dell’azienda. Pone le basi non soltanto per il raggiungimento di un equilibrio finanziario, ma anche per gli altri equilibri che l’azienda necessita.
I principali problemi del risanamento, sono l’asincronia tra le fonti e gli impieghi e la mancanza di liquidità: questo impone prima di tutto di dedicare la dovuta attenzione al rapporto con i diversi investitori, che siano i soci o terzi creditori.
Da una parte infatti c’è un attivo che da liquido tende a trasformarsi in immobilizzato: il magazzino si “immobilizza” a seguito della perdita di competitività; i crediti diventano anch’essi immobilizzati o vengono svalutati diventando insolventi.
In posizione diametralmente opposta, il passivo a breve termine non riuscirà a coprire quell’attivo sempre più immobilizzato. Si cercheranno di trovare azioni che trasformino il debito a breve in uno con durata analoga a quella critica formatasi tra gli impieghi.
In questo senso si contribuirà a ristabilire l’equilibrio patrimoniale, la correlazione diretta tra fonti e impieghi.
In più, secondo la dottrina, non è strategica la composizione delle fonti - certo essa influisce sul governo aziendale e sul rischio finanziario - , di rischio piuttosto che di credito, bensì la
S. Garzella, Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle “potenzialità inespresse”: una visione strategica per il
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capacità dell’azienda di remunerare in modo durevole ed adeguato tutti i fattori produttivi, compresi i dipendenti ed i fornitori, oltre che gli apportatori di capitale.
Produrre reddito non basta per creare valore: può anche accadere di produrre utili ma di erodere valore.
Giannessi parlando di “equilibrio economico” ne definisce le colonne portanti:
• “i risultati devono garantire una rimunerazione adeguata di tutti i fattori nessuno escluso, che hanno preso parte alla combinazione d’azienda;
• i risultati devono permettere l’assegnazione di un compenso al soggetto economico per conto del quale l’attività si svolge
• tanto la remunerazione adeguata dei fattori, quanto il compenso spettante al soggetto economico, devono essere garantiti per un intervallo di tempo che, in termini probabilistici, deve essere considerato soddisfacente” . 106
La remunerazione od il compenso, devono essere superiori al costo-opportunità per i soggetti di investire altrove, altrimenti l’azienda non risulterà allettante sui mercati finanziari e finirà per non attrarre alcun capitale.
“Deve essere in grado di attrarre capitale e trattenere capitali, proponendosi quale occasione di investimento conveniente sotto il profilo della combinazione rischio/rendimento, rispetto ai possibili impieghi alternativi” . 107
Ma per essere una attraente occasione di rendimento, l’azienda dovrà presentare una promettente strategia competitiva: ecco la prima connessione tra le dimensioni.
Sono l’area caratteristica dell’impresa ed i suoi business operativi che determinano la capacità dell’azienda di produrre flussi rimunerativi e la sua affidabilità finanziaria.
Di per sé un riassetto finanziario non basta quindi per un rilancio aziendale, e anzi necessita di un complementare ripensamento del business, del modo di fare azienda.
La valorizzazione delle risorse strategicamente rilevanti come intervento sulla dimensione competitiva.
Si passa alla dimensione competitiva. “Il valore dell’impresa - secondo Guatri - dipende anche dal suo potenziale di sviluppo, cioè dalla sua capacità di selezionare occasioni positive di crescita e di disporre delle condizioni per realizzarle” . 108
E. Giannessi, Appunti di economia aziendale, Pacini, Pisa, 1979
106
M. Galeotti, Governo dell’azienda e indicatori di performance, Edizioni il Borghetto snc, Pisa, 2001
107
L. Guatri, La teoria della creazione di valore
Il punto di partenza sarà quello di valorizzare le risorse aziendali strategicamente rilevanti, ovvero quelle con potenzialità competitive, ma che sono restate inespresse. Tali risorse sono quelle in grado di generare valore e vantaggio competitivo nel lungo termine.
Risorse del genere sono dette risorse distintive, quelle a cui l’azienda non può rinunciare, quelle che se non sono presenti affatto, determinano l’inutilità di qualsiasi progetto di recupero, rendendo preferibile la creazione di un nuovo sistema economico.
Sono risorse distintive quelle relativamente uniche, ovvero non facilmente reperibili o replicabili dalle altre imprese. A questo attributo se ne lega un altro, quello della durevolezza, sia intesa in termini di criticità a valere nel tempo, sia riguardo il periodo di tempo con cui potrebbe essere imitata dai concorrenti.
