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DIBATTITO SULL’ENERGIA

Nel documento Anno Accademico 2008/2009 (pagine 121-127)

CAPITOLO 4. I PRINCIPALI RISULTATI DELL’ANALISI DOCUMENTALE

4.1 DIBATTITO SULL’ENERGIA

4.1.1 Energia e sviluppo

La tematica energetica è molto studiata nelle scienze sociali e viene indagata sia in relazione alle dinamiche di sviluppo economico, sia a quelle ambientali.

Alcuni approcci della teoria economica classica, per esempio, interpretano l’intero sviluppo della storia moderna come un processo segnato dall’evoluzione dei sistemi con i quali il genere umano produce e consuma energia. Molta parte dell’economia post-bellica, intenta all’analisi dei modelli di produzione energetica, assume che il miglioramento della qualità di vita di un paese può avvenire solamente se correlato a un sempre maggiore consumo di energia da parte degli individui che lo abitano. Parallelamente, si sviluppa un consistente numero di studi che indagano il rapporto che intercorre tra la variazione del prezzo dell’energia e alcuni parametri macroeconomici. Il valore dell’energia sul mercato costituisce, secondo quanto dimostrano i dati sperimentali dell’economia americana degli anni Settanta e Ottanta, un determinante critico talmente rilevante nella variazione del reddito, dell’inflazione e dell’occupazione di un paese che a un aumento di esso vanno associate sistematicamente tutte le crisi recessive di un paese.

A poco a poco, tuttavia, si sono affermate nuove correnti di pensiero che considerano fallace l’ipotesi di un andamento parallelo tra il tasso di consumi energetici di un paese e il livello degli standard di vita dei suoi abitanti.

Soprattutto grazie a ricerche condotte negli ultimi vent’anni è stato mostrato che, se da un lato i modelli di crescita dei paesi più poveri e in via di sviluppo (PVS)1 mostrano una certa corrispondenza tra il maggiore accesso alle fonti energetiche e il miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti, tale dato non trova conferma negli studi fatti sulle società del primo mondo. Il “Programma Onu Per Lo Sviluppo”, analizzando l’andamento dei valori delle diverse realtà socio-economiche, mostra che, mentre si notano repentini innalzamenti dell’Indice in situazioni di consumi contenuti e crescenti di energia, non si registrano significativi miglioramenti delle qualità di vita degli individui nelle realtà sociali in cui avviene l’incremento di un già elevato consumo di energia pro-capite2.

Il rapporto di diretta proporzionalità tra il miglioramento della qualità di vita e la crescita dei consumi di energia di una nazione non appare, quindi, sempre dimostrato.

Inoltre, come vedremo nel prossimo paragrafo, il consumo sregolato di risorse e di energia ha provocato gravi crisi ambientali che hanno contribuito ad un peggioramento della qualità della vita delle popolazioni.

4.1.2 Energia e Ambiente

La seconda prospettiva da cui si affronta la questione energetica è quella relativa alla tematica ambientale.

Il dibattito scientifico internazionale indica la diretta dipendenza esistente tra un comportamento energetico non sostenibile messo in atto dagli stati nazionale e il surriscaldamento climatico. La lotta ecologista nei confronti dell’emissione incontrollata di gas serra da parte delle industrie e dei mezzi di trasporto – i fattori principali di inquinamento atmosferico – si avvale, oggi, della diffusione di documenti scientifici che ne testimoniano la liceità e attribuiscono responsabilità al comportamento dell’uomo nei fenomeni di riscaldamento globale. Secondo la comunità scientifica, infatti, tra i principali colpevoli

1. Tra i tanti documenti dedicati a questo argomento, ricordiamo il World Development Report della World Bank che suddivida i Paesi del mondo in tre gruppi: a basso, medio e alto reddito.

2. Il “Programma Onu Per Lo Sviluppo” è l’organismo di analisi economica e sociale delle Nazioni Unite, che pubblica periodicamente un autorevole rapporto sul livello di qualità di vita della popolazione mondiale, il cosiddetto “Indice dello Sviluppo Umano” (HDI)

dell’emissione di gas serra in atmosfera figurano le industrie di produzione energetica alimentate da combustibili fossili.

Uno studio effettuato nel 2004 dall’”International Energy Agency” (IEA), il quale si propone di analizzare le conseguenze sull’ambiente delle politiche energetiche attuate da diversi stati nazionali, mostra che per la gran parte dei casi studiati il comportamento energetico risulta essere insostenibile. Secondo l’indagine, infatti, la riproposizione sul lungo periodo delle politiche energetiche nazionali vigenti (basate principalmente su petrolio e carbone), comporterà l’aumento del 60% delle emissioni di biossido di carbonio (il gas responsabile del riscaldamento del pianeta) nell’arco di trent’anni. Nello stesso rapporto si evidenzia il fatto che la Cina da sola tra oggi e il 2030 emetterà una crescita delle emissioni di CO2 pari alla somma di quelle prodotte da USA, Canada, tutti i paesi europei, Giappone, Australia, Nuova Zelanda e Corea (Birol, 2005)3.

