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UNCED, 1992

Nel documento Anno Accademico 2008/2009 (pagine 129-135)

CAPITOLO 4. I PRINCIPALI RISULTATI DELL’ANALISI DOCUMENTALE

4.2 IL QUADRO ISTITUZIONALE-NORMATIVO MONDIALE DI RIFERIMENTO

4.2.2 UNCED, 1992

Nonostante lo scarso interesse mostrato nella Conferenza di Stoccolma rispetto alla tematica energetica, analizzando i risultati del Summit da un più generale punto di vista ambientale, essi appaiono importanti per il fatto di aver posto in evidenza quali linee d’azione intraprendere per conseguire uno sviluppo duraturo e non più identificabile come una mera crescita economica. Malgrado ciò, è necessario attendere altri 15 anni prima di poter inserire il

“parametro della sostenibilità” all’interno del dibattito sullo sviluppo.

Questo si verifica per la prima volta nel 1987, quando una commissione indipendente, stabilita dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1983 con il compito di dare indicazioni per una agenda globale per il cambiamento, pubblica il Rapporto Brundtland (WCED, 1987). Il rapporto prende il nome del presidente della Commissione, il primo

ministro norvegese G. H. Brundtland, ed è recepito a fine 1989 dalle istanze ufficiali dell’ONU con la risoluzione 228 della 44esima Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il WCED si pone l’obiettivo di esaminare e analizzare le cause principali della crisi che investe simultaneamente ambiente e sviluppo economico e si assegna il compito di proporre le linee guida per azioni di intervento concrete e realistiche.

Il rapporto della Commissione propone 22 nuovi principi per il raggiungimento di uno sviluppo sostenibile, i quali dovranno diventare fonte di ispirazione per la futura creazione di leggi nazionali e accordi internazionali. In particolare, in questa sede si definiscono 8 obiettivi interdipendenti: il miglioramento della qualità della crescita economica, che venga incontro alle esigenze di occupazione, cibo, energia, acqua, sanità ed igiene pubblica; la conservazione dello stock di risorse naturali; la stabilizzazione dei livelli di occupazione; il ri-orientamento della tecnologia e una migliore gestione del rischio; l’integrazione di obiettivi riguardanti l’ambiente e l’economia nei processi di decisione; la ristrutturazione delle relazioni economiche internazionali e di conseguenza il rafforzamento della cooperazione internazionale” (WCED, 1987).

Tuttavia, il grande merito della Commissione Brundtland è quello di creare le premesse per l’istituzione della “Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo”

(UNCED12), quella che è considerata la tappa fondamentale per la presa di coscienza a livello internazionale del mutato scenario dei rapporti tra uomo e ambiente. L’obiettivo che il vertice svoltosi a Rio de Janeiro dal 3 al 14 giugno del 1992 si propone, infatti, è quello di integrare le questioni economiche e quelle ambientali in una visione intersettoriale e internazionale, definendo strategie e azioni per conseguire uno sviluppo sostenibile.

Nei vent’anni intercorsi tra i due Summit molte cose sono cambiate: il mondo ha subito due crisi petrolifere (1974; 1980), ha assistito alle prime guerre per il controllo del petrolio, ai disastri di Chernobyl e Bhopal, cogliendo la progressiva gravità del degrado delle foreste, del clima e dell’atmosfera. Anche l’interesse globale verso le fonti di approvvigionamento energetico, il petrolio in particolare, appare mutato: la produzione energetica ora è vista come il fattore determinante per lo sviluppo economico, ma anche come un potenziale elemento di pericolo.

12. United Nations Conference on Environment and Development (UNCED).

L’apertura del vertice mondiale avviene in un’atmosfera carica di aspettative e di grande ottimismo, che deriva dal mutato assetto geopolitico venutosi a creare in seguito alla caduta del muro di Berlino e alla fine della Guerra Fredda. Questo scenario contribuisce a spiegare le ragioni della grande fortuna, della risonanza e della fascinazione che l’evento avrà in tutto il mondo. La Conferenza di Rio, infatti, può essere considerata il maggior successo del negoziato multilaterale sull’ambiente e lo sviluppo delle stesse Nazioni Unite. Vi partecipano 35.000 persone, più di 100 capi di stato, le delegazioni dei governi di 183 paesi, 1.400 ONG e quasi 10.000 giornalisti. L’immaginazione dell’opinione pubblica mondiale ne rimane colpita come non è mai avvenuto prima, né mai sarà dopo.

Due sono i principali meriti dell’Earth Summit di Rio: il primo è quello di avere posto le premesse politiche e istituzionali per la trattazione congiunta dei problemi riguardanti lo sviluppo e l’ambiente; il secondo si collega al fatto di avere favorito la ripresa del dialogo tra i paesi del Nord e i paesi del Sud, creando anche le premesse per una futura cooperazione tra Est e Ovest.

