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I fenomeni legislativi che causano nei due ordinamenti una scadente qualità della legge.

1. I decreti legge in Italia.

a) La necessità e l’urgenza: un’emergenza (in)finita?

Come ben sappiamo, l’articolo 77, I comma della Costituzione dispone che: «[i]l Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria.

Quando, in casi di straordinaria necessità ed urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere…»5.

Questa è di fatto la tesi che prevalse in Assemblea costituente6 nonostante le notevoli opposizioni, che portarono del resto la Seconda Sottocommissione a concludere i propri lavori con una decisione a proposito dei decreti-legge totalmente contraria all’opportunità di introdurli in Costituzione7. Tant’è vero che a prevalere in tale decisione fu l’idea che nella storia parlamentare fino a quel momento conosciuta erano stati ben pochi i decreti-legge giustificati dall’urgenza; nei rimanenti casi, in percentuale ben più elevata, infatti, l’emanazione del decreto-legge, e con essa la denuncia di una situazione di urgenza, costituiva «un pretesto che il Governo…usa[va] per decretare a sua volontà»8.

Avendo riguardo all’indeterminatezza del preciso significato attribuito ai presupposti giustificativi dell’atto governativo, possiamo richiamare un’attenta dottrina del 1962 che, nell’esaminare la portata di uno dei due requisiti, ovvero quello della necessità, aveva rilevato come ad una necessità in senso assoluto si affiancasse una necessità in senso relativo9. Se, in virtù della prima, si conferiva al Governo il potere di preservare l’incolumità del paese nel

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Grassetto e corsivo aggiunti.

6

L’approvazione definitiva dell’articolo 77 avviene il 17 ottobre 1947 in seduta plenaria, p. 1311 del resoconto stenografico.

7

A tal proposito si veda della Seconda Sottocommissione il verbale di seduta del giorno 21 settembre 1946, laddove si approvò all’unanimità la proposta dell’on. Bulloni che stabiliva: «[n]on è consentita la decretazione di urgenza da parte del Governo», p. 259 del resoconto stenografico.

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Così si esprimeva l’on. Mortati nella medesima seduta, p. 256 del resoconto stenografico. E’ dello stesso una preoccupazione anche collegata al pericoloso rapporto che potrebbe instaurarsi tra decretazione d’urgenza e cattiva qualità della legislazione, quando riferisce delle prassi che si erano instaurate nei governi precedenti a proposito dei provvedimenti predisposti e portati alla riunione del Consiglio dei Ministri: «…li improvvisavano all’ultimo momento, concorrendo a formare quella legislazione tumultuaria, caotica e contraddittoria di cui tutti i cittadini sono vittime», ibidem, p. 257.

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senso più lato possibile10, in ragione della seconda si permetteva l’emanazione di decreti- legge giustificati da una necessità, che rilevava solo ed esclusivamente in relazione ai fini propostisi dal Governo.

E’ indubbiamente discutibile una lettura del genere, sebbene fondata dalla prassi, e che del resto avalla l’opinione di coloro che vedono il requisito della necessità identificarsi con il concetto di «mera opportunità politica»11, fino ad arrivare a riconoscere come reale requisito

oggettivo unicamente l’urgenza disattendendo la stessa lettera della Costituzione che parla

della necessaria presenza di entrambe, in quanto è unicamente la duplice sussistenza, e della necessità e dell’urgenza, che giustifica l’uso del decreto-legge.

La decisione sulla presenza dei requisiti di necessità e di urgenza è quindi totalmente rimessa alla discrezionalità12, ma anche alla correttezza, del potere esecutivo, che non potrà in ogni caso sfuggire al successivo controllo politico svolto dal Parlamento, in sede di conversione.

Indagare perciò sul significato da attribuire ai presupposti giustificativi appare opera ardua e, al tempo stesso, parzialmente inutile dato che il luogo deputato a tale verifica è prevalentemente politico13, nonostante vi siano state, anche recentemente, incursioni ad opera della Corte costituzionale14. Sembra , infatti, consolidata la posizione della Consulta di non

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In tale specifica ipotesi, in caso di omissione a provvedere da parte del governo, ben potrebbero configurarsi precise responsabilità politiche a carico dell’esecutivo, per il pregiudizio arrecato al pubblico interesse; così G. VIESTI,Il decreto-legge, Jovene, Napoli, 1967, p. 44.

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Ult. op. cit., p. 118.

