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L’Unione europea e l’Emission Trading Scheme

Nel documento Anno Accademico 2008/2009 (pagine 148-152)

CAPITOLO 4. I PRINCIPALI RISULTATI DELL’ANALISI DOCUMENTALE

4.3 LE PRINCIPALI PROBLEMATICHE ENERGETICHE IN EUROPA E LE LORO RIPERCUSSIONI SOCIALI

4.3.1 L’Unione europea e l’Emission Trading Scheme

Abbiamo deciso di far iniziare la nostra indagine sulla modernizzazione ecologica nei cicli di produzione energetica in Europa dalla verifica dell’attuazione dei dettami del Protocollo di Kyoto tra gli stati membri dell’Ue. Questa scelta è stata presa in seguito a una serie di considerazioni In primo luogo riteniamo, come detto in precedenza25, che la stesura (e la successiva ratifica) del Protocollo di Kyoto sia uno degli strumenti più efficaci attraverso cui si realizza la modernizzazione delle politiche ambientali a livello globale. La costruzione di una governance sovranazionale, che coinvolge un grande numero di stati nazionali, e la produzione di strategie preventive per la tutela dell’ambiente e del clima, infatti, ci induce a considerare il Protocollo di Kyoto come una delle istituzioni fondamentali attraverso cui si veicola la razionalità ecologica nell’era contemporanea. Pertanto, riteniamo che la verifica dell’attuazione dei programmi sottoscritti in tale documento ci possa fornire un utile indicatore per individuare in quale misura il modello di Mol e Spargaaren è applicabile al settore energetico europeo.

In secondo luogo, la stretta connessione tra i cambiamenti climatici e la produzione di energia elettrica, focus di indagine del nostro lavoro, rende fondamentale saper calibrare con oculatezza le nuove politiche energetiche al fine di ottemperare agli impegni assunti. Come è

24. Agli effetti dell’Emission Trading Scheme sono dedicati i § 4.3.1 e 4.3.2, mentre fanno riferimento alla liberalizzazione energetica i § 4.3.3 e 4.3.4.

25. Cfr. § 4.2.6.

stato fatto notare, infatti, la maggior parte delle emissioni di gas serra in Europa deriva dal settore dell’energia, che contribuisce per circa l’81% delle emissioni totale di gas climalteranti e di cui la quota dal 1990 al 2002 è cresciuta dello 0,8% (Agenzia Europea per l’Ambiente, 2002). Di conseguenza, il conseguimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti stabiliti dal Protocollo di Kyoto passa prevalentemente attraverso le aziende di produzione energetica e dovrà essere attuato con intervento congiunto dell’Unione europea e dei suoi stati membri, come specificato dall’articolo 2 della Decisione del Consiglio del 25 aprile 200226.

L’impegno assunto nel 1997, con il quale gli stati membri dell’Ue decidono di ridurre dell’8% le emissioni della Comunità Europea nel suo insieme, si articola ora in nuove norme finalizzate a facilitarne l’attuazione. Gli obblighi a livello globale dell’Unione europea sono, pertanto, ripartiti tra gli Stati Membri nell’ambito di un accordo di condivisione degli oneri (il cosiddetto “Burden Sharing Agreement”, raggiunto nel giugno 1998), che fissa obiettivi di emissione individuali per ciascun Stato Membro27.

Analizzando le situazioni dei singoli Stati, attraverso la lettura dell’Inventario europeo dei gas serra, strumento elaborato dall’Agenzia Europea per l’Ambiente (Aea, 2002), si scopre che, dopo due anni di aumento, negli ultimi anni le emissioni di gas serra sono leggermente diminuite (a fronte degli aumenti dell’1,3% registrato tra il 2000 e il 2001 e dello 0,2% tra il 1999 e il 2000, si hanno un -0,5% tra il 2001 e il 2002 e un -0,8% tra il 2004 e il 2005).

Questo processo virtuoso è avvenuto grazie a un clima più caldo e mite in molti paesi europei, a un rallentamento della crescita economica, all’adozione di fonti energetiche a minor contenuto di carbonio (dal carbone all’olio combustibile verso il gas naturale) e ai seri miglioramenti di alcuni paesi europei nel rispetto degli impegni presi. Paesi come la Francia, la Germania, la Svezia, il Regno Unito e il Lussemburgo hanno di molto ridimensionato le loro emissioni e con ogni probabilità riusciranno ad andare addirittura al di là dei loro specifici obblighi. La Francia, per esempio, che secondo gli accordi non avrebbe dovuto aumentare le

26. L’articolo 2 della Decisione del Consiglio del 25 aprile 2002, riguardante l’approvazione, a nome della Comunità Europea, del protocollo di Kyoto (2002/358/CE), afferma infatti che: “La Comunità Europea e i suoi stati membri adempiono congiuntamente, ai sensi dell’articolo 4 del protocollo, agli impegni assunti a norma dell’articolo 3, paragrafo 1 del protocollo stesso e nel pieno rispetto delle disposizioni dell’articolo 10 del trattato che istituisce la Comunità europea”.

