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Decidere l’indecidibile

Nel documento Diritto, decisione, caso (pagine 192-200)

CAPITOLO VI SCELTE TRAGICHE

3. Decidere l’indecidibile

Una decisione è tragica nel momento in cui implica il sacrificio di un bene giuridicamente tutelato nel rispetto di una convinzione, di un ideale, di un modo di pensare500. Del resto il diritto deve essere ragionevolmente coerente con quello che sceglie essere il suo senso di giustizia.

498 Carl Schmitt, La tirannia dei valori, op. cit. pp.56-57. 499 Ivi p. 67.

500 Guido Calabresi, Il dono dello spirito maligno, traduzione di Carlo Rodotà, Milano, Giuffrè, 1996, p.

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È necessario a tal punto sottolineare che la tragicità di una scelta è insita in una scarsità, una impossibilità ineliminabile.

Il lucido sguardo di Guido Calabresi centra la questione delle decisioni tragiche, secondo questo particolare angolo visuale.

Lo studioso prende in considerazione il conflitto di valori che nasce dall’impossibilità di soddisfare pienamente la distribuzione di beni considerati essenziali. In tale ottica il tragico investe il piano della scelta politica in merito all’allocazione di risorse scarse501. Le scelte tragiche concernono in primo luogo la quantità di risorse, che nei limiti della disponibilità materiale, può essere prodotta. Chiameremo, questo tipo di scelte: “decisioni di primo grado”. In secondo luogo, distingueremo da esse le decisioni di secondo grado, che hanno ad oggetto la scelta degli individui chiamati a beneficiare delle risorse scarse, definendone i criteri di allocazione502.

Calabresi descrive tre metodi “puri” di allocazione dei beni; essi costituiscono però astrazioni, difficilmente utilizzabili nella realtà, senza l’innesto di idonee combinazioni e modificazioni.

Il primo sistema allocativo, ad essere analizzato, è il mercato. Esso è caratterizzato da una decentralizzazione delle decisioni, tale da esonerare la società dalla responsabilità dei risultati. Tuttavia questo metodo comporta dei limiti. Innanzitutto in una situazione tragica la risorsa scarsa sarà aggiudicata al miglior offerente. Inoltre, una volta che è stata assunta una decisione di primo grado, deve essere attribuito un prezzo alla quantità di risorsa da allocare. Ciò implica un problema di monetizzazione del valore del bene considerato di primaria importanza per la vita umana.

In tale ottica è evidente che operare una scelta tragica attraverso il “mercato puro”, data una distribuzione di ricchezza, comporta dei costi “esterni” al decisore (lesione di valori, “moralismi” ad esempio) ed estranei alla logica di mercato, che sono sopportati dall’intera collettività. In effetti il mercato presuppone e ritiene valide esclusivamente le ragioni che sostengono la domanda dell’individuo.

Secondo il teorema dell’ottimo-paretiano il mercato puro raggiunge una condizione di efficienza ottimale quando è impossibile migliorare il benessere di una persona senza peggiorare quella di qualcun altro. Tuttavia questa formula non prende in considerazione la sussistenza di esternalità, monopoli, beni pubblici che richiedono modifiche del

501 Guido Calabresi, Scelte tragiche, a cura di Cosimo Marco Mazzoni e Vincenzo Varano, Milano, Giuffrè,

1986. 502 Ivi p. 5

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mercato. In base al teorema di Coase i mercati potrebbero rimediare a tali difetti esclusivamente se il costo di allestimento di un mercato correttivo fosse abbastanza basso503. Ma non è detto che il costo di creazione di un sistema alternativo sia inferiore rispetto a quello di mercato. Inoltre, affermare che, a date condizioni, i vincenti sono avvantaggiati più di quanto i perdenti non ricompensati siano danneggiati, non è sufficiente. Da queste considerazioni può essere evinto il fallimento dei criteri di ottimo paretiano dell’economia del benessere neoclassica.

Secondo Calabresi può essere altrimenti ipotizzato che: “in qualunque proposta di riallocazione delle risorse i vincenti devono sembrare capaci di ricompensare i perdenti e l’effettivo cambiamento distributivo causato deve in qualche modo essere o favorevole o non troppo sfavorevole da controbilanciare il fatto che alcuni hanno guadagnato di più di quanti altri hanno perso”504.

