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6. IL CASO DELLA D’ALESIO GROUP

6.3 Lo studio della Dalmare

6.3.7 La portata della ristrutturazione

La ristrutturazione ha portato sicuramente a dei miglioramenti. Lo si può notare chiaramente nel confronto tra i dati del 2014 e del 2016, ma soprattutto tra i dati del 2007 e del 2016. Guardando all’indebitamento complessivo, dal 2014 al 2016 si può notare una riduzione del 16%, cosa che è potuta avvenire solamente grazie al piano di ristrutturazione. Rispetto al 2007 ben poco è cambiato in termini assoluti, ma sicuramente si è trovato un maggior equilibrio tra fonti di lungo e breve termine. Si sa infatti che le aziende armatoriali sono “fisiologicamente sbilanciate” per quanto riguarda il rapporto tra mezzi propri e mezzi di terzi: la leva è sempre infatti molto alta. Quello che la crisi ha portato per la Dalmare è una maggior consapevolezza per quanto riguarda la composizione delle fonti: la ristrutturazione

ha riequilibrato la struttura finanziaria dell’azienda comportando un miglioramento non solo rispetto al 2014 ma anche rispetto al 2007.

(Fonte: Elaborazione propria su dati forniti dal Gruppo D’Alesio)

Lo stresso trend di miglioramento si può notare anche in relazione ad altre variabili dell’azienda, in particolare guardando agli oneri finanziari, al Rod ed al capitale circolante netto operativo, a conferma di quanto appena visto riguardo il mix di finanziamento.

Il livello degli Oneri finanziari è fortemente sceso non soltanto rispetto ai livelli pre-ristrutturazione ma anche rispetto a quello pre-crisi (Figura 20). Il Rod nel 2007 era dell’8,87%; la ristrutturazione lo ha portato intorno al 4%.

In questo senso la crisi ha rappresentato per la Dalmare l’occasione per migliorarsi. Le crisi in fondo, non fanno altro che tirar fuori ciò che di più critico e latente l’azienda ha, ma che probabilmente non riconosce come un problema.

Il capitale circolante prima del 2008 era pari a -30 milioni circa, sceso a -193 nel 2014, ad oggi è di appena -1,7 milioni. L’importanza di questa riduzione si rivede nella maggiore

solvibilità dell’impresa, un minor rischio finanziario.

Il Roi che nel 2014 era dello 0,69%, nonostante il mercato fosse in crescita, è riuscito a salire nel 2016 al 4,43% e ci sono buone probabilità che la crescita sarà sostenuta. Al 2007 lo stesso indice si aggirava

2007 64% 36% 2014 43% 58% Passività a breve Passività a lungo 2016 75% 25% Passività a breve Passività a lungo Figura 20. Andamento degli OF 0 2750000 5500000 8250000 11000000 2007 2014 2016

(Fonte: Elaborazione personale su dati forniti dal Gruppo D’Alesio)

intorno al 9%, ma questo va sicuramente letto insieme agli alti noli vigenti al tempo, rispetto ai tempi attuali. Quello che ha fatto la ristrutturazione, e in questo caso soprattutto l’intervento della Vls, è cercare una riduzione del capitale investito e innalzare il reddito operativo dell’azienda: l’esito, come mostra il Roi, è stato positivo.

Prospettive future per il Gruppo.

L’evoluzione della gestione è strettamente legata alla realizzazione del piano di ristrutturazione, che prevede un’ottimizzazione finanziaria ed economica nel rispetto della continuità aziendale.

Secondo Ship2shore il Gruppo D’Alesio “può dirsi fuori dal processo di ristrutturazione avviato circa tre anni fa. Determinante è stato il ruolo dei depositi costieri (ramo d’attività gestito attraverso la società Costieri D’Alesio) che nell’ultimo biennio hanno visto aumentare i volumi movimentati e hanno sempre garantito in passato dei ritorni economici stabili. Da adesso in poi la parole d’ordine per i D’Alesio sarà ‘prudenza’ ”.

