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La decostruzione dei vizi del volere

4. Il ragionamento decostruttivo per risolvere i “casi difficili” Vizi incompleti,

4.1. La decostruzione dei vizi del volere

Quanto esposto in precedenza ha chiarito che esistono alcuni casi, tipizzati dal legislatore, in cui la responsabilità precontrattuale, cioè la sanzione di un comportamento scorretto occorso in sede di trattative che intervenga in presenza di un contratto validamente concluso, è facilmente riscontrabile nel dettato della legge, ad esempio nella disciplina generale dei contratti, nella disciplina di qualche singolo tipo negoziale oppure nel diritto di un intero settore, come quello dei mercati finanziari.

Nelle evenienze sopra citate un metro di paragone sull'illiceità di una condotta è offerto in apicibus dal legislatore: è illecito il comportamento di chi raggira, anche se solo per spingere la controparte a concludere il contratto a condizioni differenti; è del pari illecito il comportamento di chi – con dolo o semplice colpa – omette di informare sui vizi della cosa venduta, locata, data a mutuo o in comodato; è, infine, illecita la condotta dell'intermediario finanziario che violi le regole di responsabilità offerte dal TUF.

Ci si chiede ora se esistano altri casi in cui la responsabilità precontrattuale possa ricorrere anche quando un contratto sia concluso e non sia invalidabile nonché che cosa permetta di distinguerli da quelli in cui nessuna obbligazione risarcitoria sia dovuta e da quelli in cui non si dovrebbe parlare di risarcimento, ma, più correttamente, di invalidazione.

Già da una prima analisi emerge che le norme regolatrici delle invalidità negoziali sono costruite in maniera diversa da quelle in materia di responsabilità.

In particolare, gli articoli del codice che stabiliscono quando possono essere esperiti l'annullamento a seguito di incapacità o di vizi del consenso o la rescissione, definiscono in maniera analitica e puntuale i criteri che permettono di accedere al rimedio.235

Per inciso, si noti che – pur essendo la nullità una species di invalidità più grave dell'annullabilità – i requisiti di quest'ultima sono delineati in modo più analitico di quelli che permettono di azionare la nullità:236 si ricordi, per

esempio, la formulazione estremamente generica della prima parte dell'art. 1418 del Codice civile, talmente succinta da aprire il dibattito sul rapporto fra regole di validità e regole di correttezza, tema su cui una risposta tuttora solida è arrivata solo con le Sezioni unite del 2007.237

Dal canto loro, le regole di responsabilità sono costruite secondo una formulazione molto diversa: l'art. 2043, a cui si ritiene di dover ascrivere l'art. 1337, apre con l'espressione, per sua natura onnicomprensiva “qualunque”, attenuata nella sua ampiezza dal requisito dell'ingiustizia del danno, mentre l'art. 1337 stesso, addirittura, non contempla la sanzione se non nella rubrica

legis, e si struttura – almeno apparentemente – come una norma imperfetta e

imperniata sulla semplice violazione della buona fede.

235Fra i vizi collegati all'imperfetta informazione, l'errore è costruito in modo più tipizzato e il dolo in modo più aperto, mentre la violenza – che non afferisce affatto a un deficit informativo – è strutturata secondo un modello non così restrittivo. Su ciò si tornerà in seguito.

236Gnani, Contrarietà a buona fede e invalidità del contratto: spunti ricostruttivi, in Riv. dir.

civ., 2009, 4, 461.

Solo la dottrina e la giurisprudenza hanno poi spiegato che la responsabilità precontrattuale non entra in gioco con la mera non conformità a buona fede oggettiva della condotta, bensì con la lesione dell'affidamento, a pena di una sanzione generalizzata e indiscriminata, ma soprattutto dello sviamento in una responsabilità senza danno.

Stante questa differenza di fondo, è possibile inquadrare alcuni episodi per certo all'interno dello spettro di applicazione delle regole di validità (il dolo determinante commissivo, per esempio), a cui, se del caso, si aggiunge la responsabilità238 e altri al di fuori del campo sia delle regole di validità sia delle

regole di responsabilità, cioè del tutto irrilevanti per l'ordinamento (per esempio, un errore del tutto spontaneo, non essenziale, non determinante, non riconosciuto né riconoscibile e – secondo l'insegnamento tradizionale – il dolus

bonus e il timore riverenziale non ulteriormente qualificati).

Il rapporto fra regole di validità e regole di responsabilità va esaminato dal punto di vista del preteso effetto invalidatorio della violazione di una regola di responsabilità (la pretesa “nullità per violazione della buona fede oggettiva”) e da quello del potenziale risarcimento del danno quando non è violata una regola di validità.

