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LA CULTURA DI PACE TRA LINGUA COMUNE E LINGUAGGIO SETTORIALE

- Le unità lessicali: i composti

2.4. LA CULTURA DI PACE TRA LINGUA COMUNE E LINGUAGGIO SETTORIALE

Dopo aver esaminato, come si è visto nel capitolo precedente, come questi termini si presentano nelle diverse lingue e tramite quali soluzioni è stato realizzato il passaggio dall’una all’altra, un ulteriore spunto di riflessione viene offerto dal confronto tra questo linguaggio con la lingua comune, e in seconda istanza brevemente anche con il linguaggio dell’educazione civica.

Come già accennato nel paragrafo 2.3.3.1. del precedente capitolo, questo linguaggio settoriale, al pari di altri, trae gran parte del suo materiale dalla lingua comune, che costituisce il common core di tutte le varietà di una lingua e offre quindi il supporto lessicale per la formazione di nuovi sostantivi, derivati e composti, e di nuove locuzioni. La conoscenza della lingua comune resta pertanto anche in questo caso la premessa indispensabile per l’accesso a questo tipo di comunicazione e per la comprensione dei concetti che le sono peculiari218.

Il confine tra questa comunicazione e quella della lingua comune non è tuttavia netto, come è stato osservato anche per altri linguaggi, perché è molto difficile stabilire che cosa sia la lingua comune, vista perlopiù come un insieme esteso che contiene tutti gli altri sottoinsiemi specialistici. Piuttosto che fissare confini precisi, la linguistica oggi cerca di analizzare di volta in volta la maggiore o minore vicinanza di un linguaggio settoriale alla lingua comune, fermo restando il riconoscimento del continuo interscambio tra le due varietà.

Secondo Lavinio219 tale maggiore o minore vicinanza dipende non solo dalla situazione comunicativa, quindi dalla scelta di un dato registro linguistico (dimensione diafasica), ma anche dalla dimensione verticale (o diastratica), cioè dal minore o maggiore grado di specializzazione delle persone coinvolte nella comunicazione. Queste considerazioni vengono fatte nell’ambito di un’analisi dei linguaggi settoriali duri, relativi a discipline come la medicina o l’economia, ma si possono applicare anche al linguaggio in questione.

218 Cfr. Cavagnoli 2007, pag. 17 e segg. e Freddi 1988, pag. 64.

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Termini come satyāgraha, transarmo ed empowerment sono molto distanti dalla lingua comune e vengono usati solo da specialisti della materia o comunque di campi affini220. Allo stesso modo sono distanti dalla lingua comune locuzioni come violenza strutturale e pace negativa, pur essendo composte da parole ivi ricorrenti, se prese separatamente. Peacekeeping, peacemaking e peacebuilding fanno parte anche del linguaggio della diplomazia internazionale, che non è quello della cultura di pace, ma può presentare punti di contatto con quest’ultimo221. Tali termini possono essere talvolta compresi all’esterno di questo ambiente, soprattutto perché divulgati dai media222, pur presentando un grado ancora alto di specificità e di distanza dalla lingua comune.

Proseguendo lungo l’asse verticale della comunicazione vi sono parole come sviluppo e sviluppo sostenibile, sostenibilità, cittadinanza globale, Friedenskompetenz (competenza di pace, declinato in tutte le sue espressioni di più precise competenze, vedasi il paragrafo 2.3.3.2 e la relativa trattazione nella sezione “Il lessico”) e molte altre, non esaminate nella presente ricerca, connesse alle tematiche della multiculturalità, dell’integrazione, dell’alterità e così via223; si tratta di parole ricorrenti nel linguaggio di insegnanti, mediatori culturali, operatori delle ONG e delle numerose associazioni di volontariato, che sono espressioni della cultura di pace, sia pure in un contesto diverso da quello universitario e accademico, con finalità didattico-pedagogiche e/o di aiuto umanitario, anziché di ricerca e di approfondimento scientifico. Questa è la realtà da cui nascono iniziative di scambio, collaborazione e partenariato tra scuole, tra comunità e tra associazioni, all’interno di un Paese ma anche tra Paesi diversi, e in cui questo linguaggio è molto frequente e viene costantemente a contatto con i destinatari dei vari progetti, che costituiscono, dal punto di vista della dimensione verticale, la fascia più distante dall’area

220 Si ritiene di poter affermare questo per il fatto che questi termini non sono riportati nei più comuni dizionari.

221 Si veda a tal proposito l’introduzione alla trattazione di questi tre termini nella sezione “Il lessico” della presente ricerca.

