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La violenza incidente

4. Il ragionamento decostruttivo per risolvere i “casi difficili” Vizi incompleti,

4.4. Il generale ruolo invalidatorio della violenza

4.4.2 La violenza incidente

Per quanto attiene invece all'inconfigurabilità di un'autonoma violenza incidente, cioè una violenza che rispetti tutti i profili imposti alla violenza quale origine di annullamento, ma a cui si accompagni la circostanza che il minacciato avrebbe concluso un contratto a condizioni differenti con il violentatore,311 si può argomentare come segue.312

La violenza è un vizio del consenso più grave del dolo, prova ne è il diverso regime previsto per il dolo del terzo (il quale richiede la conoscenza in capo al contraente che ne ha tratto vantaggio)313 e per la violenza del terzo (la quale ne

prescinde del tutto). Reputare che sia preclusiva dell'invalidazione la circostanza per cui la parte vittima del vizio avrebbe comunque concluso il contratto, ma a condizioni differenti, significa modellare la violenza sul dolo, cioè assegnarle una disciplina della medesima gravità, e ciò pare arbitrario.314

Nella disciplina della violenza non viene richiamato mai l'aggettivo determinante, quindi già in radice si potrebbe ritenere che il suo contrario, “incidente”, sia una creazione dubbia, ma, se anche si vuole tacciare questo argomento di letteralità e rifiutare la spiegazione fornita nella relazione al Codice, emergono altri indicatori.

Per esempio, non sono richiamate disposizioni come l'art. 1432 o l'art. 1440, finalizzate alla parziale conservazione del negozio in caso di errore spontaneo e di dolo.

311Mantovani, “Vizi incompleti” del contratto..., cit., 260, attribuisce un ruolo risarcitorio. 312D'Amico, Regole di validità e principio di correttezza..., cit., 124 è in favore

dell'equiparabilità alla violenza determinante come del resto Barcellona, Trattato della

responsabilità civile, cit., 500.

313E non, si noti, la semplice conoscibilità.

Inoltre, si deve tenere in debita considerazione l'interesse della vittima a non mantenere alcun tipo di rapporto contrattuale con una controparte che si è servita di minacce per costringerla a negoziare.

All'ordinamento ripugnerebbe che il violentatore potesse fruttuosamente eccepire alla parte attrice che un contratto fra loro315 sarebbe stato comunque

stipulato.316

Il nostro legislatore, nel caso di dolo incidente, ha previsto la piena validità ed efficacia del negozio – si immagini il caso di un contratto di durata – con una controparte che ha attuato raggiri, valorizzando secondo l'art. 1440 la circostanza per cui un contratto simile sarebbe stato concluso, mentre nel caso di violenza il principio della conservazione dell'attività negoziale non ha, invece, spazio.

Sarebbe, altrimenti, un invito a minacciare, forti della consapevolezza che, al peggio, si dovrà risarcire il danno, ma quanto meno si potrà godere del contratto!317

Il discorso merita, tuttavia, di essere spinto un po' più in là.

Quando si riflette sull'art. 1338 del Codice civile, che si occupa di responsabilità precontrattuale a seguito della conclusione di un contratto invalido, abitualmente si considera che le fattispecie tali da originare il risarcimento del danno siano tutte le evenienze di nullità, annullabilità, inefficacia e forse inesistenza dell'atto, quando non si accompagnino a una situazione di colpa da parte del soggetto che subisce l'invalidità stessa.

Tralasciando le ipotesi di inefficacia, nullità e inesistenza, conviene concentrarsi sull'annullabilità e sui vizi del consenso.

315Non sfugge, peraltro, la debolezza concettuale del concetto di “contratto simile”. 316D'Amico, Regole di validità e principio di correttezza..., cit., 136.

Si può leggere, semplicisticamente, l'art. 1338 come se dicesse che alla sentenza di annullamento segue il risarcimento del danno, a carico della parte che ha dato origine al vizio e a vantaggio della parte che lo ha subito senza colpa. Di conseguenza, chi ha o avrebbe dovuto riconoscere un errore essenziale, chi ha eseguito gli artifici e i raggiri che il dolo richiede o chi ha esercitato le minacce di cui alla violenza, risarcisce il danno a fronte del riconoscimento giudiziale dell'invalidità.

A seguito di più prudente lettura, però, l'articolo in commento impone alla sola parte che conosce o avrebbe dovuto conoscere una causa di invalidità di risarcire alla controparte il danno che questa ha subito, a seguito del suo affidamento nella validità del negozio.