Bisogna dunque verificare se i campi di applicazione dei due insiemi di regole sono comunicanti o meno (e se sì, in che verso) e misurare l'ampiezza dei campi stessi.

Da un lato, a mente della sentenza delle Sezioni Unite sopra menzionata, non si può predicare l'invalidità negoziale per semplice mancato rispetto delle regole di responsabilità: con certezza si può dire che, in mancanza di previsione espressa, le regole di risarcimento non possono tracimare nell'invalidazione negoziale; in altre parole, non possono pronunciarsi la nullità o l'annullabilità di un atto per mera contrarietà a buona fede oggettiva.

Non è ovviamente vera la reciproca: molto frequentemente le regole sull'invalidazione del negozio sono accompagnate da regole di risarcimento del danno precontrattuale: l'ipotesi è precisamente normata dal legislatore con l'art. 1338 del Codice civile e il caso più frequente è quello dell'errore essenziale, determinante, riconoscibile e scusabile.

Si può riassumere dunque che i campi delle regole di validità e di responsabilità sono, in generale, unilateralmente separati: alla responsabilità non segue l'invalidazione, all'invalidazione può seguire la responsabilità; i casi in cui permane la validità del negozio ma sussiste un risarcimento del danno sono offerti dalle disposizioni codicistiche in tema di dolo incidente, vizi della cosa venduta, donata, data in comodato e a mutuo e dall'interpretazione delle leggi speciali in tema di condotta doverosa imposta agli intermediari finanziari. Alla luce di questi casi, di più facile soluzione, in cui sussiste responsabilità precontrattuale in mancanza di invalidazione, non si vede un limite imperativo alla compresenza fra contratto valido e responsabilità, cioè si può configurare

culpa in contrahendo in caso di contratto valido sia da un punto di vista logico

sia da uno giuridico.

Tuttavia, proprio a seguito della diversa ampiezza239 degli insiemi delle regole

di validità e di quelle di correttezza, ha iniziato a guadagnare consensi una dottrina240 (a cui è seguita giurisprudenza) che ha preso in esame le regole di

validità, in particolare di annullamento e di rescissione, ha tolto via via uno o più elementi – che, quando presenti, autorizzano l'esperimento del rimedio invalidatorio – ha riscontrato che il risultato è, o almeno appare, sbilanciato, e ha predicato il rimedio risarcitorio.

239Si postula qui, differentemente da Sacco, in Sacco e De Nova, Il contratto, UTET, Torino 2004, cit., 518 che altro sia la colpa e altro sia il raggiro. Altrimenti, l'ambito di applicazione dell'invalidazione e quello della responsabilità sarebbero coincidenti.

Alla coscienza collettiva ripugna un assetto economico che si dimostri sfavorevole a una parte, a seguito del riprovevole operato della sua controparte, e che la parte decepta non possa, per la mancanza di uno o più requisiti, ottenere di venire liberata dal negozio tramite invalidazione o rescissione: viene infatti tenuta in primo piano la ricerca della giustizia sostanziale e l'attribuzione di un significato vivo, ricco e dinamico alla buona fede oggettiva. E' altresì apprezzabile, lo si nota incidenter tantum, che l'introduzione dottrinale dei vizi incompleti241 abbia precorso la giurisprudenza, in un'epoca in

cui alla dottrina viene spesso rimproverato di andare al seguito delle Corti. Nel 1995 non era ancora stata redatta alcuna sentenza che immaginava qualcosa di anche lontanamente simile a un vizio incompleto: l'inversione di tendenza sarebbe avvenuta solo nel 1998.242

Tuttavia, a un'analisi più cauta, emerge come l'itinerario della decostruzione dei vizi o delle incapacità fonte di annullamento, con conseguente assegnazione del rimedio risarcitorio, non sia percorribile con piena soddisfazione.

In primo luogo, i vizi invalidanti a loro volta sono oggetto di valutazione dinamica e sono contenuti in formule in grado di adeguarsi al senso dei tempi: viene in mente, su questo punto, la violenza, dove la teorica dei vizi incompleti, specie in una sua versione fraintesa, rischia di affermare la responsabilità precontrattuale da contratto valido quando il contratto è, invero, invalido.

241Il volume della Prof.ssa Mantovani è del 1995; la prima evenienza giurisprudenziale di compresenza fra valido contratto e responsabilità in contrahendo è del 1998 ma non attiene a un vizio, quantunque incompleto, in senso tecnico, bensì al ritardo nella stipula di un contratto per il resto ineccepibile. La prima evenienza di vizi incompleti, sub specie di informazione erronea, è dunque la sentenza 19024/2005, quindi di un decennio successiva alla fortunata monografia.