Il direttore finanziario, Mauro D’Alesio, afferma che il management non ha in programma alcun particolare investimento per quanto riguarda la flotta. Sono invece previsti degli investimenti nell’attività di stoccaggio per la realizzazione di una nuova tubazione che arriverà fino al nuovo terminal petroli nell’area della futura Darsena Europa, con cui la società sarà in grado di accogliere navi cisterna di portata fino a 50.000 tonnellate . 138

Oltre a ciò la ristrutturazione ha dato la serenità finanziaria necessaria al Gruppo per potersi focalizzare sulla nicchia di servizio più redditizia, consolidando i rapporti con i clienti, pensando a come migliorarne l’efficienza e a come ricercarvi maggiori economie.

La società in questo senso è molto cambiata: se al 2007 la mission aziendale aveva come scopo prioritario il bene dello shipping, la crisi ha fatto comprendere al Gruppo l’importanza delle interconnessioni create dai depositi.

Il business dello shipping non ha perso la sua importanza, ma il suo successo è secondario all’andamento dei Costieri, tassello fondamentale in grado di creare vantaggio competitivo. Coerentemente a ciò, il piano di ristrutturazione prevede lo sfoltimento della flotta: nel corso dei primi mesi dell’esercizio 2017, sono stati intrapresi i contatti per la vendita delle MM/CC Acquaviva e Caletta, da realizzarsi secondo i dettati del piano.

N. Capuzzo, Missione compiuta per la ristrutturazione del gruppo D’Alesio, in www.ship2shore.it 138

Il fattore forse più rilevante per analizzare un’azienda in dissesto è la struttura della perdita. La sua composizione dice molto riguardo le sorti dell’azienda. La perdita può derivare dal fatto che gli oneri siano effettivamente troppo alti, specchio di un indebitamento eccessivo, oppure, situazione ben più grave, si deve al fatto che l’azienda - o meglio il business - non sia in grado di produrre una redditività sufficiente. Quest’ultimo caso è molto più problematico perché la perdita si genera già a livello caratteristico, e può derivare da incapacità del business di produrre valore.

Il problema della Dalmare e dell’intero Gruppo non è mai stato un problema industriale, ma finanziario. È chiaro che il margine operativo si sia ridotto dopo il 2008, ma non per cause imputabili all’azienda: gli armatori non possono influire sul livello dei noli. Per tale motivo lo shipping continua ad essere un area di business alla quale il Gruppo non può rinunciare, ma che deve assolutamente conciliare sinergicamente con i depositi. In un’ottica di creazione di valore allargato, il Gruppo ha compreso che la propria forza sta proprio nella maggiore copertura di attività della value chain rispetto agli altri attori del settore.

CONCLUSIONI

Lo shipping è un mercato enorme. Si pensi soltanto a quanto vasta può essere la classificazione dell’intera flotta. Ogni segmento, ogni prodotto, necessita di un particolare tipo di trasporto, e questo soltanto per le commodity, che sono definite il business più “classico”. Se si parla di navi ad alta tecnologia, costruite con uno specifico scopo, la situazione si complica ancora di più.

La porzione di mercato che più hai interessato questo studio è il sub-settore del tramp, ovvero il servizio di trasporto port to port per rinfuse liquide o solide. L’attenzione si è focalizzata sui prodotti petroliferi, poiché interessano in particolare modo la target di questo studio.

Lo shipping realizza il trasporto di beni aumentandone il valore intrinseco, poiché li sposta da luoghi in cui la loro utilità marginale è bassa, ad altri in cui è più alta. Il presupposto affinché il trasporto si realizzi è però l’esistenza di domanda per il bene oggetto di trasferimento. In questo senso si dice che la domanda di trasporto è una domanda derivata.

