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TRATTAZIONE DEI CONCETTI

3.16. SVILUPPO SOSTENIBILE

Il concetto di sviluppo sostenibile nasce dalla crescente consapevolezza dei limiti dello sviluppo in sé e dalla riflessione che i correlati problemi ambientali, sociali ed economici impongono.

Come si è visto anche nel capitolo dedicato al rapporto tra educazione alla pace ed educazione civica, l’attributo sostenibile nei dizionari fino agli anni ’70 aveva un’area semantica ancora strettamente limitata al significato materiale del verbo sostenere oppure, in senso figurato, era riferito a qualcosa che si può sopportare, per es. una situazione, o dimostrare, per es. una teoria. Infatti l’abbinamento di tale attributo con il termine sviluppo, più che indicare una qualità di quest’ultimo, porta alla formazione di un neologismo, poiché il concetto è nuovo: lo sviluppo sostenibile non può essere considerato tanto la “versione buona” della crescita economica, quanto piuttosto una tendenza che va in senso contrario allo sviluppo tradizionalmente inteso.

Il concetto nasce negli anni ’70 ma è inizialmente riferito solo alle tematiche ambientali: la nascita di Greenpeace nel 1971, l’organizzazione della prima Conferenza internazionale sull’ambiente dell’ONU nel 1972 a Stoccolma e i provvedimenti presi nel 1973 per mettere al bando il commercio delle specie animali e vegetali a rischio di estinzione, aprono la strada a un concetto che sarà l’antesignano dello sviluppo sostenibile, l’ecosviluppo, che indica appunto una crescita economica che salvaguardi le risorse naturali407.

Un nuovo termine si rende tuttavia necessario quando negli anni successivi il dibattito si estende oltre gli obiettivi ecologico-economici, per abbracciare anche le questioni sociali, geopolitiche e culturali. Si giunge così allo sviluppo sostenibile, termine che si afferma definitivamente dopo essere stato adottato dalla World Commission on Environment and Development delle Nazioni Unite, formata nel 1983, chiamata anche Brundtland Commission dal nome della sua presidente, Gro

Harlem Brundtland, a suo tempo primo ministro della Norvegia408. Quanto elaborato da questa commissione costituisce ancora oggi un documento interessante non solo sulle questioni più urgenti in materia di ambiente, economia, sviluppo e globalizzazione, ma anche dal punto di vista linguistico. I lavori sono raccolti in un libro, Our Common Future409, in cui troviamo quella che è diventata la definizione più nota e più ricorrente di sviluppo sostenibile:

Sustainable development is development that meets the needs of the present without compromising the ability of future generations to meet their own needs410.

La trattazione continua evidenziando come la sostenibilità debba e possa essere perseguita da ogni paese, indipendentemente dal tipo di economia, orientata al mercato o centralizzata, anzi, questi diversi paesi dovranno trovare, al di là delle proprie differenze, un comune consenso su come realizzare la sostenibilità.

Ancora sul concetto di sviluppo sostenibile:

The satisfaction of human needs and aspirations is the major objective of development. The essential needs of vast numbers of people in developing countries for food, clothing, shelter, jobs - are not being met, and beyond their basic needs these people have legitimate aspirations for an improved quality of life. A world in which poverty and inequity are endemic will always be prone to ecological and other crises. Sustainable development requires meeting the basic needs of all and extending to all the opportunity to satisfy their aspirations for a better life411.

Da quanto sopra è evidente che l’accento viene posto ancora una volta sui bisogni essenziali dell’essere umano, cibo, indumenti, dimora e occupazione, quei basic needs sui quali si sofferma anche Galtung nel suo capitolo sulla development

408 Ramonet/Woznjak 2004, pag. 377, attribuisce al Summit sulla Terra a Rio de Janeiro, 3-14 giugno 1992, l’estensione del concetto di sviluppo sostenibile al di là delle questioni economico-ecologiche; in realtà si osserva che tale ampliamento tematico/semantico è già riscontrabile senza dubbio nei lavori della Brundtland Commission, come argomentato qui di seguito.

409 The World Commission on Environment and Development, Our Common Future, Oxford University Press 1987.

410 Ibidem, pag. 8: lo sviluppo sostenibile è lo sviluppo che viene incontro ai bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di venire incontro ai loro propri bisogni.

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theory412. Mentre una minoranza viene indotta da un sistema consumistico e pubblicitario a bisogni fittizi, abitudini alimentari e stili di vita che non corrispondono a reali necessità e che si rivelano infine violenti per il loro pesante impatto ambientale, i bisogni essenziali, indispensabili alla sopravvivenza e a condizioni di vita dignitose, vengono disattesi per miliardi di persone. Uno studio interessante sull’impronta ecologica dei vari paesi del mondo ci viene fornito da Nanni Salio, in un contributo corredato da grafici e dati oggettivi che permettono un immediato confronto tra realtà diametralmente opposte, ovvero le aree più ricche e quelle più povere del pianeta, e una concreta percezione delle dimensioni del problema413.