Tuttavia, anche la Conferenza internazionale di Rio, come quelle precedenti, non offre una soddisfacente soluzione alla crisi ambientale in corso. L’eccezionale numero di partecipanti, infatti, fa sì che l’accordo globale si concretizzi su posizioni essenzialmente minimaliste. Già al termine della quarta e ultima sessione preparatoria tenutasi a New York, Boutros Ghali, allora segretario dell’ONU, riferendosi alla imminente apertura della Conferenza, dichiara di privilegiare il massimo di partecipazione, a scapito di contenuti e impegni (Garaguso G.C. e Marchisio S., Rio 1992).

Anche per questa ragione, pertanto, il summit non riesce a mettere in atto i due propositi elaborati alla vigilia: la stipulazione di una “Carta della terra” e l’istituzione di due Convenzioni “forti”, in materia di mutazioni climatiche e di protezione della diversità biologica, i quali avrebbero dovuto rappresentare gli elementi cardini su cui costruire il rinnovamento ambientale.

Per quanto riguarda il primo di questi obiettivi, esso viene completamente fallito. La

“Carta della Terra”, una sorta di summa dei diritti e doveri ecologici degli Stati e degli individui funzionali a definire l’assetto fondamentale del diritto ambientale internazionale, non viene redatta e, al suo posto, vedono la luce due diverse dichiarazione di intenti, la Dichiarazione di Rio e Agenda 21. Entrambi i documenti, tuttavia, assumono caratteristiche

più del manifesto politico che dell’ordinamento giuridico e rappresentano un arretramento rispetto alla Carta della Terra auspicata agli inizi, perché sprovvisti del valore normativo necessario alla costruzione di nuovi modelli di sviluppo economico, sociale e ambientale. Ciò nonostante, essi non sono privi di elementi innovativi.

La Dichiarazione di Rio, ad esempio, composta da 27 grandi principi in materia di ambiente e sviluppo e in parte ispirata alla Dichiarazione di Stoccolma (dalla quale mutua alcune tematiche, come la necessità di sradicare la povertà e la volontà di favorire la nascita di politiche sostenibili per i Paesi in via di sviluppo), elenca una serie di importanti principi, quali il diritto alla partecipazione pubblica in decisioni ambientali e all’accesso alle informazioni inerenti, l’introduzione della “valutazione dell’impatto ambientale”13 e il riconoscimento dell’importanza del ruolo di donne, giovani e delle popolazioni indigene nei processi decisionali. Per comodità di studio proponiamo una suddivisione dei contenuti della Dichiarazione nei seguenti quattro gruppi di tematiche: quelle concernenti il riconoscimento della necessità di uno sviluppo sostenibile; quelle collegate all’affermazione della responsabilità comune ma differenziata degli Stati in materia ambientale; quelle relative al principio di una partnership mondiale nello sforzo comune di salvaguardia dell’ambiente e, infine, quelle connesse all’applicazione del principio precauzionale per la protezione ambientale.

La seconda carta programmatica emanata dalla Conferenza è Agenda 21. Essa, una volta approvata, non contiene priorità di attuazione, né sanzioni per la non attuazione, né impegni precisi (né finanziari, né tecnologici) per la realizzazione delle politiche ambientali. Suddiviso in 40 capitoli, il documento consiste in una pianificazione completa delle azioni da intraprendere, a livello mondiale, nazionale e locale dalle organizzazioni delle Nazioni Unite, dai governi e dalle amministrazioni in ogni area in cui la presenza umana ha impatti sull’ambiente.

Anche relativamente al secondo obiettivo fissato dagli organizzatori dell’Earth Summit (quello relativo alla stipulazione delle due Convenzioni, in materia di mutazioni climatiche e di protezione della diversità biologica), le cose non sono andate come previsto, a causa del

13. VIA: strumenti di studio nati negli Stati Uniti (cfr. § 1.2.4) e diffusi oggigiorno anche in Italia. Procedure di valutazione e pianificazione di progetti, piani e politiche di sviluppo industriale e territoriale, che studiano particolarmente gli effetti di tali azioni sul sistema ambientale.

limitato valore coercitivo delle due Convenzioni. Sui motivi di questo parziale fallimento gioca un ruolo decisivo la posizione assunta dagli Stati Uniti d’America. Infatti, per quanto riguarda la convenzione sulla biodiversità, essa, su insistenza USA, non contiene obiettivi quantitativi, scadenze temporali, impegni da adempiere; mentre la convenzione sul clima non presenta tra gli stati firmatari la superpotenza americana, responsabile del 36,2% del totale delle emissioni inquinanti in atmosfera.

Ciò nonostante, l’apertura della Convenzione Quadro sui cambiamenti climatici (UNFCCC14) risulta essere un fattore di grande interesse di studio relativamente alla questione energetica. Infatti, – data l’alta incidenza dell’utilizzo delle fonti fossili per la produzione energetica mondiale sui cambiamenti atmosferici – tale convenzione sarebbe divenuta nel tempo la sede di fatto del negoziato multilaterale sull’energia.