La situazione appare critica e misure efficaci nella lotta contro la crisi ambientale per essere efficaci possono essere prese solamente a livello globale, in un clima di forte collaborazione tra le diverse entità nazionali. In particolare è fondamentale il coinvolgimento dei paesi in via di sviluppo che sono i principali produttori delle emissioni di CO2 del futuro, oltre che di quello di alcuni paesi industrializzati che emettono attualmente una grande quantità di gas serra.

4.1.3 Scenari futuri

Sia gli studi sui rapporti tra la crescita economica e l’utilizzo di energia, sia gli allarmi ambientali lanciati dalla comunità scientifica sono concordi nell’affermare che, per ottenere risultati efficaci nella creazione di modelli di sviluppo sostenibili, occorre impegnarsi alla creazione di uno scenario di politiche energetiche alternative per il prossimo futuro.

Ciononostante, i dati IEA relativi alle quote di generazione energetica da diverse fonti mostrano che nel 2030 le quote di energia prodotte da fonti diversificate non subiranno modificazioni significative. Petrolio, carbone e gas, infatti, nei prossimi venticinque anni

3. Cfr. International Energy Agency, Renewables Information OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development), 2005.

saranno impiegati in misura sempre maggiore, mentre, a meno di una svolta radicale delle politiche internazionali, appare altamente improbabile che l’energia prodotta da fonti rinnovabili rappresenti entro breve tempo un’alternativa efficace al petrolio e al gas naturale (Angelici-Pizzuto, 2007).

Più in generale, senza un improvviso cambiamento di rotta delle politiche energetiche mondiali, è altamente ipotizzabile che, anche nel prossimo trentennio, vedremo replicarsi gli scenari attuali in cui il petrolio gioca un ruolo da protagonista.

Attualmente, infatti, il contributo del petrolio alla risposta al fabbisogno mondiale di energia (dal olio combustibile si ricava il 40% di energia mondiale, una quota destinata ad aumentare nei prossimi venticinque anni) comporta alcune criticità, a cui il dibattito energetico sta cercando di dare risposta.

La prima di esse riguarda la sicurezza degli approvvigionamenti energetici. In futuro tutta la produzione di energia sarà appannaggio dei paesi non OCSE4 e ciò potrebbe sfociare in contrasti che metterebbero a rischio l’assetto geopolitico attuale. Se il blocco asiatico e quello occidentale arriveranno a contendersi le sempre più limitate risorse petrolifere presenti sulla terra, verranno a crearsi situazioni a rischio. Esiste, infatti, una stretta correlazione tra le attività militari e l’approvvigionamento energetico5 (Davico, 2004).

La seconda problematica riguarda il futuro esaurimento dei combustibili fossili. La comunità scientifica è divisa sulla data esatta in cui la produzione di energia da petrolio raggiungerà il picco (momento da cui le scorte di petrolio incominceranno a calare), ma nella migliore delle ipotesi l’incremento della produzione di energia da combustibili fossili non si

4. L’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) raggruppa 30 paesi membri che condividono l’impegno per l’esistenza di governi democratici e per un’economia di mercato. Essi sono: Australia, Austria, Belgio, Canada, Corea, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lussemburgo, Messico, Norvegia, Nuova Zelanda, Olanda, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Turchia e Ungheria.

5. Davico ricorda che, aldilà dei paraventi ideologici, la stessa Germania nazista invase l’Unione Sovietica per “il bisogno di petrolio” (come testimoniato al processo di Norimberga da Albert Speer). E che, nell’ultimo secolo di storia, esiste un «filo rosso dell’energia e dell’economia» che spiega la guerra del golfo del 2001 (“guerra per il petrolio del Kuwait”), la guerra alla Jugoslavia degli anni Novanta (“guerra per il possesso del corridoio atto a portare verso l’Europa le risorse energetiche dei paesi del Caucaso”), la guerra in Afghanistan del 2001 (utile corridoio per gli approvvigionamenti energetici provenienti dalle repubbliche ex sovietiche dell’Asia) e, nel 2003, la guerra per il petrolio dell’Iraq (poiché, chi controllerà in futuro il greggio iracheno potrà anche dominare il mercato mondiale) (Zucchetti, 2003).

prolungherà per più di 50-55 anni6. Oltre tale data, si assisterà al progressivo assottigliamento delle risorse petrolifere e alla successiva nascita dell’urgenza di trovare una fonte energetica sostitutiva.