L’offerta di tonnellaggio viene invece determinata dalle decisioni di investimento delle società armatoriali mondiali, con riguardo allo scrapping, ai nuovi ordinativi, il numero di navi attive. È stato fondamentale spiegare che il settore sia caratterizzato da un forte atomismo e da un’intensa ciclicità. Il mercato è costellato da una miriade di operatori dislocati su ogni parte del globo: tutti idealmente possono farsi concorrenza. Si tratta però di una concorrenza perfetta, ovvero una concorrenza che non si può assolutamente giocare sui prezzi o sulla differenziazione del proprio servizio. Gli operatori infatti non sono in grado di influenzare i prezzi, si comportano cioè da price-taker, e l’aggiunta di un maggior valore al proprio servizio comporta una maggiorazione di costi senza un reale apprezzamento da parte del mercato. Da qui l’atomismo e la possibilità di far leva sui costi come principale strumento competitivo. Quando invece si parla di ciclicità si intende l’andamento incostante dei noli, i prezzi con cui si realizzano i servizi di trasporto. La causa principale che da luogo alla ciclicità è l’overcapacity della flotta: quando questa è più alta rispetto alla domanda i noli cadono e le navi non realizzano più dei profitti. Esiste una rigidità per quanto riguarda l’offerta, nei termini di adattamento alle richieste del mercato e dei prezzi: qualora la domanda non fosse più così promettente o la flotta crescesse smisuratamente, ridurre la flotta è un’operazione che non potrebbe avvenire in tempi stretti, causando non pochi problemi.

A comportare l’overcapacity può quindi essere l’effetto di decisioni sbagliate in termini di tonnellaggio o di shock dal lato della domanda, che negli ultimi decenni possono ricondursi all’azione degli emerging market, dei financial market e dei prezzi del petrolio.

Il ciclo si compone essenzialmente di quattro fasi consecutive: il market trough, il recovery, il market peak ed il collapse. La durata del ciclo varia, non si può stabilire precisamente. Quando il mercato è basso l’inversione può avvenire soltanto non appena l’offerta si ridimensionerà, ovvero quando gli squilibri tra domanda ed offerta saranno rimossi.

Campanello di allarme che indica che fase il ciclo stia vivendo è il tasso di utilizzo della flotta (ITFU), rapporto tra la domanda di trasporto espressa in tonne-miles e la capacità della flotta attiva in dwt. Più questo indice è alto e più i noli saranno proficui.

Nel 2008 l’indice del 19% parlava chiaro: la flotta era di gran lunga superiore alla domanda mondiale di tonnellaggio e i noli caddero in una lunga depressione. All’overcapacity dello shipping, frutto di atteggiamenti speculativi, si sommò l’esplosione di un’altra bolla, quella immobiliare, che provocò una recessione economico-finanziaria mondiale.

Gli istituti finanziari furono toccati in prima persona, alcuni irreparabilmente. Il fatto che lo shipping sia strettamente dipendente dal mondo bancario, ha inasprito molto la crisi vissuta in questo settore. Dotarsi di una flotta efficiente infatti, è un’operazione molto costosa, che richiede ingenti capitali, il più delle volte ricercati tra gli istituti bancari. Ad aggravare la situazione gli asset furono finanziati con leve altissime, e quando il loro valore di mercato ed i noli precipitarono, le compagnie armatoriali non furono più in grado di far fronte alla propria esposizione.

Attraverso uno studio del settore in Italia, si è potuto vedere che la crisi ha trovato la maggior parte delle compagnie di shipping, impreparate e caratterizzate da forti criticità sotto più profili. Queste aziende erano per lo più sottocapitalizzate, con margini di struttura fortemente negativi, molto indebitate e squilibrate con riguardo alle fonti di lungo e breve periodo, con un’alta posizione finanziaria netta, un capitale circolante negativo ed elevato, ed una leva finanziaria molto superiore ai valori considerati non rischiosi.

Tutto questo ha potuto reggere sino a che il rendimento del capitale investito è stato superiore al costo dell’indebitamento, consentendo alla leva di esercitare un effetto moltiplicativo sul rod.

Su questo differenziale soprattutto ha continuato a maturare lo studio. Si è visto infatti, che non appena la differenza tra Roi e Rod si è fatta negativa, il settore ha vissuto una fase molto difficile, caratterizzata da ingenti perdite e riduzioni di patrimonio netto.

A peggiorare le cose, va aggiunto che molti operatori, prima del 2008 avevano compiuto commesse per l’arrivo di nuove navi, sbagliando completamente le proprie previsioni.

Più o meno le stesse erano le dinamiche vissute dalla Dalmare in quel periodo.

