• Non ci sono risultati.

Un caso emblematico: la vicenda Ilva di Taranto

Nel documento Diritto, decisione, caso (pagine 186-190)

CAPITOLO VI SCELTE TRAGICHE

1. Un caso emblematico: la vicenda Ilva di Taranto

Possiamo convenzionalmente rilevare, nonostante la complessità del dibattito teorico, il carattere normativo dei principi487. Numerosi sono i criteri alla luce dei quali è possibile operare una differenziazione tra principio e regola. Tra di essi la tesi che può essere accolta dispone che i principi sono i criteri direttivi delle regole, mentre quest’ultime corrispondono a linee-guida dei comportamenti umani. È dunque evidente che i principi si pongono rispetto alle regole su un differente piano graduale e qualitativo. A tal riguardo nota è la tesi di Robert Alexy. Secondo lo studioso “i principi (Prinzipien) sono norme che prescrivono che qualcosa è da realizzare nella misura più alta possibile relativamente alle possibilità giuridiche e fattuali”488. In questo senso essi sono “precetti

di ottimizzazione”. La distinzione tra principi e regole si fa manifesta altresì in campo applicativo, più specificamente nel caso di collisione di principi e di conflitto tra regole. Mentre della modalità di soluzione dei conflitti tra regole si è già discusso, nell’ipotesi di collisione tra principi avrà luogo la “ponderazione” o il “bilanciamento”. Viene dunque in gioco l’attività di attribuzione di un certo peso ad un principio rispetto ad un altro in presenza di determinate circostanze. È il caso, dunque, a guidare il giudice nella decisione sulla prevalenza di un principio rispetto ad un altro. Più in particolare secondo Alexy tra due principi si instaura una “relazione condizionata di priorità (bedingte

Vorrangrelation),” per la quale il caso detta le condizioni di prevalenza di un principio

su un altro. È piuttosto ovvio che una diversa situazione di fatto può condurre ad una decisione opposta sulla questione di priorità. Tra l’altro da ogni giudizio di priorità può essere ricavata una regola, che prescrive la conseguenza giuridica del principio prevalente. Più specificamente: “le condizioni, alle quali un principio prevale sull’altro, costituiscono la fattispecie della regola che esprime la conseguenza giuridica del principio prioritario”489. La legge così formulata è chiamata: “legge di collisione”.

La teoria del bilanciamento non è tuttavia esente da critiche. Essa, secondo alcuni, non fornirebbe nessun criterio razionale per l’applicazione di un principio rispetto ad un altro, quanto piuttosto celerebbe il rischio di operazioni perlopiù arbitrarie490. Del resto vale

487 Cfr. Robert Alexy, Teoria dei diritti fondamentali, a cura di Leonardo Di Carlo, Bologna, il Mulino, 2012, pp.102-103: “Qui regole e principi devono essere sussunti sotto il concetto di norma. Sia le regole che i principi sono norme, perché entrambi dicono cosa è prescritto”.

488 Ivi p. 106. 489 Ivi p. 115.

490 Cfr. Jürgen Habermas, Fatti e norme. Contributi ad una teoria discorsiva del diritto e della democrazia, a cura di Leonardo Chieppa, Milano, Guerini, 1996, p. 308: “poiché mancano criteri razionali a tale scopo,

187

sempre quanto detto per le regole: i principi non regolano le circostanze e le modalità della loro applicazione. Così lo strumento di controllo di ogni decisione resta la sua giustificazione razionale, modulata in base a criteri di ordine logico, assiologico e di coerenza sistemica. Da questo punto di vista la decisione giudiziaria non può coincidere con l’esito di un procedimento psichico razionalmente non controllabile.

In riferimento al giudizio di priorità tra due principi, può essere altresì formulata la “legge del bilanciamento”491. In base ad essa il grado di non-realizzazione di un principio è

direttamente proporzionale all’importanza dell’attuazione dell’altro. Certo è che il grado di lesione o l’importanza di un principio non può essere determinato aprioristicamente. Ciò, d’altro canto, non equivale ad affermare che il bilanciamento è un procedimento arbitrario e astratto. Esso è piuttosto un giudizio di preferenza, che corrisponde ad una determinata regola decisoria. La legge del bilanciamento si riempie di contenuto se connessa agli strumenti di controllo razionale delle valutazioni predeterminate non cogenti che rientrano nell’attività decisoria. In questo senso la “struttura formale del bilanciamento” deve essere connessa con la teoria dell’argomentazione giuridica.

È bene a questo punto riflettere su un caso emblematico di collisione di principi che ha dato luogo a bilanciamento operato dal legislatore italiano con la legge 24 dicembre 2012, n. 231 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, recante disposizioni urgenti a tutela della salute, dell’ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale). Il focus della nostra analisi cade senza ombra di dubbio sul caso ILVA.