27. Decisione 2002/358/CE del Consiglio del 25 aprile 2002. L’Italia ad esempio, uno dei paesi firmatari del protocollo, ha accettato di ridurre le proprie emissioni del 6,5%.

sue emissioni entro il 2012, le ha invece ridotte del 1,9%. Il Regno Unito è a -15% a fronte di un target 2012 del -12,5%. Germania e Svezia sono in linea con il loro target (rispettivamente -19% e -3,7% rispetto a -21% e -4%), mentre il Lussemburgo ha fatto registrare un abbattimento del 44,2% delle emissioni inquinanti28

Per quanto riguarda i restanti stati membri, invece, la situazione è ben diversa. La maggior parte di essi sono ben lungi dall’adempiere ai propri obblighi nel quadro dell’accordo comunitario di condivisione degli oneri. Della Ue15 si contano 11 paesi, tra cui Spagna, Portogallo, Irlanda, Austria, Italia, Danimarca e Grecia che non hanno proceduto in modo efficace ad onorare gli impegni e sono lontani dai propri obiettivi anche in modo rilevante (Degli Espinosa, 2006). Questo contribuisce a spiegare il fatto che nel 2005 la Ue riduceva le sue emissioni globali di gas climalteranti solo del 2,8% a fronte della quota da raggiungere entro il periodo 2008-2012 fissata a -8% (fig. 4).

In questo senso, per contribuire a un miglioramento della situazione, nel marzo 2000 è stato stipulato il “Programma Europeo per il Cambiamento Climatico” (ECCP), che costituisce lo strumento principale della strategia della Commissione per l’attuazione del protocollo di Kyoto. Il programma prevede l’attivazione di un sistema per lo scambio, all’interno dell’Ue, dei diritti di emissione di gas a effetto serra. Tale meccanismo economico viene definitivamente stabilito in forma obbligatoria dalla cosiddetta “Emission Trading Scheme”, la direttiva 2003/87/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, la quale, entrata in vigore dal 1° Gennaio 2005, istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni di gas a effetto serra nella Comunità.

La Direttiva di cap and trade, introdotta al fine di stimolare comportamenti virtuosi da parte di governi, sfrutta meccanismi di mercato che permettano una più efficace applicazione di vincoli al minor costo possibile.

Con questa Direttiva, per la prima volta, gli obiettivi del Protocollo di Kyoto si traducono in vincoli alle emissioni degli impianti degli operatori dei settori maggiormente inquinanti. Il meccanismo prevede infatti limiti alle emissioni (attraverso il rilascio di permessi) per le

28. Secondo gli esperti la riduzione della quantità di gas serra emessa in Germania deve essere letta in relazione ai miglioramenti del sistema energetico avvenuto dopo la riunificazione; quella del Regno Unito è legata al processo di liberalizzazione del sistema energetico e al passaggio dall’utilizzo di carbone e petrolio al gas naturale nella attività di generazione elettrica; infine per il Lussemburgo gran parte del merito va alla ristrutturazione dell’industria siderurgica. Fonte: Unione europea : MEMO/03/154 – 2003.

imprese europee rientranti nei settori indicati nei Piani Nazionali di Allocazione, definiti per due periodi di riferimento (2005-2007 e 2008-2012) 29.

Una volta fissati i vincoli, i singoli operatori possono decidere se rispettarli, se superarli, acquistando in cambio i permessi di emissione da altri operatori o se situarsi ulteriormente al di sotto dei limiti generando crediti da emissioni da cedere a altri operatori meno virtuosi. In questo modo si crea un vero e proprio mercato dei permessi di emissione, organizzato in borse con prezzi quotati.

La Comunità Europea ha posto in essere un proprio sistema per lo scambio dei permessi di emissione, precedendo l’iniziativa della Convenzione Quadro sui cambiamenti climatici.

Ciascun paese membro è tenuto a elaborare un Piano nazionale di assegnazione dei permessi di emissione (PNA), nel quale deve essere determinata la quota totale di emissioni che il paese intende assegnare al complesso dei comparti oggetto della direttiva e le modalità di tale assegnazione. Il libero commercio dei permessi consente a ciascun soggetto industriale di realizzare l’obiettivo assegnato e all’intero sistema europeo di realizzare la riduzione delle emissioni pianificata con lo sforzo economico minimo.

In altre parole, per ogni paese è fissata una quota di emissioni consentita, la quale viene distribuita tra le proprie aziende energetiche e industrie, in modo tale da dotare ciascuna di esse di un proprio «tetto» di emissioni, ovvero di un certo numero di «permessi» (o certificati) di emissione (un certificato corrisponde a una tonnellata di anidride carbonica). Se l’azienda privata è in grado di scendere sotto tale tetto – riducendo, grazie a un uso innovativo delle tecnologie, i consumi di energia e dunque le emissioni per unità di prodotto –, essa ottiene

«certificati di emissione», che possono essere venduti a prezzi stabiliti alle imprese che si saranno rivelate incapaci di rispettare gli accordi presi, superando il tetto massimo di emissioni consentito.

L’ulteriore direttiva 2003/173 (detta Linking) assicura il collegamento dello schema dell’Emission Trading dell’Unione europea ai meccanismi flessibili del protocollo di Kyoto,

29. L’Allegato I della Direttiva fa riferimento ai 5 settori delle attività energetiche, della produzione e trasformazione dei metalli ferrosi; dell’industria dei prodotti minerali; degli impianti per la fabbricazione di prodotti ceramici e degli impianti industriali per la fabbricazione della carta.

quali l’attuazione congiunta (Joint Implementation, JI) e il meccanismo di sviluppo pulito (Clean Development Mechanism, CDM30).

Questi meccanismi, rappresentando una seconda opzione per l’ottenimento di certificati di emissione da parte delle aziende, costituiscono un’importante opportunità per conseguire sia l’obiettivo di riduzione delle emissioni, sia l’obiettivo dell’efficienza economica.

Nel documento Anno Accademico 2008/2009 (pagine 148-152)