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Decisione razionale

Nel documento Diritto, decisione, caso (pagine 56-61)

CAPITOLO II DECISIONE RAZIONALE

4. Decisione razionale

Come è stato accennato nel corso della trattazione sono state elaborate una teoria normativa e una teoria comportamentale della decisione razionale. La prima ha ad oggetto gli imperativi condizionali dell’agire razionale, la seconda invece analizza come l’agente di fatto si comporta quando adotta delle decisioni.

Come è noto agire razionalmente corrisponde all’agire nel modo migliore possibile in vista degli scopi prefissati. In altre parole il comportamento razionale coincide con la massimizzazione dell’utilità attesa, intesa come il grado di piacere associato ad un’esperienza o ad un oggetto.

Ogni decisione implica il compimento di un insieme di micro-scelte. Invero il procedimento decisionale si compone di una serie di opzioni multiple e complesse dalle quali si perviene ad un'unica decisione164.

Academic Press, 1975, pp. 73-118 e in Herbert Simon, Logic of Heuristic Decision Making cit., pp. 154- 175.

163 Cfr. Antonio La Spina, op. cit. pp. 121-122.

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Razionale è dunque ordinare correttamente le proprie preferenze, valutarle e confrontarle, avvalersi di informazioni soddisfacenti, coordinarle tra loro, in base alle proprie preferenze165.

La decisione razionale viene dunque ad essere influenzata da un insieme di variabili: la completezza o scarsità di informazioni, la complessità dei problemi, la limitata capacità per l’individuo di elaborare informazioni, le convinzioni.

Mentre alla luce della teoria classica della decisione razionale l’utilità è prioritaria rispetto alle preferenze e alle convinzioni: un individuo preferisce un oggetto o un’esperienza A, perché prevede di trarne maggiore utilità, secondo le moderne teorie dell’utilità sono le preferenze e le convinzioni ad avere la priorità rispetto all’utilità.

A questo proposito sono emblematiche le parole di Jon Elster.

Lo studioso riconosce che: “Unlike moral theory, rational choice offers conditional

imperatives, pertaining to means rather than to ends”. Tuttavia continua lo studioso: “we first have to Know what to believe with respect to relevant factual matters. Hence the theory of rational choice must be supplemented by a theory of rational belief”. Da questa

affermazione segue che: “While the rationality of an action in ensured by its standing in

the right kind of relation to the goals and the belief of the agent, the rationality of belief depends on their having the right kind of relation to the evidence available to him”166.

In definitiva Elster sostiene che non è un’operazione semplice definire una decisione “razionale”, poiché sovente l’individuo agisce in quanto trasportato dalle proprie credenze, dalle evidenze, dalle coincidenze o dal “caso”.

Ai fini di delineare il concetto di decisione razionale è opportuno servirsi di alcune differenziazioni. Elster pone in rilievo la distinzione tra decisioni parametriche e decisioni strategiche. In riferimento alle prime, l’individuo razionale non deve preoccuparsi di ciò che faranno gli altri in previsione o in conseguenza delle sue azioni; egli considera se stesso la sola variante all’interno del suo ambiente. Per quanto riguarda invece le seconde, il soggetto prima di prendere una decisione dovrà prevedere l’azione che l’altro andrà a compiere. In tal modo l’azione dell’altro diventerà parte integrante dei vincoli che costituiscono la cornice di scelta dell’agente.

Riflettiamo ora sulla decisione parametrica. Qualora ogni individuo considerasse il suo ambiente una costante e valutasse se stesso l’unica variante possibile, darebbe vita ad un

165 Antonio La Spina, op. cit. p. 88.

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comportamento irrazionale dal punto di vista dell’ambiente. Verrebbero, tuttavia soddisfatti i suoi parziali criteri di razionalità.

A differenza della decisione parametrica, la decisione strategica implica che il decisore scelga mettendosi nei panni dell’altro.

A tal proposito è necessario precisare che spesso gli individui non solo fanno le loro scelte sulla base di personali aspettative, ma anche sulla base di aspettative circa le aspettative degli altri. Come è noto, Niklas Luhmann ha sondato tali atteggiamenti condizionali in termini di iffish attitudes.

Le interazioni strategiche tra decisori sono oggetto dello studio di una branca della teoria della decisione razionale: la teoria dei giochi167. Interessante è la lettura che ne dà Jon Elster. Per lo studioso tale teoria è “lo strumento per il trattamento simultaneo di interdipendenze che pervadono la vita sociale”168.

Innanzitutto la remunerazione di ciascuno non solo dipende da quella di tutti, ma anche dall’azione di tutti grazie alla generale causalità sociale. Oltre a tali interconnessioni se ne aggiunge un’altra: l’azione di ciascuno dipende da quella di tutti, per mezzo del ragionamento strategico169.

Gli individui che agiscono razionalmente raggiungono sovente un equilibrio, inteso come quel punto in cui ciascun giocatore sceglie la propria strategia in considerazione di quella del suo o dei suoi avversari. Talvolta invece si possono creare equilibri multipli. L’interesse della teoria dei giochi verte proprio sull’analisi delle strutture di interazione tra decisori, che possono dar luogo ad equilibri o disequilibri.