E ancora il sistema puro di mercato come metodo di allocazione delle risorse scarse non tutela le eguaglianze, né asseconda le preferenze sociali; del resto ciò che è preferibile per l’intera società è dato dalla somma delle singole preferenze individuali. Invero se il mercato, da un lato, riesce a calcolare la somma dei desideri individuali, dall’altro, non dà rilevanza ai danni e benefici derivanti da essi.

Le scelte tragiche possono essere assunte tramite un ulteriore metodo, quello del procedimento politico responsabile.

La decisione politica stabilisce le direttive per le allocazioni delle risorse scarse. Eppure anche questa modalità presenta dei limiti.

Una prima problematica di carattere generale è connessa alla difficoltà di reperire più informazioni possibili circa il maggior numero di persone. Sono soggetti a questo ampio spettro di indagine le preferenze individuali al fine di calcolare l’utilità sociale. Tuttavia, se nel processo politico può essere preso in considerazione il desiderio sociale, non viene in luce la differenziazione dei desideri individuali, dunque essi non sono resi effettivi. Nell’attribuzione di un bene primario ad un individuo rispetto ad un altro si trattano ugualmente i soggetti considerati uguali dall’organo decisionale. Invero l’uguaglianza formale implica che gli esseri appartenenti ad una stessa categoria siano trattati in modo uguale. Tuttavia questo concetto rende palesi le divergenze rispetto all’uguaglianza in

503 Cfr. Ronald Coase, The problem of Social Costs, In Journal of Law and Economics, Vol. 3, Chicago,The

University of Chicago Press, 1960, pp. 1-44; Guido Calabresi, Transaction Costs, Resource Allocation and

Liability Rules: A Comment, in Journal of Law and Economics, Vol. 11, Chicago, The University of

Chicago Press, 1968, p. 67.

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concreto. Esso non stabilisce quando due individui facciano parte di una stessa categoria, né come debbano essere trattati505. Nel rispetto del principio dell’uguaglianza formale si opera comunque un sacrificio.

Il metodo della decisione politica allocativa può essere soggetto ad aggiustamenti. Si potrebbe utilizzare ai nostri scopi il criterio della meritevolezza. Ma è bene sottolineare che la scelta del meritevole di tutela implica la disposizione di un criterio che permetta sia di misurare il merito degli individui, sia di classificarli secondo la grandezza del loro merito. Ciò comporta da un lato, il sacrificio di alcuni principi, tra cui l’uguaglianza in concreto e, dall’altro, innesca la possibilità di incorrere in alcuni rischi, come l’arbitrarietà, la corruzione, la non rappresentatività.506

Un terzo modello decisionale è costituito dal sorteggio. Il caso funge da criterio determinante per l’allocazione delle risorse primarie.

Sicuramente questo modello è conforme al principio di uguaglianza, poiché tutti hanno una uguale chance di ottenere il bene scarso o, da un’altra prospettiva, tutte le risorse disponibili sono ripartite in maniera uguale. È bene precisare che il sorteggio è utile nell’assunzione della decisioni di secondo grado, ma non riesce a risolvere il problema delle decisioni di primo grado. Una volta assunta la decisione di secondo grado, però, gli individui saranno comunque trattati in maniera diversa l’uno dall’altro. Il tragico ancora una volta non è evitato. Tra l’altro, mentre il modello di mercato non riusciva ad isolare le differenze tra gli individui se non per mezzo di scelte individuali e il metodo del processo politico allocativo non riusciva a far fronte alle preferenze dei singoli, il sorteggio non riesce a dare forma né ai desideri individuali, né alle preferenze sociali. A tal punto possiamo analizzare un ultimo schema decisionale: “il metodo consuetudinario o evolutivo”. Esso consiste nell’evitare la scelta consapevole. In altre parole le allocazioni si verificano senza alcuna esplicita decisione.507

Gli ingranaggi della scelta non sono né determinati, né conosciuti dai singoli. Il vantaggio di questo modello consiste nell’esclusione del costo dei conflitti tra valori fondamentali. Tuttavia la decisione di non decidere nasconde un rischio: l’assenza di una scelta allocativa celerebbe il sopravvento di altri criteri allocativi, da una parte il mercato, dall’altra la forza della persuasione morale.

