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Modello oggettivista e soggettivista: differenze di tipo ontologico, epistemologico e metodologico

Nel documento Anno Accademico 2008/2009 (pagine 97-100)

CAPITOLO 3. ASPETTI METODOLOGICI DELLA RICERCA

3.1 IL DIBATTITO CONTEMPORANEO INTORNO AI METODI DELLA SOCIOLOGIA

3.1.2 Modello oggettivista e soggettivista: differenze di tipo ontologico, epistemologico e metodologico

Per presentare con maggior chiarezza le caratteristiche degli orientamenti oggettivistico e soggettivistico nelle scienze sociali, analizzeremo le convergenze e le differenze che intercorrono tra essi, intorno alla definizione dei concetti di “società” e “azione”4 a livello ontologico, epistemologico e metodologico.

Per quanto riguarda la questione ontologica, diverso è il senso che i due approcci assegnano all’entità di “realtà sociale”. La tradizione positivista definisce la società come un oggetto sociale dotato di un significato intrinseco e oggettivo (qualcosa che esiste di per sé, diranno i neopositivisti), qualcosa che si presta a essere indagato e ritratto con gli strumenti che appartengono alla comunità scientifica in generale. Questa posizione, chiamata del Realismo Ingenuo, costituendo, come vedremo, un ponte tra le tecniche di indagine della sociologia e quelle della biologia e della fisica, pone, pertanto, in relazione la materia trattata dalle scienze sociali (la società appunto) e quella indagata dalle scienze naturali (il mondo fisico),

Diversa la posizione dei sostenitori dell’approccio soggettivista. Weber, uno dei suoi principali ideatori e sostenitori, nota per primo che esiste una serie di problematicità nel

4. Nel dare conto delle differenze ontologiche e epistemologiche tra i due modelli, oltre ai testi citati, ci sono venuti in aiuto anche le lezioni metodologiche di Bovone e Rovati tenute al XX ciclo del corso di dottorato dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

rapporto tra osservatore e osservato, le quali differenziano profondamente la sociologia dalle scienze naturali, come la biologia o la fisica. Secondo il sociologo tedesco la realtà sociale, intesa come oggetto esterno alla coscienza dell’individuo, non è conoscibile senza una partecipazione attiva del ricercatore. Analogamente, le moderne teorie costruzioniste5, che partecipano dello stesso paradigma “soggettivista”, considerano la realtà sociale come il prodotto delle interazioni dotate di senso e dei processi simbolici di cui sono protagonisti gli attori sociali. Per esse, la realtà non esiste di per sé, ma è il risultato di processi di costruzioni sociale (Rositi, 2004).

Allo stesso modo, le due scuole di pensiero giungono ad approdi molto distanti, anche nel tentativo di riferire dell’ontologia dell’azione. Se, per la tradizione positivista, l’agire sociale è regolato da leggi universali e di cause esterne ricostruibili, la teoria comprendente interpreta l’azione come il risultato di una volontà individuale e collettiva. Ne consegue che a un tipo di azione determinata da fenomeni esterni si affianca il concetto di azione intesa come evento irripetibile, determinato non già da fattori esterni, ma da stati interni della coscienza degli esseri umani unici nel loro svolgersi.

Mentre l’ontologia si preoccupa di investigare il concetto e la struttura dell’essere in generale, l’epistemologia indaga i fondamenti, la natura e la validità del sapere scientifico.

Alle domande “Che cos’è la realtà?”, “Che cos’è l’azione?”, proprie della ricerca ontologica, succedono gli interrogativi epistemologici “Come è possibile conoscere la società?”, “Come posso io conoscere?”.

Anche relativamente a questo proposito le due scuole di pensiero assumono posizioni discordanti. Per i positivisti, il modo per conoscere la materia studiata deve essere individuato nella ricerca di connessioni stabili regolate da leggi generali, attraverso le quali è possibile ottenere una spiegazione causale di tipo nomotetico alle dinamiche della società.

Diametralmente opposto è l’approdo a cui giunge la ricerca dei soggettivisti. Questi ultimi, infatti, interpretano la disciplina sociologica come lo studio delle motivazioni e delle finalità che gli attori pongono alla base del loro agire, razionalità individuali e collettive che regolano le dinamiche sociali in una situazione spazio-temporale definita (Hughes-Sharrock, 1997).

5. Cfr. § 1.3.4.

Il terzo ordine di diversità tra i due approcci riguarda le scelte degli strumenti metodologici di ricerca sociale. In questo caso, la domanda a cui gli esponenti di entrambe le scuole tentano di rispondere è la seguente: “Con quali strumenti posso raggiungere la conoscenza?”

L’approccio positivista adotta strumenti matematici per la ricerca sociale. Strumenti, quali il sondaggio, i questionari standardizzati, i modelli statistici, – ancora oggi molto diffusi nel mondo della ricerca, nonostante il marcato declino della preminenza dell’epistemologia filosofica positivista nelle scienze sociali – analizzando la materia di studio in termini di quantità, costituiscono l’”approccio quantitativo” delle scienze sociali.

Il metodo comprendente sviluppa tecniche di ricerca di tipo diverso, come l’intervista in profondità, le storie di vita, la discorse analysis e l’analisi della conversazione. Tali strumenti, che prevedono una maggior partecipazione del ricercatore, il cui lavoro di interpretazione diventerà indispensabile nell’affrontare la materia studiata, danno vita alla sociologia

“qualitativa”, recentemente denominata metodo “non-standard” della ricerca sociale

Un secondo ordine di differenze metodologiche tra i due approcci riguarda il numero delle tecniche che si sono messe a punto per effettuare la ricerca sociale. L’approccio positivista si pone alla ricerca di un metodo scientifico unico e universalmente valido. Già Comte, infatti, sostiene che il metodo scientifico, indifferenziato per tutte le scienze esistenti, si debba fondare sui concetti cardine di osservazione e spiegazione. Questa tesi, conosciuta come teoria del monismo metodologico, diviene un tratto distintivo della visione positiva della scienza. Ne consegue che, per i positivisti, la sociologia e le scienze sociali in generale si collocano sullo stesso livello delle scienze naturali e che, come le scienze naturali, esse assumano una funzione predittiva nei riguardi della materia studiata.

I seguaci dell’approccio comprendente, viceversa, – convinti che l’elemento caratterizzante della azioni sociali sia la irripetibilità e che esse siano il frutto della volontà degli individui, la risultante degli stati di coscienza – ritengono che le dinamiche sociali non possano essere investigate con gli stessi metodi utilizzati dalla biologia o dalla fisica. I soggettivisti, pertanto, sono sostenitori di un pluralismo metodologico, secondo il quale ogni tipo di scienza deve creare un metodo di studi specifico e differenziato.

Nelle pagine che seguono affronteremo questa tematica in modo puntuale. Partendo dalla scoperta della matrice di dati, strumento fondamentale per le scienze sociali, si vedrà come

l’anima oggettivista e quella soggettivista abbiano subito una profonda trasformazione nel dibattito metodologico moderno e come in alcuni casi siano utilizzate fianco a fianco nella stessa ricerca.

Nel documento Anno Accademico 2008/2009 (pagine 97-100)