La terza questione, quella su cui si concentra maggiormente la nostra ricerca, riguarda l’alto grado di emissioni di gas climalteranti causato dalla produzione di energia da petrolio. A questo si collega la proposta di trovare un’alternativa ecosostenibile ai processi di combustione fossile per la generazione energetica. La produzione di energia da fonti petrolifere è all’origine di gran parte delle pressioni sull’ambiente. Il 64% delle emissioni antropiche di anidride carbonica, infatti, deriva dalla combustione di fossili nei processi energetici, così come l’89% di emissione di zolfo e il 17% del metano (IEA, 2004).

4.1.4 La questione energetica: due correnti di pensiero

Nei capitoli 1 e 2, abbiamo più volte ricordato che, all’interno del dibattito delle scienze sociali contemporanee, sono nate diverse teorie che prospettano un modello di sviluppo alternativo rispetto a quello indicato dalle teorie “sviluppiste”, sorte in seguito alla Seconda Rivoluzione Industriale e proliferate per molta parte del Novecento. In questo dibattito si collocano anche le numerose teorie filosofiche e sociali volte ad individuare un modello energetico alternativo, le quali, per comodità di studio, vengono suddivise in due scuole di pensiero. Da una parte, si trovano le teorie, definite radicali, secondo cui il rinnovamento ambientale può realizzarsi solamente attraverso un radicale rovesciamento del sistema di crescita capitalistica; dall’altra, le cosiddette teorie moderate, che non considerano il sistema economico e culturale vigenti come i responsabili della crisi ambientale in corso. I fautori delle teorie radicali affermano che il sistema capitalistico, basato sul sistema di domanda-offerta, per mantenersi in vita deve produrre un numero sempre maggiore di merci da mettere sul mercato. È questa la ragione per cui si assiste, nelle società industriali, alla proliferazione di un numero sempre maggiore di beni di consumo, che ben presto saranno gettati tra i rifiuti e

6. Ricercatori Enea nel 2001, ad esempio, stabiliscono che il periodo di durata residua delle riserve di petrolio e gas, valutati sulla base dei consumi in atto nell’anno 2000, risulta essere di 38 anni per il petrolio e 62 per il gas naturale (Rapporto ENEA, 2001).

sostituiti con altri. Lo stesso discorso vale per l’energia. Essa, non più considerata il motore dello sviluppo di una società, risulta essere una merce come le altre, destinata, pertanto, ad essere prodotta, distribuita e acquistata in quantità sempre maggiori per garantire la sussistenza del sistema7. I concetti anti-economici di “efficienza” e “risparmio energetico”

appaiono in contrasto con il modello di crescita dominante nelle società contemporanee e appaiono difficili da attuare. Per questa ragione, si rende necessario porre fine al sistema economico e culturale capitalista per potere realizzare finalmente politiche energetiche improntate alla tutela ambientale (Degli Espinosa P., 2006).

Sull’altro fronte si collocano le teorie che attribuiscono le cause dei danni ambientali non all’eccessiva produzione di energia, bensì all’utilizzo inconsapevole delle risorse tecnologiche.

La teoria di Modernizzazione Ecologica, che sostiene che le crisi ambientali possano essere superate grazie soprattutto a un utilizzo più efficace delle risorse economiche e tecnologiche, si inserisce all’interno di questa seconda corrente di pensiero8. Applicando gli assunti della teoria di Modernizzazione Ecologica – l’inquadramento teorico della nostra tesi – alla questione energetica, possiamo ipotizzare la nascita, nell’era della tarda modernità, di un nuovo sistema energetico, il quale si svilupperebbe attraverso un cambiamento del ruolo delle principali istituzioni della società moderna (soprattutto tecnologia, attori pubblici e privati) all’interno delle reti di governance ambientale9.

Nelle pagine seguenti, attraverso lo studio delle politiche ambientali ed economiche delle istituzioni internazionali, europee e italiane, cercheremo di indagare in quale misura si è affermato un modello di modernizzazione energetica, ovvero un processo in cui le aziende produttrici di energia, oltre a replicare un sistema basato sul profitto e sulla concorrenza dei prezzi, si impegnano a favorire strategie di rinnovamento ambientale.

7. Per un approfondimento della teoria della decrescita rimando ai lavori di Ilich, Gorsz, Partant, Castoriadis, Latouche e, per il caso italiano, Pallante.

8. Va detto, comunque, che, eccezion fatta per alcuni articoli di Elizabeh Stove (2002) sul consumo finale di energia, la teoria della Modernizzazione Ecologica non affronta in modo approfondito la questione di un modello energetico sostenibile.

9. Cfr. § 2.2.3, I cinque pilastri della teoria della Modernizzazione Ecologica.

Nel documento Anno Accademico 2008/2009 (pagine 121-127)