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PEACE KEEPING - PEACE MAKING - PEACE BUILDING

TRATTAZIONE DEI CONCETTI

3.11. PEACE KEEPING - PEACE MAKING - PEACE BUILDING

Questi tre termini, mantenuti in inglese in pressoché tutte le lingue e abbastanza diffusi negli ultimi decenni, non si riscontrano solo nel linguaggio della cultura di pace ma anche in quello della politica e della diplomazia internazionale. Come infatti viene illustrato qui di seguito, si riferiscono ad azioni in cui l’intervento di impronta pacifista e quello degli altri organismi internazionali, che pur perseguendo l’obiettivo della pace non si attengono rigorosamente ai principi della nonviolenza, si intersecano e spesso si svolgono in modo sinergico. Per questo motivo anche da un punto di vista linguistico i tre termini costituiscono un punto di convergenza tra organismi che rappresentano due diversi modi di impostare la soluzione dei conflitti: da un lato l’ONU, l’OCSE, il Consiglio d’Europa e così via, dall’altro le varie ONG , i Corpi Civili di Pace, le Peace Brigades, per fare solo alcuni esempi.

L’Abate352 sostiene che fu Galtung il primo a coniare questi tre termini; non viene indicata la pubblicazione ma probabilmente lo studioso si riferisce all’opera “Three approaches to peace: peace keeping, peace making and peace building” del 1976353. Fu tuttavia con l’Agenda per la Pace del 1995 dell’allora Segretario Generale delle Nazioni Unite Boutros Ghali354 che i tre termini passarono ufficialmente dal linguaggio dei peace studies a quello della diplomazia internazionale e cominciarono ad essere usati più frequentemente. Sono infatti ormai riscontrabili nella maggior parte dei testi che trattano la soluzione dei conflitti e le tematiche di pace in generale.

Essi rappresentano nel loro insieme tre diversi momenti della strategia di soluzione dei conflitti, la quale prevede, dopo un primo intervento per la cessazione delle ostilità, una fase di dialogo e comunicazione tra le parti avverse, per approdare infine ad un programma a lungo termine di educazione alla pace, con cui porre le basi per una convivenza senza guerre.

352 Cfr. L’Abate Alberto 2007, pag. 195.

353 Cfr. Galtung 1976 e Galtung 1996, pag. 111.

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Una traduzione equivalente in italiano in questo caso non sembra opportuna, sia perché i termini si sono affermati e vengono ora riconosciuti a livello internazionale in lingua inglese, sia perché la forma verbale del gerundio sostantivato, così frequente in inglese, non trova sempre un corrispondente nell’italiano.

Esistono tuttavia due forme in tedesco per peacekeeping, Friedenserhaltung355 e Friedenssicherung, e una per peacebuilding, Friedenskonsolidierung356, pur restando le versioni in inglese le più diffuse.

Peacekeeping

Peacekeeping significa controllare gli attori coinvolti nella guerra, tramite l’intervento di una terza parte neutrale, in modo che questi cessino almeno di distruggere oggetti, se stessi e altre persone, di solito la popolazione civile o comunque le fasce più deboli e più vulnerabili. Questa strategia quindi si pone come obiettivo la mera interruzione dell’attività bellica e dell’escalation (equivalenza →) della violenza e può venire introdotta a vari stadi del conflitto. È nata come attività militare e resta prevalentemente un concetto legato a questo tipo di intervento. Il sito delle Nazioni Unite dedicato al peacekeeping offre la seguente definizione:

What is peacekeeping?

Peacekeeping is a way to help countries torn by conflict to create conditions for sustainable peace. UN peacekeepers—soldiers and military officers, police and civilian personnel from many countries—monitor and observe peace processes that emerge in post-conflict situations and assist conflicting parties to implement the peace agreement they have signed. Such assistance comes in many forms, including promoting human security, confidence-building measures, power-sharing arrangements, electoral support, strengthening the rule of law, and economic and social development357.

355 Cfr. il paragrafo 2.3.3.1. del capitolo “I termini nelle diverse lingue” della presente ricerca.

356 Per questi due ultimi termini in tedesco cfr. le schede peacekeeping e peacebuilding, parte in tedesco, della sezione “Il glossario” della presente ricerca.

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Come si può notare questa definizione contempla anche forme di peacekeeping non militare, che affiancano e integrano quella tradizionale. Tra queste l’intervento dei Corpi Civili di Pace, la creazione di zone cuscinetto (aree demilitarizzate e neutrali) e di zone di pace (spazi occupati da civili dove non si svolgono combattimenti), l’interposizione, in cui i peacekeepers si collocano fisicamente tra i gruppi coinvolti nel conflitto, mantenendo una posizione imparziale, l’accompagnamento; quest’ultimo consiste nell’accompagnare le persone che devono spostarsi da una zona all’altra nel territorio del conflitto, in modo che non vengano aggredite dalla parte avversa.