Inoltre una risorsa è distintiva se è dotata di estensibilità, se è capace di incorporare e liberare opzioni reali: questo significa che se immersa in altri settori, consente uno sviluppo grazie ai legami sinergici che riesce a creare con altre risorse.
Ancor più determinante è il valore per il cliente che la risorsa deve necessariamente avere: in definitiva sono proprio i clienti a determinare se una competenza o una risorsa sono distintive . In questo senso, le risorse distintive forniscono un grande contributo alla 109
creazione del valore, poiché il valore percepito dai clienti, genererà in loro fedeltà, ed a sua volta profitto e maggior valore . Un recupero sul fronte relazionale e quindi competitivo, 110
può infatti alimentare positivamente lo sviluppo su altri fronti, ad esempio attraendo risorse umane di maggior valore o ricevendo più facilmente dei finanziamenti.
La specificazione nel business plan di risanamento, delle risorse distintive, sulle quali la nuova strategia si basa, è di fondamentale importanza per gli stakeholders, perché chiarisce come effettivamente sarà possibile l’attuazione del piano. Poi il riposizionamento avverrà, usando queste risorse per conseguire un vantaggio competitivo.
La definizione delle risorse distintive, inoltre, impone, vista anche la scarsità di risorse finanziare disponibili per l’azienda, di focalizzarsi sulle aree ritenute strategiche.
Non sono semplicemente quelle che fanno parte del core business. Anch’esso può essere finito nel vortice della crisi. Si tratta invece di quelle in cui, con le proprie risorse distintive, l’azienda è capace di trasferire un valore realmente apprezzato dal cliente.
Gli asset non strategici sono da cedere per creare il più possibile cassa.
G.Hamel-C.Prahalad, Alla conquista del futuro, Il Sole 24 Ore, Milano 1995
109
F.F. Reichheld, Il fattore fedeltà. Clienti,dipendenti,investitori fedeli per la redditività dell’impresa,Il Sole 24 Ore,
110
Le esigenze finanziarie qui si mischiano a quelle competitive, a causa del trade-off esistente tra la necessità di fare cassa e la cessione di aree di business dotate di importanti potenziali.
Non è in disuso che molte imprese si trovino a dismettere Asa o Sbu contro la loro volontà, ma semplicemente per motivi di carattere finanziario.
Nella decisione deve influire anche l’impatto che la cessione di una determinata Asa potrebbe avere su tutte le altre.
Aiuta in questo senso la classificazione effettuata da Garzella nel suo libro “Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle potenzialità inespresse”, riguardo le aree di business. L’Autore divide le Asa in quattro gruppi principali:
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aree di business strategicamente rilevanti per l’impresa, che non dovrebbero essere mai cedute, anzi si dovrebbe tentare una ricapitalizzazione o comunque uno sviluppo per vie interne dell’area in questione; anche qualora si vendessero, si priverebbe l’impresa di risorse strategiche, senza spuntare grandi offerte sul mercato;-
aree di business strategicamente rilevanti per esterni, che invece sono da dismettere poiché ciò genererebbe una grande fonte di liquidità per l’impresa - visto il valore che alcuni soggetti li attribuiscono - senza che essa rinunci a qualcosa di vitale;-
aree di business strategicamente rilevanti per impresa e esterni (Rapporti con Q8..???), casi in cui la giusta soluzione è quella di creare partnership con soggetti che potrebbero contribuire allo sviluppo dell’area, oppure ricorrere a finanziamento per vie esterne per lo stesso fine-
aree di business scarsamente strategiche, che sono di solito da dismettere con la consapevolezza che prezzo e tempo sono le variabili chiave che guidano la decisione: la variabile tempo spesso prevale, dato che l’urgente necessità di risorse finanziarie impone di non rischiare di perdere l’opportunità di vendita nel tentativo di ricercare soluzioni più vantaggiose in termini di prezzo.Anche qualora non sia possibile fare cassa, per mancanza di un compratore o per scelte strategiche, i manager possono tentare altre strade che abbiano un impatto sul fronte competitivo e non solo. Si può ricorrere alle innovazioni di prodotto o di processo. Ampliare la propria gamma di prodotto può consentire di guadagnare quote di mercato, mentre re- ingegnerizzare i processi porta ad ottenere un risparmio di costi.
