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La decisione nell’ottica del realismo giuridico

Nel documento Diritto, decisione, caso (pagine 39-43)

Il realismo giuridico è la teoria del diritto che più di altre ha posto l’accento sulla dimensione fenomenologica della decisione giuridica, in particolare della decisione giudiziaria. Le diverse correnti del pensiero realistico convergono nell’interpretare la validità del diritto in termini di effettività sociale delle norme giuridiche117.

Come osserva Alf Ross, noto esponente del realismo danese: “una norma valida si distingue da un disegno di legge o da una proposta di modificazione, perché il contenuto ideale della norma valida è attivo nella vita giuridica della comunità, esiste un diritto in azione corrispondente al diritto nelle norme”118. Ma in cosa consiste la suddetta “attività”

del contenuto ideale della norma valida?

Su tal punto le teorie divergono. Si delineano così due tendenze: la versione piscologica del realismo e la concezione behavioristica. Secondo il realismo psicologico una norma è valida se viene accettata “dalla coscienza giuridica popolare”. In tale ottica la realtà del diritto è informata da fattori di natura psichica. Alla luce di questa concezione il fatto che una norma sia applicata dalle corti è ragione necessaria ma non sufficiente per l’assunzione di validità. Il criterio dirimente è in quest’ottica la presenza di un elemento di valenza socio-psicologica. Dunque se una legge non è accettata dalla coscienza giuridica popolare, essa non diventa diritto valido. Tuttavia la coscienza giuridica non può essere calcolata alla stregua del modello dell’uomo comune. Piuttosto essa va costruita in relazione alle tesi e alle opinioni dei giuristi professionisti, “i guardiani tradizionali delle tradizioni giuridiche”119.

L’obiezione principale al realismo psicologico è che la coscienza giuridica non è un’entità misurabile. Invero secondo Ross è necessario riferirsi al sistema giuridico come “un fenomeno intersoggettivo dato esternamente” e non come il risultato di un calcolo statistico operato su opinioni soggettive degli studiosi di diritto.

Il realismo behavioristico, a differenza del realismo psicologico, connette la realtà del diritto con l’attività delle corti. Una norma è valida se esistono fondati motivi per ritenere

117 Cfr. Alf Ross, Diritto e giustizia, trad. it. a cura di Giacomo Gavazzi, Torino, Einaudi, 1965, p. 68. Tra le tesi del realismo non può non essere menzionata quella che fa capo a Karl Olivercrona; per il noto esponente del realismo scandinavo, il diritto non è un fatto verificabile empiricamente, ma un concetto che risiede essenzialmente nella mente degli uomini. Nella realtà non possono riscontrarsi né diritti né doveri, ma idee di diritto e idee di doveri. Sul punto si veda di Karl Olivercrona, Il diritto come fatto, a cura di Silvana Castignone, Milano, Giuffrè, 1967.

118 Alf Ross, op. cit. p. 68. 119 Ivi p. 69.

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che essa sia posta dalle corti come base delle proprie decisioni. In tale ottica il fatto che la norma sia conforme alla prevalente coscienza giuridica costituisce un rilievo secondario per la sua accettazione da parte delle corti.

Come nota lucidamente Ross la diversità dei punti di vista adottati dal realismo psicologico, da una parte, e dal realismo behavioristico, dall’altra, può essere formulato in questo modo: mentre la prima corrente sostiene che il diritto è applicato perché è

valido, la seconda afferma che il diritto è valido perché applicato120.

Una tipica visione behavioristica del diritto è quella attribuibile a Oliver Wendell Holmes. Famosa è la sua affermazione: “Per diritto io intendo la profezia di ciò che le corti faranno di fatto, e niente di più pretenzioso”121

Tuttavia è necessario precisare che un’interpretazione meramente behavioristica del concetto di validità del diritto non è convincente, poiché non è possibile prevedere il comportamento del giudice in base alla constatazione di una regolarità abituale. Secondo Ross solo una sintesi del punto di vista psicologico e di quello behavioristico può portare ad una decodificazione del concetto di validità del diritto.