222 In particolare le operazioni di peacekeeping, essendo iniziative autorizzate dall’ONU per la soluzione dei conflitti nelle zone di guerra, sono state spesso riportate dalla cronaca; queste si riferiscono però solo al peacekeeping militare, mentre l’esistenza di forme di peacekeeping non militare è molto meno divulgata. Cfr. la relativa voce della ricerca.

223 Per una panoramica di questi termini nel linguaggio della scuola e delle professioni legate all’istruzione in genere cfr. Gennai 2005.

specialistica. A questo proposito si osservi come nell’ambito di tali progetti, che coinvolgono di solito più Paesi, spesso in un’ottica transfrontaliera, un glossario in due o più lingue224 possa costituire un utile strumento di consultazione per assicurare la chiarezza della comunicazione non solo orale - quindi nelle attività di insegnamento, di discussione e confronto diretto - ma anche scritta, con riferimento a tutti quei documenti e relazioni, che accompagnano la fase di preparazione, di svolgimento e di bilancio finale di questi progetti.

Un altro spunto di riflessione viene offerto dal fatto che tali attività possono essere presentate sia come iniziative di educazione alla pace che come parte del campo dell’educazione civica; la vicinanza, per contenuti e finalità, tra le due aree disciplinari è stata approfondita nel capitolo 1.4., “Educazione alla pace ed educazione civica: un confronto”, a cui si rimanda. Si osserva come tale vicinanza si rifletta inevitabilmente anche sul piano linguistico, dando luogo ad una osmosi, ad un uso comune di certi termini chiave, tra i quali cittadinanza globale e sviluppo sostenibile, presi in considerazione anche da questa ricerca, ma anche per esempio democrazia partecipata, conflitto, ambiente e altri ancora.

In fondo all’asse verticale infine vi sono coloro che non si occupano di cultura di pace, non hanno alcun contatto con gli specialisti e che talvolta usano alcuni termini di questo linguaggio, spesso in modo impreciso, non corretto. È questo il tipico caso del termine nonviolenza che, come si può confrontare anche nella trattazione relativa (nella sezione “Il lessico”), per il fatto di essere composto da non e violenza, appare a molti non conoscitori della materia come una parola nota, ma il concetto cui questa realmente si riferisce viene percepito erroneamente. Anche sicurezza, sviluppo e pace fanno parte della lingua comune ma si differenziano nel linguaggio in questione per via del loro aggancio ad un più preciso concetto. Questa è quella fascia in cui il confine tra le due varietà di lingua, comune e settoriale, diventa più labile, non senza danno per le scienze di pace, che vedono esposti ad equivoci e banalizzazioni termini fondamentali del proprio impianto concettuale. Pertanto si rende necessaria un’azione di alfabetizzazione di questo lessico a partire dalla scuola dell’obbligo, affinché le generazioni che un giorno saranno chiamate a partecipare attivamente alla

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vita politica del proprio Paese abbiano una consapevolezza del vero significato di questi termini, indispensabili per una educazione alla democrazia.

Una maggiore alfabetizzazione in tutti i settori della comunicazione specialistica, sostenuta da un’adeguata politica linguistica, fondamentale premessa per migliorare la comunicazione tra esperti e non esperti e per il buon funzionamento di una società moderna, è quanto si auspicano ora i maggiori linguisti, tra cui Tullio De Mauro, come riportato da Cavagnoli225, oltre che gli specialisti dell’educazione civica come Lastrucci226. Si ritiene che anche l’educazione alla pace debba venire inclusa in un’azione di questo tipo.

225 Cfr. De Mauro 1994, pagg. 324-325, citato da Cavagnoli 2007, pagg. 25-26.

3. LESSICO