In merito alla vicenda, il Governo ha emanato tre diversi decreti legge tra l’agosto 2012 e il giugno 2013492.

il bilanciamento si attua o in maniera arbitraria oppure in maniera irriflessa secondo standards e rapporti gerarchici tradizionali”.

491 Robert Alexy, Teoria dei diritti fondamentali, cit., p. 185.

492 La vicenda in questione è stata dapprima disciplinata col d.l. 7.8.2012, n. 129, convertito con modificazioni dalla l. 4.10.2012, n. 171 (Disposizioni urgenti per il risanamento ambientale e la

riqualificazione del territorio della città di Taranto) ed emanato all’indomani del sequestro conservativo

(26.6.2012) di sei impianti dell’“area a caldo” dello stabilimento dell’ILVA di Taranto da parte del GIP presso il Tribunale della città per inquinamento e disastro ambientale. Successivamente è stato emanato il d.l 3.12.12, n. 207, convertito con modificazioni dalla l. 24.12.12 n. 231 ((Disposizioni urgenti a tutela

della salute, dell’ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale). Infine è stato approvato il d.l. 4.6.2013, n. 61 (Nuove disposizioni urgenti a tutela dell’ambiente, della salute e del lavoro nell’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale), sul

presupposto della permanente inottemperanza degli Organi gestionali dell’ILVA rispetto alle prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame dell’A.I.A (Autorizzazione Integrata Ambientale). Il decreto ha disposto il commissariamento straordinario dell’ILVA, con attribuzione al Commissario di tutti i poteri e le funzioni degli organi di amministrazione dell’impresa e contestuale sospensione dell’esercizio dei poteri di disposizione e gestione da parte dei titolari. L’atto normativo ha altresì disposto (art. 1, co. 2) che, a seguito del commissariamento, la prosecuzione dell’attività produttiva è comunque funzionale alla

188

Soffermeremo la nostra attenzione sul già citato decreto legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito successivamente in legge. Il suddetto decreto legge ha altresì dato luogo alla pronuncia di due ordinanze del 13.02.2013, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili i ricorsi per conflitto di attribuzione sollevati dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto. La Corte si è altresì espressa con la sentenza n. 85 del 9.04.2013, dichiarando infondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 1 e 3 della legge 24 dicembre 2012, n. 231. È stato il Giudice per le indagini preliminari del tribunale ordinario di Taranto a sollevare la questione di legittimità dei suddetti articoli in relazione agli artt. 2, 3, 9, secondo comma, 24, primo comma, 25, primo comma, 27, primo comma, 32, 41, secondo comma, 101, 102, 103, 104, 107, 111, 112, 113 e 117, primo comma, della Costituzione. In particolare l’art. 1 del succitato d.l. n. 207 del 2012 prevede che, presso gli stabilimenti dei quali sia riconosciuto l’interesse strategico nazionale e nei quali trovino occupazione almeno duecento persone, l’esercizio dell’attività di impresa, quando sia indispensabile per la salvaguardia dell’occupazione e della produzione, possa continuare per un tempo non superiore a 36 mesi, anche qualora sia stato disposto il sequestro giudiziario degli impianti, nel rispetto delle prescrizioni impartite con una Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata in sede di riesame, al fine di assicurare la più adeguata tutela dell’ambiente e della salute secondo le migliori tecniche disponibili.

Questo intervento legislativo si fa portatore, a detta del remittente, della decisione politica e normativa di riconoscere una sorta di prevalenza delle esigenze di produzione rispetto alla necessità di salvaguardare ulteriori principi di rango costituzionale: il diritto alla salute e all’ambiente

Più specificamente il giudice a quo denuncia la violazione dei principi “personalistico” e “solidaristico-sociale”. Invero, posto che, la Costituzione promuove la tutela del diritto alla salute (art. 32 Cost), che nella sua dimensione sociale si connette ad un diritto alla salubrità dell’ambiente, (artt. 2, 9, 32 Cost.) l’iniziativa privata non potrebbe svolgersi in modo pregiudizievole per la vita delle persone. Tuttavia il d. l. n. 207 del 2012 prevedendo che l’attività imprenditoriale dell’Ilva possa continuare per un tempo non superiore a 36 mesi, nonostante le emissioni nocive per la salute degli individui e per la salubrità dell’ambiente, decreterebbe la prevalenza del diritto al lavoro sul diritto alla salute.

conservazione della continuità aziendale ed alla destinazione prioritaria delle risorse aziendali alla copertura dei costi necessari per gli interventi conseguenti alle gravi violazioni degli obblighi derivanti dall’A.I.A.