Questi ultimi due aspetti, l’analisi delle Asa con l’intenzione di liberare risorse, o rivedere il proprio portafoglio prodotti, toccano inevitabilmente la dimensione finanziaria, risultando funzionali e allo stesso tempo influenzati da essa. Non è possibile infatti stabilire quale tra la
dimensione competitiva e quella finanziaria sia la variabile dipendente e quella indipendente: sono legate da un rapporto di reciproca influenza.
L’azione sulla dimensione organizzativa: coniugare struttura, risorse e cultura.
Il tipo di legame di cui si è appena parlato per la dimensione competitiva, lo si ritrova anche nei confronti della dimensione organizzativa: ciò che viene deciso a livello competitivo e finanziario ha ripercussioni anche sull’organizzazione dell’azienda, e viceversa.
Per il recupero dell’economicità, non basta che le strategie, i piani operativi e finanziari siano in linea con gli obiettivi generali dell’azienda, ma anche che i valori, le funzioni aziendali ed i comportamenti lo siano.
Il nuovo sistema organizzativo deve trovarsi nella composizione armonica dell’azienda con l’ambiente esterno, tra forze interne ed esterne. L’azienda è un sistema relativamente autonomo dotato di possibilità di scelta: sceglie in che ambiente operare, non può influirvi facilmente, ma può decidere come agirvi.
Dato che impresa e ambiente sono legate da un rapporto senza soluzione di continuità, quando a seguito di mutamenti di mercato, la formula imprenditoriale si fa inefficace, tra le altre cose, si determina la necessità di modificare anche il modo con cui il sistema aziendale si interfaccia verso l’esterno.
Il modello organizzativo che presidia lo svolgimento della gestione, deve essere valutato in base alla quantità di valore creato o distrutto. In caso di azienda in crisi, molto spesso, dati i risultati così negativi, occorre che il modello sia radicalmente messo in discussione.
Nello specifico, le variabili su cui si deve intervenire sono:
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la struttura-
le risorse umane-
la culturaCultura, struttura e risorse sono gli elementi più astratti del risanamento, poiché stanno a monte della gestione. Sappiamo che l’azienda è un sistema organico e che una decisione presa su un fronte, deve ottemperare le conseguenze sugli altri. Con il ripensamento dello schema organizzativo, i valori, i ruoli ed i rapporti tra gli individui, si dovrò anche pensare alla ripercussione che si avrà sulle altre dimensioni, in virtù delle correlazioni esistenti; e viceversa, decisioni strategiche o finanziarie imporranno una revisione del modello organizzativo.
Ad esempio, se un’azienda è in crisi, è chiaro che la struttura, un sistema di relazioni tendenzialmente stabili e per natura non flessibile, è inadeguata e finisce per erodere valore.
La struttura formale viene messa in discussione perché si necessita che si combini armonicamente con le nuove strategie adottate dall’impresa. Si valutano quindi le risorse distintive, le potenzialità, il portafoglio Asa dell’azienda e tutto ciò deve riflettersi nella struttura.
Se in sede di scelte competitive si prevede che si dia vita a nuove Asa, per prodotto o area di business o area geografica che sia, si necessita di modificare la struttura in una divisionale, più adatta alla realizzazione della nuova strategia di mercato: un’eventuale struttura funzionale diverrebbe limitante. Al contrario quella funzionale o matriciale potrebbe essere la migliore scelta per un’azienda basata sulla continua messa a punto di progetti.
Riguardo le specifiche funzioni possiamo distinguere quelle di line e di staff. Le line sono fondamentali per la continuazione dell’azienda; quelle di staff invece sono considerate un surplus, funzionali alla semplificazione del lavoro delle line, ma per questo non essenziali. Sono funzioni di supporto, che benché utili, in sede di revisione della struttura di un’azienda in crisi, sono le prime ad essere sfoltite, se non addirittura eliminate.
Esse non sono semplicemente funzioni, sono in realtà composte da individui, da risorse umane, che potrebbero subire il licenziamento.
Il naturale evolversi del discorso è proprio la spiegazione delle principali dinamiche riguardanti le risorse umane, a dimostrazione della natura contigua delle principali variabili del modello organizzativo.
Le risorse umane, rappresentano la grande forza di un’azienda, ma, in casi di crisi, un forte elemento di rigidità.
A rimedio di una crisi, è chiaro che un imprenditore tenterà di ridurre il fabbisogno finanziario dell’impresa. Il costo del lavoro è di fatto uno dei primi fattori su cui un’azienda cerca di fare leva per risparmiare risorse finanziarie, ma è un fattore alquanto critico.