In secondo luogo, non è detto che la sottrazione di un requisito da una regola di validità debba ricondurre a una regola di correttezza: quando il requisito attiene alle sole modalità della condotta (per esempio, commissione od omissione nel dolo) risulta indifferente sul piano degli effetti, comunque invalidatori.

In terzo luogo, la metodologia proposta postula che il rimedio risarcitorio sia sempre qualcosa di meno del rimedio invalidatorio, perciò coerente con una intrusione minore nella sfera di autodeterminazione, ma ciò non è del tutto vero. Senza dubbio il dolo incidente è una fattispecie meno grave del dolo determinante, e, nell'area del dolo, il rimedio risarcitorio è meno intrusivo di quello invalidatorio, ma tale ragionamento non permette di essere esteso a ogni possibile situazione.

Talvolta, infatti, la concessione del rimedio risarcitorio è qualcosa di più del rimedio invalidatorio,243 perché non permette alla parte di liberarsi

semplicemente del negozio, ma addirittura origina una riscrittura del negozio stesso.244

243Navarretta, Principio di uguaglianza, principio di non discriminazione e contratto, in Riv.

dir. civ., 2014, 3, 557.

244Già Pietrobon, Errore, volontà e affidamento nel negozio giuridico, cit., 124 avvertiva che: “l'applicazione delle regole di risarcimento non deve condurre a risultati capaci di

annullare quelli raggiunti nel giudizio di validità”. Questo sia in negativo sia in positivo. In

negativo: se un contratto è invalido, il risarcimento non può ricreare a vantaggio della parte vittima dell'invalidazione le stesse conseguenze che vi sarebbero state se il contratto fosse stato valido, cioè facendolo vivere o rivivere. In positivo: se un contratto supera indenne il giudizio di validità, il risarcimento del danno precontrattuale non può snaturarlo al punto da conservarlo formalmente intatto ma stravolgere il bilanciamento degli obblighi come se il contratto fosse espunto nella sua interezza.

Inoltre, i criteri proposti in dottrina per scriminare fra le ipotesi del tutto irrilevanti per il diritto e quelle meritevoli della semplice sanzione risarcitoria, cioè il grado dell'incompiutezza della fattispecie, la misura del contegno scorretto di controparte e la consistenza del danno,245 sono indubbiamente

ragionevoli ma di applicazione complessa, specie in combinazione fra loro.246

In ultima analisi, e più in generale, il fraintendimento e l'ampliamento della categoria dei vizi incidenti e incompleti rischia di abrogare di fatto le regole in tema di vizi del consenso,247 per così dire, “sorpassandoli da destra”.248

Non solo: la teoria della responsabilità precontrattuale da contratto valido ma sconveniente considera gli spazi lasciati apparentemente vuoti dalla disciplina delle invalidità (per esempio timore riverenziale, dolus bonus, errore sui motivi) come meritevoli di essere riempiti dal rimedio risarcitorio.

Tale opzione è arbitraria e non condivisibile per due ragioni. In primo luogo non tutto ciò che è moralmente riprovevole è giuridicamente rimediabile.249 In

secondo luogo, nessun locus dell'ordinamento ci dice che è ingiusto il danno subito, per esempio, da chi commette errore sui motivi o subisce un dolus

bonus o una violenza non invalidante: che responsabilità potrebbe mai

originare da un danno non ingiusto?250

245Mantovani, “Vizi incompleti” del contratto..., cit., 188ss. 246D' Amico, La responsabilità precontrattuale, cit., 1007ss.

247In Francia, Mazeaud, La réduction des obligations contractuelles, in Droit et patrimoine, 1998, III, 58 e 63 ha notato che la Corte di Cassazione ha limitato l'area dell'intervento del giudice, per esempio in tema di clausola penale, anche da un punto di vista procedimentale. 248Più in generale, Mazeaud, Loyauté, solidarité, fraternité: la nouvelle devise contractuelle,

in L’avenir du droit – Mélanges en hommage à Francois Terré, Paris, Dalloz, PUF et Editions Juris-Classeur, 1999, p. 603; sempre Mazeaud, Le nouvel ordre contractuel, in

Rev. d. contr., 2003, 1, 295.

249Innelli, Dolo incidente, in Giust. civ., 2006, 9, 375ss, in part. nt. 52.