505 Chaïm Perelman, La giustizia, traduzione italiana di Liliana Ribet, Giappichelli, Torino, 1959. 506 Guido Calabresi, Scelte tragiche, cit., 67.

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È automatico domandarci in cosa consista l’utilità di questo metodo. Evitare di decidere comporta qualche vantaggio? Forse rimanda la possibilità che il dramma si compia, ma, come lucidamente osserva Calabresi, consente ai detentori del potere di occultare allocazioni già decise.

La decisione di non decidere in alcune circostanze lederà il principio l’uguaglianza, in altre, il rispetto dei desideri individuali o delle necessità sociali, in ogni caso la trasparenza.

In conclusione, è opportuno affermare che il tentativo di procedere alla combinazione di questi metodi non riuscirebbe ad eliminarne i limiti e a incrementarne i vantaggi.

Il dilemma della decisione tragica non è dunque scardinato. Il sacrificio che ne deriva produce echi, che non si può far a meno di udire.

Da quanto sopra esposto può essere effettuata un’ulteriore osservazione. È evidente che ogni sistema decisionale si fonda sulla logica razionale di autolegittimazione del decisore. Invero, se i sistemi moderni funzionano in modo da neutralizzare l’arbitrio del decisore, non possono in alcun modo scongiurare l’arbitrio della decisione.

Ogni scelta tragica porta alla luce un paradosso. Qualunque conflitto insolubile svela un doppio scenario: ciò che per il diritto è in ogni caso decidibile, risulta invece indecidibile su un piano di giustizia. Da ciò segue che ogni bilanciamento di interessi costituzionalmente protetti e ogni scelta assunta in situazione di scarsità configura una decisione indecidibile.

Ma è bene posare un secondo sguardo sulla questione. Come ha osservato Jacques Derrida, l’indecidibile non è soltanto l’oscillazione tra due decisioni, tra due regole contraddittorie, tra due opposti significati. “Indecidibile è l’esperienza di ciò che, estraneo, eterogeneo all’ordine del calcolabile e della regola, deve tuttavia – è di dovere che bisogna parlare – abbandonarsi alla decisione impossibile tenendo conto del diritto e della regola”508. La decisione sull’indecidibile non è mai un momento oltrepassato una

volta per tutte. “L’indecidibile resta preso, incluso, almeno come un fantasma, un fantasma essenziale, in ogni decisione, in ogni evento di decisione”509. La sua aura scardina alla radice l’ordine programmabile e calcolabile del procedimento decisionale e nello stesso tempo rivela un’idea di una giustizia disincantata.

508 Jacques Derrida, “Forza di legge. Il «fondamento mistico dell’autorità»”, a cura di Francesco Garritano, Torino, Bollati Boringhieri, 2003 p. 77.

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Da uno specifico punto di vista è possibile affermare che, non solo la giustizia trova la sua fonte nell’esperienza dell’ingiustizia, ma anche che tra giustizia e ingiustizia c’è un legame indissolubile510.

Tuttavia la decisione procedurale pur essendo l’espressione di un’assenza, è l’unico mezzo che il sistema giuridico ha a disposizione per poter, sul lungo periodo, contribuire a produrre una società meno ingiusta511.

Il diritto nell’incorporare la decisione, la trasforma in rito, e nello stesso tempo, sceglie il modello che autolegittimi la modalità di soluzione dei conflitti. Ciò nonostante in ogni decisione sopravvive una componente non imbrigliabile, non controllabile. Essa è sempre l’interruzione di una deliberazione, da un particolare angolo visuale frattura, separazione. Molto incisivamente Søren Kierkegaard afferma “l’istante della decisione è una follia”. Essa è contingenza, precipitazione. Il diritto non può far altro che tentare di razionalizzarla, cercando di neutralizzare nelle maglie dei suoi procedimenti ciò che di irrisolto serba.

510 Sul legame tra giustizia e ingiustizia non può non farsi riferimento alla riflessione di carattere filosofico, che si muove dall’analisi del “Detto di Anassimandro”, elaborata da Eligio Resta in Diritto vivente, Roma- Bari, Laterza, 2008, p. 24.

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