L’impresa non può reagire velocemente per ridurre i costi del personale, non può prescindere da negoziazioni con soggetti rappresentativi delle risorse umane se non vuole rischiare di incorrere in reati, anche se qualcosa è cambiato con il Jobs Act. L’imprenditore dovrà quindi prestare le dovute attenzioni.
Nell’ottica di realizzare un risparmio, dapprima saranno passate in rassegna le competenze e le capacità dei dipendenti, affinché siano da spartiacque tra ciò che è essenziale e ciò che non lo è. Si dovrebbe condurre un’analisi storica, corrente e prospettica riguardo il ‘saper fare’ ed il ‘saper essere’ di ogni soggetto.
Se l’azienda decide di ricorrere al licenziamento, deve essere consapevole che la dipartita di alcune risorse genera punti vuoti nell’organizzazione, che le risorse rimanenti devono far lo sforzo di colmare.
Altrimenti, prima di arrivare a tanto, l’imprenditore può utilizzare due strumenti:
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La cassa integrazione: si sostanzia in una riduzione dei termini lavorativi per alcuni soggetti i quali saranno sospesi dall’incarico per un certo periodo, pagati, ma l’azienda sarà risarcita dall’Inps.-
Il contratto di solidarietà: riguarda tutti i dipendenti e si materializza nella riduzione di ore settimanali di lavoro, il che comporta una riduzione dello stipendio.A questo si aggiunga che per l’azienda non è possibile attrarre altre risorse se già ha problemi a remunerare quelle esistenti, nonostante potrebbe essere molto utile una reale modifica dei vertici aziendali, ovvero l’introduzione di nuove figure manageriali più preparate ed in grado di contribuire realmente al risanamento.
È più facile che allora siano inseriti nel processo dei “soggetti esterni”, relativamente meno costosi di un rinnovo del top management, che hanno il potere di rafforzare la proposta di risanamento agli occhi dei creditori.
La figura dell’advisor diventa spesso fondamentale: egli acquisisce le informazioni necessarie, definisce le soluzioni alla crisi ed elabora un piano di risanamento, ricoprendo un ruolo preminente nella conduzione delle trattative con i creditori.
Se parte del vertice è risultato impreparato, non significa che tutti i dipendenti lo siano.
Qualsiasi sia la strada percorsa, l’imprenditore deve tenere conto che quando la crisi si fa concreta, il rischio è che le risorse migliori scappino, soprattutto se vedono ridursi lo stipendio, indebolendo ulteriormente l’impresa. Per tale motivo non è infrequente che i lavoratori diventino il nuovo soggetto economico del piano di risanamento: workers buy out e strumenti simili realizzano il passaggio di proprietà e passano ai dipendenti l’onere del rilancio.
Il clima di sostanziale pessimismo può finire quindi per far scappare le risorse di maggior valore o comunque di scoraggiare quelle che decidono di rimanere. Dall’altra parte, le poche finanze disponibili, rendono impossibile attrarre nuove figure manageriali.
I soggetti che dovrebbero rappresentare il motore propulsore della ripresa, finiscono per rappresentare un freno al turnaround.
Per evitare una rottura che demoralizzi e ostacoli la regolare attività aziendale, è necessaria una azione forte. Si agisce sulla cultura e sui valori che l’hanno generata. È fondamentale chiarire ad ogni livello dell’organizzazione gli obiettivi da raggiungere e gli strumenti con i
quali saranno raggiunti: il soggetto economico ed il management dovranno rendere partecipe tutta l’azienda del piano di risanamento. Si spera che così facendo, si creerà una tensione positiva in grado di impedire l’abbandono e ristabilire un certo grado di fiducia.
Ai soggetti va trasferita l’idea di una cultura incentrata sulla sfida e non sulla negatività. Questo sarà tanto più possibile, quanto più è diffusa in azienda una visione comune, che lega i soggetti da un radicato senso di appartenenza. I soggetti chiave devo essere motivati prima di tutto, sino a raggiungere l’ultimo dei soggetti, a cascata.
Anche i dipendenti sono stakeholders, e come tutti gli altri, hanno bisogno di credere che il piano sia sostenibile: ciò che può convincerli maggiormente è la bontà del nuovo posizionamento strategico-competitivo, indice delle reali potenzialità di ripresa dell’azienda.