Il discorso sullo sviluppo sostenibile, come quello riferito ad altri termini della presente ricerca, anche quando viene affrontato da autori che non si riconoscono esplicitamente come studiosi della cultura di pace, trova comunque costanti riscontri nei contributi dei peace studies veri e propri. In questo specifico caso la connessione ci viene dal fatto che il principio della nonviolenza riguarda anche l’atteggiamento dell’uomo verso l’ambiente; si ricordi che a-himsa, da cui deriva nonviolenza (→), significa non nuocere, non recare danno in senso lato, a tutto ciò che ci circonda. Gandhi effettivamente cercò di attuare nel suo ashram (rifugio, villaggio) di Durban un primo esperimento di vita comunitaria, basata sulla povertà volontaria e sul lavoro manuale, in cui i ritmi di produzione fossero in armonia con quelli di rigenerazione delle risorse naturali: il principio di base dello sviluppo sostenibile si trova pertanto già nel messaggio del Mahatma414.

Il testo della Brundtland Commission ci fa riflettere su come a quasi trent’anni dalla formazione di suddetta commissione, problemi considerati già a quel tempo gravi e urgenti non solo non siano stati mai risolti, ma si siano nel frattempo ulteriormente aggravati. Vi si osserva per esempio come si sia passati dal problema dell’impatto ambientale della crescita economica ad un quadro ancora più grave e preoccupante: l’impatto dello stress ecologico (degrado del suolo, dissesto idrogeologico, inquinamento atmosferico, deforestazione ecc.) sulle nostre stesse possibilità di

412 Cfr. Galtung 1996, pag. 127 e segg.

413 Cfr. Salio 2006, pagg. 143-152.

sviluppo economico415. Urge un cambio degli stili di vita, partendo da coloro che detengono il potere, prima di tutto nell’uso dell’energia; il problema della riduzione delle spese militari viene accennato nella parte iniziale ma ripreso più approfonditamente nel capitolo Peaceful settlement of disputes, che tratta appunto della soluzione pacifica dei conflitti.416 Altri capitoli trattano per esempio l’aumento della povertà e la stretta connessione tra questo fenomeno e l’inquinamento ambientale, la necessità di una protezione delle economie locali contro il potere delle multinazionali e il protezionismo degli Stati più forti, le problematiche legate al genere, la sicurezza: questo documento veramente non tralascia nulla. È ricorrente il temine global nella trattazione di diversi capitoli (global challenge, global risk, global security, global agricolture, global development, global military expenditures e così via): si vedono quindi le premesse per un concetto che troverà espressione negli anni immediatamente seguenti ai lavori di questa commissione in un altro nuovo termine riscontrabile anche negli autori della cultura di pace, cittadinanza globale (→).

Non ci si sofferma sulle ulteriori importanti conferenze ONU sull’ambiente che si sono tenute negli anni successivi, in quanto lo scopo di questo studio è prima di tutto di chiarire l’origine e il campo semantico del termine e infine di presentarlo dalla prospettiva degli autori della cultura di pace che se ne sono occupati. Data la loro importanza per la tematica in questione, queste conferenze vengono tuttavia menzionate: dopo la già citata conferenza di Stoccolma del 1972, in primo luogo la Conferenza sulla Terra a Rio de Janeiro nel 1992 e il Summit mondiale sullo sviluppo sostenibile a Johannesburg nel 2002. Nel 2012 si terrà in Brasile la quarta conferenza ONU sullo sviluppo sostenibile (di cui sono ora in corso i preparativi). Le conclusioni che si traggono dall’approfondimento di questa tematica sono che lo sviluppo sostenibile non costituisce una declinazione del concetto di sviluppo (→), bensì una evoluzione contraria a quella che tradizionalmente si intende con quest’ultimo termine: un de-sviluppo, una decrescita417- Wachstumsrücknahme in tedesco - come unica strada percorribile per salvare il pianeta418.

415 Cfr. The World Commission on Environment and Development, pag. 5.

416 Ibidem, pag. 9 e pag. 351 e segg.

417 Per un ampio discorso scientifico sulla decrescita si vedano le pubblicazioni di Serge Latouche; per una panoramica generale su questo concetto cfr. Latouche 2007; per il termine in tedesco cfr.

