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D AL VOLONTARIO ALL ’ OBBLIGATORIO : L ’ ETERNO RITORNO DEL DIRITTO

4. M ODELLI ECONOMICI , OBBLIGHI GIURIDICI E PRINCIPI ETICI : VERSO UN NUOVO DIALOGO

4.3 D AL VOLONTARIO ALL ’ OBBLIGATORIO : L ’ ETERNO RITORNO DEL DIRITTO

Risulta evidente, da uno sguardo complessivo alle tematiche sin qui affrontate, che la RSI, nata come forma di rispetto testuale della normativa vigente in materia sociale ed ambientale, esuli oggi da questo aspetto di coercibilità, ponendosi su di un versante prettamente volontaristico.

Occorre rilevare come, in tale ambito, il consumatore assume non solo la funzione di indirizzare il mercato verso comportamenti socialmente etici, ma egli stesso diventa, a sua volta, destinatario di comportamenti irresponsabili nella sua qualità di soggetto debole della filiera produttiva. Del resto quella consumeristica è oramai una disciplina indissolubile del nostro ordinamento che, anzi, si dimostra sempre più sensibile, dal punto di vista della tutela giuridica, alla protezione di questa figura.

Si pensi alla disciplina stabilita dal Codice del Consumo relativa alle clausole vessatorie nei contratti fra consumatore e professionista; si pensi alla fissazione, quale foro delle controversie, del luogo di residenza del consumatore; o si considerino ancora le numerose nullità

di protezione, introdotte a favore del consumatore stesso, nonché ai pregnanti obblighi di informazione precontrattuale81.

Si tratta in sostanza di dotare di tutele adeguate questo soggetto del mercato, in ragione del gap e delle asimmetrie informative che inevitabilmente intercorrono tra professionista e consumatore, nonché della posizione di subalternità economica di quest’ultimo.

La tutela, questa volta, non sulla base di una legislazione cogente ma solamente volontaristica, di soft law, trova un equivalente nella RSI, nel senso che l’impresa socialmente responsabile tende ad avere cura del consumatore, della sua informazione e della qualità dei prodotti offerti su base volontaria. Si situano in quest’ottica, ad esempio, l’attenzione alla certificazione della qualità dei prodotti e dei processi, la tracciabilità delle materie prime, l’assenza di OGM nei prodotti82. Si tratta dunque di effettuare delle scelte etico-sociali, che derivano dalla consapevolezza della loro piena compatibilità con gli interessi

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Sul tema, si leggano le approfondite riflessioni di L.DIDONNA,Gli obblighi di informazione precontrattuali. Vol. 1: La tutela del consumatore, Giuffrè, 2008. L’autore ripercorre con completezza le scelte operate dal Legislatore comunitario nell’ottica del processo di uniformazione del diritto contrattuale europeo, operando altresì una esaustiva ricognizione delle formule normative adottate dai singoli Stati membri. Interessanti, inoltre, sono le prospettive di riforma del codice italiano, tese proprio a garantire una tutela sostanziale del consumatore di là del dato meramente formale normativo.

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L’azienda Galbusera ad esempio, come riportato nel testo di A. PARLATO, Responsabilità sociale d’impresa, Fondazione Banco di Napoli, Napoli, 2004, pag. 92, ha effettuato alcune campagne pubblicitarie con la seguente dicitura: “Avviso ai consumatori, leggete attentamente le nostre etichette. Se la pensate come noi in fatto di sicurezza alimentare abbiamo una grande novità: garantiamo sempre i nostri prodotti e tutta la linea di produzione secondo sei punti fissi “standard” e con certificazioni indipendenti, come quella SGS per l’assenza di OGM, sempre”.

economici dell’impresa e, anzi, della loro funzionalità nell’accrescere le performance aziendali83.

Si richiama, al proposito, quanto già affermato sulla spinta utilitarista che guida il fenomeno in esame. Non è certo impensabile che la scelta di aderire a comportamenti socialmente responsabili sia una scelta fondata su motivazioni morali; e tuttavia l’ipotesi sembra essere marginale in un settore, come quello economico, ove le decisioni sono ovviamente indirizzate alla massimizzazione del tornaconto economico.

Proprio in tal senso non è possibile non osservare la nuova tendenza del diritto. Una vera e propria rivoluzione copernicana che involge l’intero ambito della normazione, dal sistema delle fonti, all’autorità cui è conferita la potestà legislativa, al valore giuridico di tali norme. Si osserva un arretramento delle tradizionali autorità dotate