Senza negare che per contenere la violenza siano comunque indispensabili un allenamento di tipo militare, così come una conoscenza dei mezzi e della mentalità, che stanno alla base di un conflitto armato358, Galtung mette in evidenza i risvolti negativi del peacekeeping militare, pur considerando i successi a volte ottenuti: è molto costoso e sottrae risorse ai servizi sociali; in particolare nei Paesi poveri questa diminuzione delle risorse si ripercuote sugli standard di vita di una popolazione che già si trova al di sotto della soglia di povertà.

Con il peacekeeping in ultima analisi si ottiene la pace negativa (→), che può avere tuttavia una validità come obiettivo parziale, a breve termine, e come premessa per l’applicazione delle successive strategie.

Nonostante la sua evoluzione e nonostante sia cresciuto il ruolo dei civili, sia dal punto di vista numerico che dei compiti attribuiti, il concetto di peacekeeping appare tuttora essenzialmente e culturalmente connesso ad operazioni di natura militare359.

358 Cfr. Galtung 1998, pagg. 270-271.

359 Il termine viene preso in considerazione come americanismo del lessico politico-militare da Bombi/Fusco 2009, pagg. 56-57.

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Peacemaking

La strategia di peacemaking si realizza attraverso la mediazione, la negoziazione, il dialogo, così come viene precisato dalla Carta delle Nazioni Unite, art. 33.41,42. Anche nell’Agenda for Peace delle Nazioni Unite (cui si accennava sopra) c’è un preciso riferimento a questa strategia:

Peacemaking is action to bring hostile parties to agreement, essentially through such peaceful means as those foreseen in Chapter VI of the Charter of the United Nations360.

Si tratta pertanto di un’azione essenzialmente diplomatica, che coinvolge sia la diplomazia di primo livello, cioè quella degli Stati e dei loro organi ufficiali, che di secondo livello, da parte di organizzazioni non statali, non governative (ONG)361. Tuttavia mentre la diplomazia di primo livello è solitamente condotta dagli Stati sulla base dei propri interessi, la diplomazia non statale si basa sui rapporti tra le persone delle parti diverse, si concentra sulla costruzione della fiducia ed è un impegno a lungo termine, che richiede flessibilità e creatività362.

Galtung considera la creatività un elemento importante del peacemaking, che deve essere in grado di trovare soluzioni accettabili e sostenibili per tutte le parti coinvolte, e auspica un sempre maggior allargamento della comunicazione a tutte le parti della società civile, anche con l’uso dei moderni mezzi di comunicazione. È un errore pensare che solo la diplomazia di primo livello possa occuparsi del peacemaking; al contrario più conferenze, più discussioni, promosse da vari soggetti, possono contribuire ad un ampio scambio di idee, dal quale possono nascere proposte e soluzioni interessanti363, in un primo momento impensabili, come previsto dal metodo dello studioso denominato Trascend364 (conflitto→).

360 http://www.un.org./Docs/SG/agpeace.html (ultima consultazione 21.12.2011)

361 Cfr. Jones 2002, pag. 89 e segg.

362 Cfr. L’Abate 2007, pagg. 195-196.

363 Cfr. Galtung 1996, pag. 111 e segg.

Peacebuilding

Il peacebuilding è la strategia fondamentale in un processo di pace, rispetto alla quale le due precedenti costituiscono una fase preparatoria o di supporto. Il peacebuilding si realizza attraverso i progetti di educazione alla pace, cioè di gestione e trasformazione nonviolenta dei conflitti, con programmi educativi nelle scuole e nelle comunità, al fine di abbattere i pregiudizi e facilitare la convivenza e la fiducia reciproca in un clima multiculturale. Fanno parte di questa strategia l’insegnamento di alternative alla violenza, i progetti di ricostruzione del tessuto sociale di un Paese, con l’appoggio allo sviluppo di gruppi locali della società civile, gli interventi di aiuto a volte anche psicologico, oltre che sociale, alle persone traumatizzate dalle guerre e dalle violenze365.

Il peacebuilding si avvale anche di iniziative politiche come l’organizzazione di elezioni, lo stabilire regole democratiche, l’appoggio agli strumenti di comunicazione di massa, il rispetto dei diritti umani, la promozione di uno sviluppo economico che possa portare giustizia a tutti i contendenti, la creazione di istituzioni internazionali che portino ad un clima di legalità e promuovano la collaborazione tra gli Stati. Attraverso il riconoscimento e la presa di coscienza di situazioni di sfruttamento, repressione, emarginazione e attraverso la sinergia delle iniziative di cui sopra, il peacebuilding si pone l’obiettivo della pace positiva (violenza culturale→); gli operatori di pace, di associazioni non governative, che si occupano del peacekeeping svolgono di solito anche le funzioni del peacebuilding366.

365 Cfr. Lederach 1995.

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