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3.17. TRANSARMO

Secondo Gene Sharp il termine apparve per la prima volta in un volantino scritto da Kenneth Boulding nel 1937419. Fu tuttavia Galtung a renderlo più noto nell’ambito dei peace studies con le sue pubblicazioni degli anni ’80420. Lo studioso norvegese lo definisce come quel processo di transizione da un modello di difesa fondato su armi di offesa a un modello di difesa che utilizza esclusivamente armi difensive421. Esso è pertanto strettamente connesso al concetto di difesa difensiva422, definizione solo apparentemente pleonastica, che smaschera in realtà l’uso improprio che viene fatto della parola “difesa” quando si tratta di operazioni e sistemi militari: questi ultimi infatti il più delle volte non sono finalizzati alla difesa in sé, bensì all’aggressione del territorio dell’avversario, della quale sono vittime anche civili inermi.

In un’altra riflessione sull’uso delle parole in questo specifico ambito, Galtung ci ricorda che inizialmente i ministeri preposti all’organizzazione e alla supervisione dell’apparato militare in diversi Paesi si chiamavano ministero della guerra e che solo in un secondo momento, perlopiù dopo la Seconda guerra Mondiale, hanno modificato la loro denominazione in ministero della difesa, “senza che con questo si

diplomatique.de/pm/2004/11/12.mondeText.artikel,a0055.idx,15 (ultima consultazione 18.2.2012)

418 Questa conclusione rimanda a quanto argomentato alla voce “sviluppo”, in particolare alla critica di alcuni autori sulla presunta superiorità dell’economia dei paesi industrializzati rispetto alle economie di sussistenza.

419 Cfr. Sharp1997, pag. 534.

420 Cfr. Galtung 1984a, pag. 35.

421 Una frequente obiezione che viene fatta a questo concetto da parte di esperti di armi e sistemi militari è che qualsiasi arma è di per sé offensiva e che non possono esistere armi esclusivamente difensive. Il discorso su un diverso uso delle armi già esistenti è invece solitamente incentrato sulla riconversione delle stesse e delle industrie che le producono, come si è cercato di fare per esempio in Italia, ma senza successo, con la fabbrica d’armi Breda. Per le vicende di questo fallito tentativo di riconversione cfr. Cucchini 2011. Nelle opere degli anni ’80 invece, Galtung sostiene a più riprese l’opportunità di una conversione non tanto dall’industria bellica a quella civile, quanto appunto dalla produzione di armi offensive a quella di armi difensive. Cfr. in particolare Galtung 1984a pag. 35 e pag. 151, inoltre Galtung 1984b e Galtung 1986.

sia operata altra trasformazione che quella semantica”423; si tratta pertanto di una denominazione impropria.

In Galtung 1986 questo concetto viene ripreso e ulteriormente analizzato: lo studioso cerca di fornire una via pratica e realisticamente attuabile per il passaggio dalla corsa agli armamenti al transarmo. Entrambe le opere furono scritte prima della caduta del Muro di Berlino e quindi risentono del clima politico di quegli anni. Resta tuttavia sempre molto attuale la ricerca da parte dello studioso di una realistica alternativa alla logica della deterrenza, alternativa senza la quale non si potrà mai ipotizzare un vero e duraturo disarmo, considerato per il momento un’utopia dallo stesso Galtung. Analogamente a quanto fatto per gli studi sulle cause profonde della violenza, che lo hanno portato a maturare il concetto di violenza strutturale e, molti anni dopo ma in stretta relazione con quest’ultimo, quello di violenza culturale, anche in questo ambito Galtung cerca all’interno dei meccanismi non evidenti della deterrenza, giungendo alla conclusione che si debba modificare il nostro concetto di sicurezza (→). Come si può meglio vedere nello specifico capitolo, la questione della possibilità di passaggio al transarmo, come necessaria fase transitoria verso il disarmo, è strettamente connessa proprio al concetto di sicurezza, da cui dipende la dottrina militare. Un disarmo per essere duraturo non può limitarsi allo smantellamento dei sistemi d’arma, lasciando inalterato il meccanismo che li genera; ci vuole un diverso concetto di sicurezza, che modifichi il punto di vista, il paradigma e la dottrina militare424.

Più recentemente il tema del transarmo è stato ripreso dal filosofo francese Muller425, il quale pure auspica non tanto un improbabile immediato disarmo, quanto piuttosto la realizzazione delle condizioni che, se applicate, lo renderebbero possibile in futuro. Anche Muller vede nel transarmo il frutto di un altro modo di intendere la sicurezza, dimostrando di concordare con Galtung su questo punto. In entrambi il transarmo non è un obiettivo finale, ma una necessaria tappa verso quel modo alternativo di gestire le situazioni di conflitto (conflitto; trascendere e trasformare il conflitto →), secondo una visuale olistica nonviolenta, che costituisce uno degli

423 Cfr. Galtung 1984a, pag. 108.

424 Cfr. Galtung 1984a, pag. 91 e segg., e Galtung 1987, pag. 187 e segg.

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obiettivi più importanti degli studi di pace; infine la difesa civile nonviolenta (→) potrebbe in futuro sostituirsi definitivamente alla difesa armata426.