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Dalle scienze nomotetiche alle scienze idiografiche

Nel documento Anno Accademico 2008/2009 (pagine 102-105)

CAPITOLO 3. ASPETTI METODOLOGICI DELLA RICERCA

3.2. APPROCCIO QUANTITATIVO E APPROCCIO QUALITATIVO

3.2.2 Dalle scienze nomotetiche alle scienze idiografiche

Si può far risalire l’approccio che molti chiamano qualitativo all’opera di tre autori. Il primo di essi è Wilhelm Dilthey (1833-1911), un filosofo tedesco, che, alla fine dell’Ottocento, sostiene che le scienze umane non possono costruire modelli di spiegazione causali validi universalmente, ma devono interpretare le motivazioni che spingono i soggetti ad agire attraverso una forma di empatia con essi. Wilhelm Dilthey, partendo dallo studio della filosofia ermeneutica di Schleiermacher e inserendosi nella generale reazione romantica al positivismo, valuta la metodologia quantitativa inadeguata alla comprensione dei fenomeni

umani. L’autore considera ogni forma sociale come il frutto della creatività degli individui.

Per questo motivo, secondo Dilthey, gli sviluppi delle azioni umane (che, in quanto frutto di atti soggettivi, possiedono un significato simbolico) non possono essere interpretati come la conseguenza di una relazione fra oggetti materiali che esistono di per sé. Ne consegue che le scienze che indagano il mondo storico-sociale, quali la storia, la psicologia o la sociologia, necessitano di strumenti metodologici diversi da quelli adottati dagli scienziati positivisti.

Azioni, eventi, artefatti non contribuiscono a costituire una realtà esterna al ricercatore, ma danno vita a un’area vitale, un’espressione dei contenuti della mente umana, ricca di significati e simboli creati e condivisi da coloro che la abitano e in cui anche lo studioso entra a far parte. Pertanto, soltanto con l’affinamento di pratiche interpretative, il sociologo potrà tradurre con profitto i fenomeni a cui partecipa in studi scientifici sulle dinamiche di una certa comunità. (Hughes-Sharrock, 1997).

Sebbene Dilthey offra un contributo decisivo per lo sviluppo del dibattito epistemologico, la definizione di questo nuovo tipo di scienza non si deve a lui. Essa, infatti è il frutto dell’opera di un secondo studioso, Wilhelm Windelband, il quale distingue dalle scienze nomotetiche, discipline il cui obiettivo è quello di cercare leggi (cioè relazioni valide universalmente), un nuovo gruppo di scienze adatte allo studio di situazioni particolari, individuando e valorizzando la specificità di ciascuna di esse: le scienze idiografiche.

Il terzo autore impegnato alla creazione dell’approccio qualitativo è Max Weber. Weber attinge dai lavori dei due studiosi che lo precedono e, influenzato anche dall’opera del filosofo Heinrich Rickert, secondo cui il soggetto nella sua attività intellettuale e nei suoi giudizi è guidato da una “relazione ai valori” (Wertziehung), sviluppa ulteriormente la teoria. Egli assume che nessun fenomeno sociale può essere spiegato in modo univoco, poiché ciascuna interpretazione di un fenomeno sarà inquinata da valori e interessi personali degli scienziati che tentano di analizzarlo. Ogni indagine sociologica, secondo Weber, non può pertanto essere giudicata come vera o falsa in termini positivisti, bensì come più o meno adeguata rispetto alla situazione.

Nonostante ciò, Weber rimane saldamente convinto della capacità della sociologia di rispettare rigorosi criteri di oggettività. Pur riconoscendo, in linea con quanto teorizzato da Dilthey, la grande importanza alla comprensione interpretativa, irrinunciabile strumento di indagine delle scienze storico-sociali, Weber, diversamente da quanto teorizzato dal filosofo e

psicologo tedesco, considera l’interpretazione come un possibile mezzo per conseguire un sapere oggettivo.

Negli anni Trenta del secolo scorso, i lavori di Husserl e, successivamente, di Heidegger rinsaldano le posizioni dei sostenitori della visione alternativa alla concezione positivista delle scienze. La comparsa della fenomenologia, infatti, favorisce lo sviluppo di nuove tecniche di indagine che si porranno nell’intersezione tra la conoscenza esperta e la conoscenza non scientifica. Per Husserl, le cose esistono solo nel momento in cui avviene una relazione tra di esse ed il soggetto che le esperisce.

Secondo il padre e principale esponente della fenomenologia, l’oggettivismo della scienza positivista è il principale colpevole di quella che lui chiama «l’astrazione della scienza dal soggetto». I metodi di ricerca proposti dall’oggettivismo positivista risultano inefficaci allorquando applicati alle scienze sociali: essi sortiscono come unico effetto quello di allontanare tali scienze dalle azioni e i comportamenti individuali e sociali, i principali oggetti di studio delle discipline (Hughes-Sharrock, 1997). La sociologia, adottando i metodi di ricerca oggettivista nel tentativo di auto-legittimarsi come scienza, finisce così per smarrire il proprio carattere di specificità in ambito scientifico.

I fenomenologi assumono che il metodo sperimentale è destinato ad esaurirsi e ad essere sostituito da una nuova forma di metodo scientifico. Secondo la fenomenologia infatti, la scienza galileiana, che ha ricoperto un ruolo importante per la conoscenza per oltre tre secoli, sarebbe imperfetta e trascurerebbe un elemento molto importante della realtà. Il limite del positivismo è quello di non essere arrivato a comprendere che la conoscenza è, in ultima analisi, unicamente un atto di coscienza. Il “mondo” per Edmund Husserl esiste soltanto se sperimentato e reso significante dall’azione della nostra coscienza.

Uno dei primi compiti che la filosofia fenomenologica si pone è la descrizione dell’esperienza quotidiana del mondo della vita, di quel mondo cioè che si presenta nell’esperienza immediata, indipendente da e precedente a qualsiasi altra interpretazione scientifica.

Il sapere esperto, quindi, non è nient’altro che il diverso grado di consapevolezza che un ricercatore ha rispetto ai propri comportamenti e meccanismi mentali. La pre-scienza precede e integra la conoscenza scientifica (Hughes-Sharrock, 1997).

La distinzione tra il mondo della vita e il mondo della scienza, con il primato del primo sul secondo, è un’idea molto affascinante che viene ripresa da diversi autori, tra cui Habermas, il quale teorizza la divisione tra mondo vitale e sistema (Habermas, 1981). Il ricercatore, individuo che partecipa a tutte e due gli universi, pertanto, si trova a studiare materiale che lui stesso concorre a costituire.

Alle idee della filosofia fenomenologia si rifanno anche molti dei sociologi contemporanei. In particolare il sociologo Alfred Schutz (1932; 1953), fonda la scuola fenomenologica. Schutz definisce la scienza una “provincia finita di significato”, non più un modo di conoscenza superiore, ma un mondo costretto a sottostare alle norme sociali che lo regolano e passibile, a sua volta, di investigazione sociologica.

Oltre a quelli presentati fin qui, sono stati molti altri i padri riconosciuti dell’approccio qualitativo. Tra essi ricordiamo: gli interazionisti simbolici George Herbert Mead (1934) e William Isaac Thomas (1937), il filosofo ermeneutico Hans George Gadamer (1960), l’etnometodologo Harold Garkinkel (1967).

Nel documento Anno Accademico 2008/2009 (pagine 102-105)