Da ciò segue che il diritto è valido quando le decisioni giudiziarie sono, da un lato prevedibili e dall’altro coerenti con un sistema accettato di significati e determinazioni, che rispecchia un’ideologia normativa nota. Ross precisa che ogni norma corrisponde ad una direttiva indirizzata al giudice, secondo la quale al ricorrere di determinati presupposti fattuali essa assumerà un ruolo dirimente nella decisione del giudice. La prevedibilità della decisione è connessa dunque alla presenza attiva di una determinata norma nella mente del giudice. Come osserva lo studioso: “se la previsione è, nonostante tutto, possibile, ciò accade perché il processo mentale con il quale il giudice decide di fondare la decisione su una norma piuttosto che su un’altra, non è un capriccio o un atto arbitrario, variabile da un giudice ad un altro, ma è un processo determinato da atteggiamenti e da concetti, da una comune ideologia normativa presente e attiva nelle menti dei giudici quando questi agiscono in veste di giudici”122.

Interessante è la prospettiva realista: il diritto si fonda su una previsione che ha ad oggetto l’applicazione di una norma fatta propria e incorporata dalla mente del giudice.

In questo senso la decisione è l’attualizzazione di una previsione circa l’interpretazione che le corti daranno di una norma.

120 Ivi p. 70.

121 Oliver Wendell Holmes, The path of the Law, in Harvard Law Review, 10, 1897, 457 ss.

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Come anticipato in precedenza il realismo giuridico è attraversato da diverse correnti di pensiero, alcune delle quali si caratterizzano per uno spiccato scetticismo, alla luce del quale la possibilità di predire le decisioni delle Corti costituirebbe propriamente un’illusione123.

Come è noto Jerome Frank è l’illustre esponente del realismo americano, che ha spinto tale teoria del diritto verso una deriva etnometodologica, scardinando fermamente il dogma della certezza del diritto.

Per lo studioso la ricostruzione del fatto, in sede di giudizio, è influenzata dalla soggettività di quanti sono chiamati a partecipare a tale attività: non solo il giudice, ma anche i testimoni e i giurati. Invero l’accertamento del fatto configura una doppia rifrazione dell’evento che procede dal reale alla ricostruzione operata dal testimone e da quest’ultima a quella effettuata dal giudice.

Oltre a ciò Frank sostiene che nel processo non vi è propriamente un accertamento dei fatti: quest’ultimi non sono “dati”, prodotti già definiti in attesa di essere scoperti. Il giudice, tra l’altro, non ha osservato e assistito ad essi in prima persona, quanto piuttosto deve ricostruirli in base alle risultanze processuali. In tal senso i fatti non sono per l’operatore del diritto una questione di conoscenza, ma di opinione124. Nella sua analisi

Frank si sofferma ampiamente sul rapporto tra la ricostruzione operata dai testimoni e la valutazione operata su di essa dal giudice.

Il primo spunto di riflessione verte sulla considerazione che i testimoni in quanto uomini riversano nella loro deposizioni percezioni ed impressioni del tutto personali. È pacifico che il testimone non riproduce meccanicamente i fatti, ma ne offre un’interpretazione, formulando un giudizio125.

Come osserva Frank: “i tribunali hanno inoltre notato che un teste può nutrire forti preconcetti su ciò che è giusto o ingiusto in un determinato caso e di conseguenza può descrivere in perfetta buona fede eventi che non si sono mai verificati, oppure dimenticare fatti importanti che sono invece successi, ad esempio perché simpatizza con una persona meritevole minacciata da un danno”126 A tale notazione si aggiunge un’ulteriore rilievo:

123 Cfr. Karl N. Llewellyn, A proposito di realismo. In risposta a Pound in Il diritto come profezia a cura di Silvana Castignone, Carla Faralli, Mariangela Ripoli, Torino, Giappichelli, 2002, p. 202.

124 Jerome Frank, Dirlo con la musica in Il diritto come profezia, cit., p. 330

125 Sul punto è interessante far riferimento allo studio di Alfred Schütz sulla fenomenologia

dell’atteggiamento naturale, Il problema della rilevanza, a cura di Giuseppe Riconda, Torino, Rosenberg & Sellier, 1983.

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alle reazioni soggettive e fallibili dei testimoni si connette la valutazione soggettiva e fallibile del giudice.