Chi è riuscito a superare la crisi è stato colui che ha intrapreso un percorso di risanamento che intervenisse, nel modo più tempestivo possibile, sulle varie dimensioni aziendali, poiché tutte e nessuna esclusa sono state minate dalla crisi, mediante la predisposizione di un piano industriale e di uno finanziario.

Il primo tenta di rifocalizzare l’azienda sulle risorse strategicamente rilevanti sulle quali fondare il nuovo vantaggio competitivo, e si conclude con la predisposizione dei flussi che saranno in futuro a servizio del debito. Sulla base di ciò viene “montata” la manovra finanziaria.

Il tutto è frutto di un nuovo disegno strategico che affronti risanamento e sviluppo in modo simultaneo e complementare. Il business viene completamente ripensato proiettandolo nel futuro e abbandonando quelle logiche che sono state un freno per troppo tempo.

La D’Alesio Group ha scelto come strumento risanatorio il piano attestato di risanamento, ex art.67 della Legge Fallimentare. Il prodotto del percorso intrapreso è stato prima di tutto la rifocalizzazione sul business più proficuo, ma soprattutto più in grado di conferire unicità al Gruppo. I depositi del Gruppo infatti fungono da anello di congiunzione tra tutte le altre attività dell’azienda (shipping e bunkeraggio) e sono in grado di allargare in maniera considerevole la catena del valore, consentendo alla compagnia di fornire un servizio più completo ed integrato. Il deposito è in grado di intercettare direttamente le esigenze logistiche dei principali operatori nel settore della produzione e distribuzione di prodotti petroliferi; in altri termini è in grado di interporsi tra il soggetto che vende il prodotto e l’acquirente dello stesso, per vendere direttamente i sevizi di stoccaggio e movimentazione dei prodotti.

Questo ha permesso la stipula di importanti contratti con alcune della maggiori major petrolifere.

Inoltre, il piano di ristrutturazione ha consentito all’azienda di correggere alcuni squilibri, propri della Dalmare soprattutto, la quale nel 2016 ha chiuso dopo anni in utile.

L’indebitamento complessivo di quest'ultima si è ridotto rispetto al 2014, anno precedente alla ristrutturazione, ma ben più importante è che si è ristabilito un equilibrio tra fonti a breve e lungo termine anche rispetto al 2007. In quell’anno la Dalmare era sbilanciata: finanziava l’attivo fisso attraverso passività a breve termine, una situazione patologica che è peggiorata con la crisi. Il risanamento si è occupato di correggere il mix delle fonti, comportando un

miglioramento finanziario, testimoniato dalla riduzione degli oneri finanziari. Il Rod che nel 2007 era dell’8,87% si è portato nel 2016 al 4%. Il capitale circolante è passato da -30 milioni ad appena 1,7: un traguardo eccezionale.

E il cammino di risanamento è appena iniziato. Si immagina che il Gruppo possa continuare ad alimentare questo circolo virtuoso appena innescato.

Alla buona riuscita del risanamento e del susseguente rilancio, va sottolineato come sia stato fondamentale il contributo contestuale di più professionisti a dare credibilità alla proposta e assicurare un maggior controllo sul processo. La Lazard è intervenuto in veste di advisor finanziario, la Vls come consulente strategico, la BDO a certificare il bilancio e i covenant finanziari e infine due studi di professionisti per la parte legale.

Si può concludere che per il Gruppo D’Alesio, la crisi abbia effettivamente rappresentato un’opportunità per guardarsi dentro e migliorarsi. Il 2008 ha mostrato le debolezze che prima di allora erano state sottovalutate dal management, ha mostrato che gli squilibri fattisi palesi erano soltanto la punta dell’iceberg.

L’accumulo di tensione ha permesso all’azienda di fare un salto dalla strategia dell’oggi, ormai inefficace, alla strategia del domani, superando le criticità di un tempo. La ristrutturazione ha dato la possibilità al Gruppo di avere una serenità finanziaria per potersi focalizzare sulla nicchia di servizio più redditizia, consolidandovi i rapporti con i clienti, pensando a come migliorarne l’efficienza e a come ricercavi maggiori economie.

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