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Ancora adesso, che si tratti di fare vetro o realizzare merletti, è avvertita come fondamentale la componente umana del lavoro: l’equilibrio, lo spirito di squadra, il

rispetto, sono fondamentali per una tipologia di produzione che porta maestri e personale a passare la maggior parte delle ore della giornata a stretto contatto. <<Il

nostro è un lavoro d’assieme per cui senza collaborazione e armonia non si giunge alla realizzazione di un buon pezzo. Oltre a una comunione a livello professionale, c’è bisogno anche di una serenità d’animo.>> (Gianluigi Bertola in Tosi et De Palma 2006,

p. 93)

Un discorso che ricorre spesso tra maestri vetrai (che vale anche per le maestre merlettaie) è il concetto di sacrificio, di natura ambivalente ma indissolubile: questi sono lavori profondamente legati al ciclo vitale della persona, lo cambiano e ne

diventano il moto propulsore di ogni istante. Lavorare dodici ore al giorno per una vita, dalla gavetta fino al sogno, forse realizzabile forse no, di essere maestro (passare l’infanzia, la giovinezza, la vita su una sedia a creare meraviglie che alla fine neppure l’occhio riesce più a cogliere data la minutezza delle parti) significa appunto sacrificare, nel bene e nel male, ogni altro elemento che non possa conciliarsi col lavoro. Ecco perché, in queste isole, gli aspetti della vita di tutti i giorni sono davvero legati al lavoro, propedeutici al sistema-impresa.

Si parla di un’ecologia perché questa situazione non è espressione di relazioni

produttive a compartimenti stagni, ma in generale rappresenta la rete di un sistema di lavoro in cui il territorio, le persone e l’attività sono in forte simbiosi. Infatti, come abbiamo visto dall’analisi storica, qualora ci siano difficoltà o cambiamenti legati ad uno di questi tre aspetti, gli altri di conseguenza mutano e reagiscono istintivamente. La doppia natura del sacrificio, positiva e negativa, sta nel fatto che, per entrambe le produzioni, la componente umana è preponderante su quella industriale: ancora oggi le maestre e i maestri hanno un rapporto fisico, tattile, profondo con le loro opere, si può dire parentale. Ecco che subentra l’orgoglio, sia perché queste figure sono depositarie della millenaria evoluzione di una cultura del fare unica nelle varie declinazioni, sia perché, a maggior ragione oggigiorno, esprimono questa cultura ponendosi come modello alternativo al consumismo rovinoso ma imperante. (Forse inconsapevolmente) Essi sono un esempio, come vedremo nei prossimi capitoli, di sostenibilità sociale, economica, e sempre più ambientale e culturale.

Le problematiche presentate, come si è potuto osservare, spaziano quindi dalla natura della governance dell’impresa al ricambio generazionale e il trasferimento del know

how tra maestra\o e apprendiste\i; dalle soluzioni ricercate per abbattere i costi di

produzione a quelle per debellare l’impatto ambientale delle fornaci; dalla tutela di una geo-referenzialità simbolo di indubbia qualità e unicità, all’allargamento del bacino di utenza e allo sviluppo di nuove forme di marketing per raggiungere stakeholder mondiali. In quell’ecologia di imprese che operano, crescono, vivono e soffrono in simbiosi con la popolazione e il territorio in cui sono inserite ecco che la questione del fattore culturale non può essere minimizzata. Questa ecologia sottolinea come

l’economia sia legata a doppio filo alle vicende personali delle famiglie che ancora portano avanti queste attività, capace non solo di incidere sulle scelte di vita, ma che a sua volta è dipendente dalle decisioni dei singoli nuclei produttivi.

Con questo lavoro intendiamo rendere evidente quanto sia fondamentale il riconoscimento di tale valore. Più che limitarsi ad ammettere la natura bivalente, economica e culturale, di prodotti e produzioni quali il vetro e il merletto nel panorama veneziano (concetto già ampiamente riconosciuto), cercheremo di sottolineare come, partendo dal presupposto che si tratta di prodotti e produzioni culture-based,

l’engagement culturale può e deve essere un importante alleato strategico. Seppure le due attività in esame vivano attualmente situazioni che differiscono per volume economico, personale coinvolto, e prospettive future, entrambe sono fondate su un proprio bagaglio di storia. Sono il simbolo di una cultura antica, patrimonializzata perché presente nell’identità culturale della città e nell’offerta culturale delle istituzioni, ma soprattutto cultura (ancora) vivente. Ecco che è proprio seguendo le specificità di queste produzioni che si devono trovare gli elementi giusti e necessari ad innovare le modalità di salvaguardia e valorizzazione, promozione delle stesse. Un’azione endogena, che nasce in seno alle imprese e non può limitarsi alle forme, peraltro già note, di sponsorizzazione culturale, donazione o partnership, ma che trova nelle imprese stesse e nella collaborazione con organizzazioni culturali le soluzioni propizie al

management e curatela dei loro contenuti. Si deve ragionare sulle forme di salvaguardia nel senso più dinamico del termine: conservazione e trasmissione di pratiche manuali, esperienze, cultura immateriale verso forme di valorizzazione attiva, compartecipata,

culturali promosse dalle imprese, le quali non possono più limitarsi a basare le proprie scelte imprenditoriali unicamente sul fattore economico delle produzioni. Esse devono prendere atto del bagaglio di strumenti e conoscenze che rappresentano ed essere in grado di trasmettere al consumatore finale il valore aggiunto, l’aura, l’essenza del mondo che sta dietro all’oggetto. In questo senso la cultura, e di conseguenza l’impegno nella sua espressione, l’engagement culturale, diventa il fattore chiave da veicolare tramite un’azione di promozione diffusa. Questa cultura non si esaurisce nell’oggetto, espressione materica, riflesso del più ampio bacino del patrimonio vivente.

Murano e Burano sono due isole caratterizzate nel loro sviluppo e nella loro storia da forme monoculturali che, per la natura stessa della geografia del luogo e della modalità di trasmissione dei saperi, sono sopravvissute ai mutamenti sociali ed economici della laguna, della nazione e del mondo in generale. Promuovendo un approccio che non musealizzi le isole, né faccia dei suoi abitanti e lavoratori un carnevale per turisti, si cerca anche di non perdere l’aspetto di radicamento e patrimonializzazione del sapere nel territorio e nel DNA degli abitanti. La cultura vivente, le imprese stesse, le

conoscenze tacite scaturite da secoli di lavoro a metà tra l’imprenditoria e l’arte, il business e la sociologia, possono e devono essere una partita sostenibile: allargando il concetto di sistema aziendale ad una ecologia che lega il mercato alla cultura e

viceversa, secondo la natura stessa di queste attività, si ha l’integrazione del polo economico con le istituzioni culturali della città.

Avendo osservato, in questo capitolo, gli elementi di base che hanno costruito la

struttura attuale di rapporti e sistemi d’impresa, di relazioni sociali e modalità operative, possiamo comprendere meglio il panorama della situazione contemporanea. Nel

prossimo capitolo saranno forniti gli strumenti teorici che permetteranno di evidenziare l’effetto positivo dato dal coinvolgimento culturale delle imprese, per tutti gli attori interessati. Perché, quindi, sia da promuovere un rapporto più profondo, cosciente e simbiotico tra gli enti territoriali, le organizzazioni culturali e le imprese che lavorano e operano nello stesso luogo. Come le attività culturali, sviluppate in cooperazione tra istituzioni e imprese business model culture-based, abbiano ricadute positive per il territorio, la società civile, le aziende stesse e le organizzazioni coinvolte.

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