189

Il rilievo è avvalorato dal fatto che per quanto il preambolo del provvedimento si riferisca all’esigenza di rimuovere immediatamente «le condizioni di criticità esistenti» in relazione alla sicurezza degli impianti, gli artt. 1 e 3 non condizionano affatto il rilancio della produzione alla realizzazione effettiva degli interventi necessari allo scopo, ma stabiliscono, invece, esplicitamente, che le prescrizioni dell’Autorizzazione Integrata Ambientale riesaminata vengano adempiute nel corso di 36 mesi.

Il remittente si chiede, dunque, se il diritto alla salute possa essere opportunamente suscettibile di bilanciamento o se piuttosto debba essere considerato come un principio che neutralizza il giudizio di priorità tra due principi entrati in collisione. E inoltre, nel caso in cui si ammetta il bilanciamento, quale è il criterio utile ad individuare la soglia di ragionevolezza del giudizio preferenziale.

La Corte, nel pronunciarsi sui seguenti punti, statuisce che la ratio della disciplina censurata è diretta a realizzare un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione: da un lato, il diritto alla salute (art. 32 Cost.), da cui deriva il diritto all’ambiente salubre, e dall’altro, il diritto al lavoro (art. 4 Cost.), da cui deriva l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali ed il dovere delle istituzioni pubbliche di adottare politiche in tal senso.

La Corte precisa: “Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona.” Il Giudice delle Leggi dunque non condivide la tesi argomentativa del giudice remittente, che ruota attorno al dogma dell’assolutezza del diritto alla salute, desunta dall’aggettivo “fondamentale” contenuto nell’art. 32 Cost. In altre parole non deve essere riconosciuta una predeterminata gerarchia di valori, slegata dalle circostanze della situazione concreta, bensì tutti i diritti fondamentali devono essere considerati in un rapporto dinamico di reciproca interdipendenza.

È compito del legislatore e del giudice delineare il punto di equilibrio tra i principi collidenti “secondo i criteri di proporzionalità e ragionevolezza”.

A questo punto è opportuno notare come il discorso della Corte approdi ad esiti tautologici.

190

Se da un lato è affermato che la ratio della disciplina in esame persegue un ragionevole bilanciamento degli interessi in gioco, dall’altro è precisato che il punto di equilibrio tra due principi deve essere valutato secondo i criteri di ragionevolezza e proporzionalità. In altre parole è ragionevole il bilanciamento che è effettuato in base a ragionevolezza e proporzionalità.

Invero, è evidente che la pronuncia della Corte non fa chiarezza sul contenuto e sulle modalità di un giudizio di bilanciamento ragionevole, per converso, essa rifiuta l’ipotesi di qualsiasi tipo di gerarchia astratta di principi, tale da configurare uno schema di bilanciamento in astratto. È il caso, dunque, l’unità di misura della decisione, il parametro attraverso il quale misurare il peso di ciascun principio.

Non può tacersi un’ulteriore precisazione del Giudice delle Leggi. Come è noto, il punto di equilibrio, nel quale convergono l’intervento legislativo summenzionato e l’AIA, è anche il risultato di scelte compiute da amministrazioni competenti, che non possono essere contestate nel merito. A tal riguardo può affermarsi che il bilanciamento degli interessi costituzionalmente tutelati “non è necessariamente il migliore in assoluto”, essendo ben possibile prospettare altre soluzioni più efficaci per ottenere il risultato atteso. Tuttavia esso deve presumersi ragionevole, “avuto riguardo alle garanzie predisposte dall’ordinamento quanto all’intervento di organi tecnici e del personale competente; all’individuazione delle migliori tecnologie disponibili; alla partecipazione di enti e soggetti diversi nel procedimento preparatorio e alla pubblicità dell’iter formativo, che mette cittadini e comunità nelle condizioni di far valere, con mezzi comunicativi, politici ed anche giudiziari, nelle ipotesi di illegittimità, i loro punti di vista”. Tra l’altro, la normativa censurata non prevede la continuazione dell’attività imprenditoriale dell’ILVA, alle stesse condizioni che avevano innestato l’intervento dell’autorità giudiziaria, ma impone condizioni nuove, la cui osservanza è soggetta a continuo controllo, con tutte le conseguenze giuridiche previste dalle leggi vigenti. Sulla scorta di questi elementi, la Corte ha statuito la “non irragionevolezza” del bilanciamento tra i principi della tutela della salute e dell’occupazione, operato con gli interventi di natura legislativa e amministrativa in questione.

La sentenza n. 85 del 9.04.2013 richiama un noto dibattito che si sviluppato nel secondo dopoguerra e avuto ad oggetto la logica dei valori.

Nel documento Diritto, decisione, caso (pagine 186-190)