Da un certo punto di vista il giudizio del giudice è influenzato da inclinazioni e preferenze che si esplicano, per dirla con Frank, “non rispetto alle norme, ma ai testimoni, cioè intendo le reazioni, positive o meno, del giudice di fronte alle donne, o alle donne con i capelli rossi, o alle zitelle, o agli uomini con la barba, agli strabici e alle persone afflitte da tic nervosi, o ai cattolici, ai massoni, ai repubblicani, ai leaders sindacali, quando qualcuno di essi fornisce una testimonianza. Tali pregiudizi sono, di solito, profondamente radicati, sconosciuti agli altri, e spesso anche al giudice stesso127. La decisione giudiziaria si muove dall’ambito predefinito delle procedure all’universo delle preferenze, degli istinti, delle emozioni, dalle esperienze, delle convinzioni che forgiano il giudice.

Francesco Bacone ha definito questi fattori idola specus errori riconducibili alla natura dell’uomo, alla sua educazione, alle sue abitudini.

Formuliamo un esempio: il giudice nel valutare la credibilità dei testimoni può essere influenzato dalla sua predilezione o avversione anche inconscia contro una qualsiasi categoria di persone.

In questo senso il processo decisionale è intessuto di cesure alogiche, che nelle motivazioni vengono ricondotte ad uno schema logico-razionale.

Del resto nel giudizio possono convergere sentimenti, emozioni, intuizioni, che vengono neutralizzate dalle procedure.

Essenzialmente il procedimento decisionale è “il risultato di un esperienza unica”128. Singolare l’approccio frankiano, nella misura in cui il diritto viene ridotto ad un fatto umano “attraverso una continua chiarificazione e demolizione di mitologie giuridiche e logiche”129.

Per utilizzare le parole dello studioso: “gli interessi personali, i punti di vista, le preferenze, costituiscono l’essenza della vita”130.

Frank svela così il carattere non prevedibile della decisione, ma sostiene altresì che essa può essere ricondotta ad esiti razionali, esclusivamente attraverso la consapevolezza che

127 Ivi p. 348.

128 Jerome Frank, Law and Modern Mind, Coward-Mc Cann, New York, 1930, p. 149.

129 Giovanni Tarello, A proposito di un libro del Frank, Rivista internazionale di filosofia del diritto, XXXIV, fasc. 3-4, Milano, Giuffrè, 1957, pp. 464-465.

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ogni vicenda umana prende forma da una serie di elementi irrazionali, i cui effetti possono essere neutralizzati da un trattamento razionale dell’irrazionale131.

Tale approccio definibile fact – skeptic parte dal presupposto che il giudizio è un processo che si avvale di interferenze irrazionali.

Condotto in superficie il vero carattere del procedimento decisionale, Frank avanza una proposta: quella di istituire una procedura equitativa di soluzione dei conflitti. L’equità appare la possibile mediazione tra razionalità ed emotività. Più specificamente lo studioso nell’opera Courts on Trial formula la necessità di sostituire il “Diritto-Padre”, incapace di adattarsi alla variegata polimorfia del reale, con un diritto più fluido e compassionevole. Tale approccio implica la consapevolezza che il giudice esercita un’ampia quota di potere discrezionale, ma anche la considerazione che egli ha la capacità di empatizzare con le parti sottoposte al suo giudizio. La clemenza, la carità, la compassione, il rispetto per l’unicità degli uomini e delle donne convocati di fronte alle corti sono per Frank gli elementi irrinunciabili di un sistema giudiziario civilizzato132.

Sicuramente l’impostazione realista e in particolare quella frankiana restituiscono complessità al procedimento decisionale, che in nessun caso può essere ridotto a puro processo logico, nel quale la conclusione addotta è il risultato dell’applicazione di una determinata norma giuridica a fatti già definiti e incontrovertibili. A questo proposito emblematiche sono le parole di Benjamin Cardozo: “In centinaia di tribunali, in tutto il paese, si svolge quotidianamente l’attività di decisione di casi giuridici. Si può quindi supporre che ogni giudice saprebbe facilmente descrivere il procedimento già seguito mille e mille volte: niente sarebbe più lontano dalla verità”133.

Nel documento Diritto, decisione, caso (pagine 39-43)