250Pignataro, Buona fede oggettiva e rapporto giuridico precontrattuale..., cit., 85, nota: “L'opzione per la possibile contestualità tra negozio valido e culpa in contrahendo, in linea

Due autori critici della responsabilità precontrattuale da contratto valido hanno dipinto con espressioni efficaci i dubbi di tale proposta dottrinale: secondo alcuni un “cerotto universale”,251 secondo altri una “responsabilità

senza fattispecie”.252

E' indubbio che la responsabilità civile, di cui quella precontrattuale è parte, è un rimedio generale, ma, si ricordi, il requisito dell'ingiustizia del danno deve dimostrarsi puntualmente, di volta in volta.

Non si può, però, fermare il ragionamento richiamandosi all'intenzione storica, che certo è un argomento forte ma non assorbente;253 sul tema in

esame l'intenzione del legislatore spicca peraltro con rara chiarezza, nelle parole che seguono: “Circa i vizi incidenti ... soltanto il dolo produce

responsabilità per danni a carico del contraente in mala fede. L’errore incidente è sempre un fatto dell’errante, e non può essere fonte di responsabilità per danni a carico della controparte che non lo ha provocato. La violenza, quando esiste, non ha mai carattere incidentale: nel timore provato dalle minacce concernenti punti secondari, il minacciato conclude il contratto anche quando vi avrebbe rinunziato. Prevale, invero, il timore che le minacce si realizzino, qualora il contratto, per la resistenza su clausole secondarie, non viene a conclusione.”254

di validità è espresso...”. Così prosegue l'Autrice: “Ampliare la portata applicativa dell'istituto non significa sanzionare a tale titolo ogni contegno sleale per il riferimento occasionale della genesi all'arco temporale che precede la conclusione del contratto”.

251Si ripropone ancora una volta l'efficace definizione di Barcellona, Trattato della

responsabilità civile, cit., 492.

252L'espressione è di D'Amico, Responsabilità precontrattuale anche in caso di contratto

valido?...), cit., 220.

253Del resto, se la motivazione fornita dal legislatore per fondare le sue scelte permettesse sempre di chiudere questioni di tale fatta, a tacer d'altro, bisognerebbe accedere tuttora alla lettura originaria, che oggi appare un absurdum, dell'art. 2059, in tema di danno non patrimoniale.

Queste parole scontano, peraltro, alcuni limiti.

In primo luogo, è sbrigativo sostenere che l'errore è sempre un fatto dell'errante: talvolta è un fatto condiviso fra errante e controparte, talora addirittura è eminentemente attribuibile alla controparte – a titolo di colpa – e la soluzione del problema non può che essere più analitica.

In secondo luogo, il legislatore del 1942 non teneva in considerazione la distinzione fra vizi incompleti e vizi incidenti.

E' dunque utile passare in rassegna, nonostante queste perplessità iniziali, la decostruzione delle singole categorie di vizi del consenso per saggiare se sia possibile ravvisare la responsabilità precontrattuale da contratto valido in tali casi.

Un caveat: la giurisprudenza, che sarà esaminata nella parte che segue, dichiara di seguire la compatibilità fra negozio valido e culpa in contrahendo, ma non si occupa mai di riflettere sui vizi incompleti, che restano un costrutto eminentemente dottrinale, accennato e mai discusso nel fraseggio delle Corti. Secondo la dottrina, la responsabilità precontrattuale ricorre nel caso di un contratto valido quando sia integrato il paradigma di un vizio incompleto del consenso, mentre, secondo le Corti, essa ricorre quando si sia perfezionato un negozio valido ma sconveniente; i due concetti non sono sempre sovrapponibili e verranno analizzati partitamente e si può anticipare sin d'ora che né i vizi incompleti né il contratto sconveniente risultano presupposti soddisfacenti per fondare la responsabilità da contratto valido.

Del resto, la giurisprudenza non provvede a sufficienza a indagare sul rapporto fra vizi del consenso, informazione precontrattuale e scorrettezza.

Per quello che qui interessa, il dolo è indubbiamente, salvo la variante del

dolus bonus, un esempio di scorrettezza precontrattuale e in particolare attiene

al profilo dell'informazione. Peraltro, una vicenda di dolo precontrattuale può caratterizzarsi anche come una fattispecie di reato, per cui, almeno in prima

analisi, il danno da reato va tenuto presente quando si discute del danno originato dal dolo.

L'area dell'errore attiene, come il dolo, ai profili dell'informazione precontrattuale, ma, come minimo, il profilo della scorrettezza precontrattuale di regola manca. La rilevanza penale delle vicende caratterizzate da errore è tra l'aneddotico e il nullo.

L'area della violenza, per così dire, è l'esatto opposto dell'errore: il profilo della scorrettezza precontrattuale è sempre presente, il campo dell'informazione precontrattuale non è minimamente coinvolto, mentre i fatti assumono spesso rilevanza penale.

4.2. L'errore non invalidante e la sua rilevanza