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Se affermare che la CSR superi i limiti minimi imposti dalla legge sembra allargare lo spazio di tutela riservato ad interessi che vanno oltre a quelli prettamente economici, bisogna tuttavia sottolineare come il relegare la stessa ad una dimensione meramente etica potrebbe significare in realtà un arretramento della responsabilità dell’entità Stato – rectius UE – rispetto alla regolamentazione normativa di fondamentali materie quali l’ambiente, la tutela del lavoro e dei consumatori. Al riguardo si rammenta ancora la contrapposizione sorta tra le parti sociali che avevano espresso il loro parere nei confronti del Libro Verde UE sulla CSR. Da un lato, le imprese sottolineavano il carattere necessariamente volontario del proprio impegno sociale e, anzi, evidenziavano l’inopportunità di una regolamentazione vincolante della CSR a livello comunitario. Stante l’inesistenza di “soluzioni adatte a tutti”, secondo le associazioni di categoria degli imprenditori, una regolamentazione vincolante avrebbe finito col soffocare la creatività e l’innovazione delle imprese, vero motore della CSR. Sul versante opposto, tuttavia, i sindacati e le organizzazioni della società civile sottolineavano l’insufficienza delle iniziative volontarie a tutelare effettivamente i diritti dei lavoratori, dei cittadini in genere e dell’ambiente, invocando l’adozione di un quadro regolamentare che stabilisse almeno le regole minime ed assicurasse cosi trasparenza ed affidabilità. Appare evidente, fra le due scelte, quale sia stata l’opzione preferita in sede europea.

di potere normativo e la nascita di nuovi centri di normazione. La coattività del diritto, la supremazia della legge sulle altre fonti, l'imperatività stessa della norma giuridica, cedono il passo al metapotere dell'economia globalizzata. Anche laddove gli Stati nazionali ben avrebbero la possibilità di disciplinare tali nuovi fenomeni, i Governi spesso si astengono dal compiere tali scelte, proprio in forza dell’assioma secondo il quale le imprese ed il libero mercato globalizzato mal sopportano imposizioni che renderebbero più dispendioso, in termini economici e di scelte imprenditoriali, investire in quel determinato paese rispetto ad altri84

Nella realtà globalizzata, come ha affermato U. Beck,“non è la minaccia di invasione, bensì la minaccia di non invasione da parte degli investitori, oppure la loro partenza. Come a dire, c'è solo una

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Si legga sull’argomento R. DRURY, The “Delaware Syndrome”: European Fears and Reactions, in Journal of Business Law, 2005, pag. 709; D. CORAPI, Libertà di stabilimento e di circolazione delle società nel diritto comunitario, in Appunti dalla lezione svolta il 12 gennaio 2006 presso il Consiglio Nazionale Forense in Roma in occasione dell’inaugurazione dei corsi per il Master in diritto privato europeo, diretto dal prof. G. Alpa.

E’ questa quella che molti autori hanno definito la cd. “Sindrome del Delaware”. Si osservava empiricamente che numerose società americane sceglievano di fissare la propria sede legale nell’omonimo piccolo Stato americano. Questo perché il Delaware aveva scelto di dotarsi di una legislazione in materia societaria, soprattutto in materia di responsabilità degli amministratori, più semplice e basata sull’ampia libertà e discrezionalità lasciata alle imprese. Non solo, anche le Corti di tale Stato, interpretavano le stesse norme in maniera più elastica, ispirandosi proprio ad un estensivo principio di libertà d’iniziativa economica privata.

Tale discussione, oggi, riecheggia anche nel dibattito politico italiano dove, ispirandosi proprio ad un più accentuato principio di libertà d’iniziativa economica privata, si paventano modifiche sostanziali all’art. 41 della nostra Carta Costituzionale.

cosa peggiore di essere sommersi dalle multinazionali, e cioè quello di non esserlo85”

Si osserva invero la nascita di nuove fonti, non più promananti dalle tradizionali autorità statali, ma create dal basso da organizzazioni istituzionalmente non deputate a tali fini. Nascono cosi nuove regole convenzionali, ispirate dalle esigenze del mercato, che si impongono alla collettività in quanto gli operatori economici ritengono conveniente rispettarle. Tali nuove regole non hanno dal punto di vista della sistematica del diritto, quella efficacia vincolante propria delle norme statuali. Eppure hanno in sé quella forza propria del modello economico che fa sì che queste vengano rispettate al pari, se non addirittura più, delle norme cogenti.

Solo a quel momento, il legislatore “recepisce” tali regole, riversandole o richiamandole in atti normativi vincolanti, in una eterna rincorsa fra volontario ed obbligatorio, discrezionale e cogente86.

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U. BECK, Ein neuer Kosmopolitismus liegt in der Luft, in Literaturen, n. 11, 2007 (richiamato da) G. CONTE, Vincoli giuridici, principi economici e valori etici nello svolgimento dell'attività d'impresa, cit, pag. 683.

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E’ proprio questo il rapporto che lega, ad esempio, le cd. “regole tecniche” alle cd. “norme tecniche”. Potremmo definire questo fenomeno come “l’eterno ritorno del diritto”: la società organizzata si pone regole che vengono continuamente modellate e plasmate dalla prassi e spesso superate da questa. In tale situazione, il sentire sociale – sia esso ispirato e dettato dalle scelte economiche o dallo sviluppo della nuova società della tecnologia – fa si che questa pulsione sia sempre più avanti rispetto al ritardo fisiologico della politica legislativa.

4.4 ATTIVITÀ D’IMPRESA, ETICA E SCOPO DI LUCRO: L’IMPRESA

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