Tra due decisori può avere luogo un gioco a somma zero. In questo caso l’esito della partita si condensa in un equilibrio, che vedrà un individuo vincere e l’altro perdere. Ciascun giocatore massimizza razionalmente lo svantaggio dell’altro. Tuttavia vi sono altre situazioni in cui potrebbe risultare razionale cooperare, raggiungendo un risultato di mutuo vantaggio tra giocatori. A volte la soluzione cooperativa appare spontanea, altre volte essa, anche se conveniente, non è così scontata. Una nota applicazione di tale osservazione è il “dilemma del prigioniero”. Due individui, commessa una rapina, vengono arrestati e chiusi in celle separate. Purtroppo esistono prove esclusivamente sulla

167 La teoria dei giochi è un metodo matematico di analisi di alcuni aspetti della formazione consapevole

delle decisioni in situazioni che implicano possibilità di conflitto e /o di cooperazione tra individui le cui sorti sono interconnesse. Sul punto si veda Maria Carmela Agodi, Teoria dei giochi e analisi sociologica.

Modelli di razionalità per l’agire sociale, Catania, ISVI, 1984.

168 Jon Elster, Uva acerba. Versioni non ortodosse della razionalità, Milano, trad. it. a cura di Fabrizio Elefante, Feltrinelli, 1989, p. 23.

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loro partecipazione ad un furto di lieve entità. Perciò gli inquirenti offrono a ciascuno di essi un accordo: se entrambi tacciono vengono condannati ad un anno di detenzione per il furto. Se l’individuo A confessa e l’individuo B tace, A viene liberato, mentre B viene condannato a 20 anni e, viceversa, se B confessa e A tace. Se entrambi confessano vengono condannati a 10 anni.

Un individuo razionale ragiona nel modo seguente. Supponiamo che B confessi. Se A tace, viene condannato a 20 anni, se invece confessa a 10 anni. Quindi in questo caso ad A conviene confessare.

Ora supponiamo che B taccia. Se anche A tace, A viene condannato a un anno; se invece A confessa, quest’ultimo viene liberato. Anche in questo caso ad A conviene confessare. Da ciò segue che il comportamento più razionale è dato dalla confessione di entrambi gli individui.

La strategia collettivamente più vantaggiosa è evidentemente quella di tacere, ma solo se si ha la certezza che l’altro confessi, circostanza irrealizzabile visto che i due individui non possono comunicare. La mossa che individualmente massimizza l’utilità, indipendentemente dalla scelta altrui, è la confessione. Per mezzo di questa scelta, sia A che B si tutelano dal pericolo di subire la pena più elevata, nonché sperano di essere liberati a scapito dell’altro. Si raggiunge un equilibrio in assenza di alleanze vincolanti, che se da un lato realizza un esito svantaggioso per le parti coinvolte nel gioco, dall’altro è il risultato di strategie individualmente razionali170.

Il paradigma del dilemma del prigioniero pone come strategia dominante la scelta di essere sleali con l’altro. Tale decisione configura un equilibrio non cooperativo o equilibrio di Nash. Questa particolare condizione si verifica quando nessuno dei due concorrenti può migliorare la propria posizione adottando una strategia diversa. Invero, un individuo nel modificare la propria scelta peggiorerebbe il proprio esito individuale. Inoltre è opportuno notare che il dilemma del prigioniero mette in luce il conflitto tra razionalità individuale, in quanto massimizzazione dell’interesse personale, ed efficienza, intesa come il miglior risultato possibile sia individuale che collettivo. In effetti applicando una strategia individualistica si ottiene un esito meno vantaggioso rispetto a quello ottenibile nel caso in cui si possa concludere un accordo negoziale, o si possa investire fideisticamente su una promessa data.

170 Antonio La Spina, op. cit. p. 97.

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I modelli di comportamento razionale richiedono alcuni elementi essenziali: un sistema di alternative di comportamento, un sottoinsieme di alternative di scelta che l’individuo effettivamente percepisce, i possibili risultati futuri delle decisioni, le informazioni sulla base delle quali i risultati si produrranno concretamente, le informazioni sulla probabilità che un particolare risultato consegua. Da ciò segue che la decisione in condizioni di certezza è la situazione ideale, tuttavia essa non trova riscontro nella realtà empirica. Le scelte in condizioni di carenza o di incompletezza di informazione possono essere caratterizzate dal rischio o dall’incertezza.

Le decisioni in condizioni di rischio sono quelle in cui il decisore accerta in via definitiva

le probabilità numeriche delle previsioni di successo o insuccesso di un corso d’azione. Al contrario, nelle decisioni in condizioni di incertezza tali probabilità non sono conoscibili. Invero i decisori scelgono tra alternative diverse sulla base di conseguenze attese, ma le probabilità di tali risultati non sono note con certezza.

La distinzione tra decisione rischio e decisione incertezza è stata criticata dagli esponenti della teoria soggettivista. La probabilità, secondo questi ultimi, dipende dal grado di credenza che un individuo è disposto ad attribuire all’eventualità di un accadimento171.

Dunque se la probabilità che si verifichi X è una costruzione soggettiva, ne deriva che essa risulta alterata, o confermata dalle osservazioni via via effettuate in sequenza dal soggetto. È bene precisare però, che ciò non si verifica nella previsione di eventi semplici, i quali prevedono esclusivamente due possibili alternative di risultato. Si pensi alla probabilità che una moneta cada con il lato della croce rivolto verso l’alto, dopo vari lanci essa rimane sempre del 50%, indipendentemente dall’osservazioni dell’agente. Se invece un bambino estrae palle da un’urna, l’informazione che egli tende a pescare perlopiù in una certa zona dell’urna, congiunta ad ulteriori informazioni, potrebbe modificare la stima di partenza del decisore172.

In definitiva, secondo quest’ultima ipotesi, il giudizio sul valore di probabilità di un evento non è dato una volta per tutte, ma è influenzato dalla quantità e dalla natura delle informazioni possedute.

171 Ivi p. 89.

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