Ne emerge uno spettro diverso, che rende l'art. 1338 del tutto armonioso con i tre commi dell'art. 1418, in tema di nullità: quando una parte conosce o avrebbe dovuto conoscere una ragione di invalidità del contratto e l'ordinamento permette alla controparte di ignorare e di non informarsi, la prima risarcisce alla seconda il danno, proprio perché nel frattempo la seconda confidava che la propria attività negoziale andasse nella direzione corretta. L'art. 1338 risulta anche perfettamente armonioso con le previsioni in tema di errore: se una parte si rende conto che la controparte versa in un errore essenziale, o avrebbe dovuto rendersene conto, e tale falsa rappresentazione è al contempo del tutto scusabile da parte dell'errante – al quale non si può imputare colpa – la prima risarcisce il danno alla seconda.

Il meccanismo intessuto fra onere di informarsi, obbligo di informare e affidamento nella validità del negozio concluso è perfettamente logico in questi casi, ma comincia a incrinarsi in tema di dolo e soprattutto di violenza.

Per quanto attiene al primo, di sicuro c'è la fiducia nella validità del contratto da parte di chi ha subito l'inganno, ma è difficile cercare di inquadrare la condotta del deceptor nelle categorie della conoscenza o conoscibilità di una causa di invalidità e dell'obbligo di darne comunicazione: infatti, chi svolge artifizi o raggiri per certo sa che sono cause di invalidità e non ha senso discorrere del suo obbligo di darne comunicazione, in quanto nessuno rende noti gli artifizi e raggiri volti a corrompere la purezza del consenso negoziale della controparte.

Il discorso diventa addirittura parossistico in tema di violenza morale: non solo il violentatore sa che la violenza è causa di invalidità del negozio, ma è proprio inimmaginabile imporgli, contemporaneamente all'esercizio delle minacce, di informare la controparte che la sta minacciando, per la semplicissima ragione che la controparte stessa sa già di essere minacciata.

Soprattutto, la controparte che, per evitare mali peggiori, cede alla violenza e accetta di stipulare un contratto che mai avrebbe voluto non confida nella validità del negozio di cui, controvoglia, è divenuta parte.

L'intreccio, con una considerazione ulteriore che sdrammatizza il tenore testuale non limpidissimo dell'art. 1338, si presta a essere sciolto in diversi modi.

Nella maggior parte dei casi, l'incongruo tenore testuale dell'art. 1338 viene comunque ovviato altrimenti, stante che alla commissione di un reato segue il risarcimento del danno, sia patrimoniale sia non patrimoniale.

E' quindi pacifico che la vittima di dolo determinante o violenza non solo sia liberata del contratto concluso in modo corrotto, ma anche sia risarcita del danno subito, anche perché molto spesso le evenienze di dolo o di violenza morale si ascrivono pacificamente a fattispecie di reato.

L'art. 1338, se interpretato letteralmente nel senso di predicare il risarcimento per il solo danno dovuto per l'incolpevole affidamento nella validità del negozio, sembra poco attagliarsi ai casi di dolo e specialmente di violenza. Viene dunque da chiedersi quale sia la ratio dell'art. 1338 nel rapporto coi vizi del consenso e la risposta è ampiamente consolidata: quella di riportare la parte vittima di una condotta precontrattuale scorretta, se non sia rilevabile colpa in capo a lei, nella condizione in cui sarebbe stata se il fatto non si fosse verificato, perché – è insegnamento elementare – il mero essere liberati dal contratto non genuinamente voluto, dunque invalidato, non è sempre sufficiente a ricostruire lo status quo antea.

Sarebbe, quindi, opportuno considerare la parte finale dell'art. 1338 come se dicesse “... per aver confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto, o comunque per essersi trovata parte del contratto stesso, in relazione alle spese sostenute o alle perdite subite.”.

Allo stesso modo, ancora più semplice, sarebbe l'espunzione delle ultime parole dell'articolo, in modo da farlo suonare come “... La parte […] è tenuta a risarcire il danno da questa risentito”.

Per quanto riguarda l'inizio, cioè la premessa implicita dell'art. 1338 stesso, per evitare l'insensatezza di imporre a chi si dedica al dolo o alle minacce di informare la controparte – l'ordinamento invero chiede di non dedicarvisi, non di dedicarvisi col consenso della vittima! – essa potrebbe essere riformulata in questo modo “La parte che […] non ne ha dato notizia all'altra parte, o che comunque ha dato origine a ragioni di invalidità...”.

A conclusione di questo excursus emerge ancora più chiaramente come, prima ancora di parlare di violenza incompleta e incidente, sarebbe utile un ripensamento del delicato rapporto, tutt'altro che immediato, fra violenza morale e responsabilità precontrattuale.