4.2.3 La Convenzione Quadro sui cambiamenti climatici e la Conferenza delle Parti

Due anni dopo la chiusura della Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo, entra ufficialmente in vigore l’UNFCCC, la Convenzione Quadro sui cambiamenti climatici. Costituita da 153 dei 178 paesi presenti con una delegazione a Rio de Janeiro, tale organizzazione internazionale si pone l’obiettivo di elaborare una politica globale attraverso cui regolare le emissioni di gas serra in atmosfera.

I paesi firmatari si trovano d’accordo sulla necessità di dotarsi, in un arco di tempo piuttosto breve, di una strategia valida per il raggiungimento dei propri obiettivi. Questo avviene per tre ordini di ragioni: in primo luogo, gli studiosi coinvolti nel progetto ritengono necessario impedire che la situazione ambientale muti in continuazione; in questo modo agli ecosistemi sarebbe consentito di adattarsi naturalmente alle condizioni atmosferiche esistenti.

Inoltre, una politica responsabile e attenta alla qualità dell’aria e del suolo salvaguarderebbe la qualità dei prodotti agricoli, quotidianamente insidiati da smog, piogge acide e calamità

14. United Nations Framework Convention on Climate Change.

naturali. Infine, la salute di ambiente e clima è necessaria, come detto, per lo sviluppo del programma di sviluppo sostenibile (UNFCCC, 1994).

Per realizzare gli obiettivi prefissati, a partire dal 1994, le riunioni della Conferenza delle Parti (COP), l’organismo decisionale supremo della Convenzione Quadro sui cambiamenti climatici, si susseguono con cadenza quasi annuale. Nel 1995 la conferenza ha luogo a Berlino (Germania), l’anno successivo a Ginevra (Svizzera), mentre nel 1997 è la volta di Kyoto (Giappone). Ed è proprio a Kyoto, dopo le due riunioni di Ginevra e Berlino che possono considerarsi preparatorie, che il processo negoziale definisce il famoso Protocollo, un accordo vincolante per ogni paese, con il quale le Parti si impegnano a ridurre le emissioni di gas responsabili dell’effetto serra. Nel 1998, la quarta riunione della Conferenza delle Parti, tenutasi a Buenos Aires (Argentina), definisce i meccanismi con i quali i Paesi possono raggiungere i loro obiettivi specifici e negoziare la possibilità di commerciare i diritti di emissione e di organizzare azioni comuni. Tali meccanismi molto complessi messi a punto a Buenos Aires 4) saranno ulteriormente discussi nelle successive riunioni di Bonn (COP-6 Bis) nel 1999, di Le Hague in Olanda nel 2000 (COP-(COP-6) e di Marrakech nel 2001 (COP-7).

Successivamente la convenzione si tiene nelle città di Milano 9; 2003), Montreal (COP-11; 2005), Nairobi (COP-12; 2006) e Bali (COP-13; 2007).

Il lavoro di policy-making effettuato dai membri della Conferenza è regolato da una serie di “principi di operatività”, che hanno il compito di definire le caratteristiche delle norme di intervento. Tra i principi su cui si basa il programma di intervento della COP, ricordiamo in questa sede solamente i due fondamentali:

a) il “principio della responsabilità comune ma differenziata”, per il quale i paesi hanno comuni ma differenziate responsabilità a seconda delle condizioni di sviluppo, della capacità di perturbare il clima e di intervento;

b) “il principio di precauzione” che consiste nel divieto di posticipare l’attuazione di interventi nel campo dell’ecologia in caso di gravi rischi o di danni seri e irreversibili. La UNCCC deve far fronte ad una serie di incertezze dovute all’insorgere di opinioni contrastanti riguardo alle conoscenze scientifiche e definire strategie sostenibili condivise.

La UNFCCC si avvale dell’ausilio di due organi tecnici, quali il dipartimento scientifico

“SBSTA”15, a cui spetta il compito di monitorare i cambiamenti annuali dello stato del clima a livello mondiale e il Panel internazionale sul cambiamento climatico, IPCC (Intergovermental Panel on Climate Change)16, il quale, nel corso degli anni, è divenuto il più autorevole osservatorio sullo stato ambientale del pianeta e ha avuto il merito di emanare, nel 2001, il rapporto sul cambiamento climatico, di cui abbiamo fatto cenno nel paragrafo precedente.

Prima di presentare i contenuti di tale rapporto e le implicazioni che essi hanno sul contesto istituzionale-normativo della questione energetica, però, tratteremo nel prossimo paragrafo del secondo documento che ha segnato in maniera decisiva lo svolgersi del dibattito internazionale sull’energia, l’ambiente e il clima: il Protocollo di Kyoto.

Nel documento Anno Accademico 2008/2009 (pagine 129-135)