12

La Corte costituzionale parla di «un certo margine di elasticità» (si veda in particolare la recente sentenza n. 171/2007, punto 4 del considerato in diritto). In questo senso anche A. PREDIERI, Il governo colegislatore, in F. CAZZOLA-A. PREDIERI-G. PRIULLA, Il decreto legge fra governo e parlamento, Giuffrè, Milano, 1975, p. XVII, che parla di «urgenza politica» avvertendo peraltro come spesso l’uso del decreto-legge divenga un modo di accelerare la formazione di leggi. Per tale motivo l’A. è, nella dottrina, uno dei primi a riconoscere al decreto- legge, ed in particolare al progetto di legge di conversione del decreto-legge, la caratteristica di progetto di provenienza governativa a «corsia preferenziale», dati i tempi stretti necessari per la conversione, che nel procedimento legislativo formale verrà introdotta solo molto più avanti, ivi, p. XX.

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In questa direzione le parole della Corte costituzionale nella sentenza n. 171/2007:«La Corte…è stata ed è consapevole che il suo esercizio non sostituisce e non si sovrappone a quello iniziale del Governo e a quello successivo del Parlamento in sede di conversione – in cui le valutazioni politiche potrebbero essere prevalenti – ma deve svolgersi su un piano diverso, con la funzione di preservare l’assetto delle fonti normative e, con esso, il rispetto dei valori a tutela dei quali detto compito è predisposto. Infatti, la straordinarietà del caso, tale da imporre la necessità di dettare con urgenza una disciplina in proposito, può essere dovuta ad una pluralità di situazioni (eventi naturali, comportamenti umani e anche atti e provvedimenti di pubblici poteri) in relazione alle quali non sono configurabili rigidi parametri, valevoli per ogni ipotesi».

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I riferimenti sono, oltre alla ben nota sentenza n. 360/1996, con la quale si è fatto espresso divieto di reiterare decreti – legge non convertiti, in assenza di nuovi requisiti di necessità e di urgenza e che ha permesso di spazzare il costume deprecabile di abuso dello strumento della decretazione che tanto ha contraddistinto le prassi normative italiane; alla sentenza n. 29/1995, che ha ritenuto sindacabile, oltre al decreto – legge che non recasse con sé i presupposti giustificativi, anche la legge di conversione che ad esso avesse fatto seguito, e ciò per vizio in procedendo, nel caso in cui la stessa «abbia valutato erroneamente l’esistenza di presupposti di validità in realtà insussistenti e, quindi, convertito in legge un atto che non poteva essere legittimo oggetto di conversione» (punto 2 del considerato in diritto); alla recente sentenza, già sopra richiamata – la n. 171/2007 – che conferma a pieno titolo i contenuti della sentenza n. 29/1995. In particolare la sentenza n. 29/1995 ha finalmente dato ascolto

dichiarare incostituzionale un decreto-legge, a meno che non ci si trovi di fronte ad un provvedimento nel quale appaia evidente15 la mancanza dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza16. La verifica circa la sussistenza dell’evidente mancanza dei presupposti giustificativi avviene così per mano del giudice costituzionale tenuto conto del preambolo del decreto-legge, della relazione governativa di accompagnamento al disegno di legge di conversione ed, infine, del contesto normativo in cui il decreto si andava ad inserire.

Per quanto riguarda il Parlamento, esso non sarà in alcun modo tenuto a convertire il decreto in parola. In tale circostanza, in particolare, l’organo legislativo farebbe un grave errore a comportarsi unicamente in qualità di interfaccia politico dell’istituzione-Governo; ad esso , infatti, spetta l’arduo compito di farsi garante e custode di quei diritti e di quei valori sanciti in Costituzione, che potrebbero risultare menomati proprio da quella deroga al normale svolgimento della funzione legislativa rappresentata dall’emanazione del decreto-legge. Pertanto appare opportuno che, nell’esercizio del controllo in sede parlamentare, il vaglio politico non si limiti esclusivamente alla verifica della presenza dei requisiti di necessità e di urgenza, ma guardi anche alla resa che, nel periodo di vigenza del decreto-legge, esso ha avuto, ovvero se è stato realmente in grado di fronteggiare le situazioni oggetto di regolamentazione17 e con quali eventuali perdite sul fronte delle situazioni giuridiche tutelate dall’ordinamento.

Tuttavia, sin dai primi anni di storia repubblicana, ricondurre la sussistenza dei requisiti di necessità e di urgenza a casi realmente dotati di «straordinarietà», riconosciuta da molti la reale chiave di lettura per rapportarsi a tale fenomeno normativo18, per quanto questo stesso ad un’antica dottrina risalente al 1958(L. PALADIN, In tema di decreti-legge, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, 1958, p. 570) in base alla quale «i vizi sostanziali dell’atto governativo si trasmettono sicuramente all’atto parlamentare chiamato a prenderne il posto, che pertanto risulta invalido non perché connesso a un provvedimento invalido, ma per l’intrinseca inammissibilità dei comandi da esso posti», in questo senso G. VIESTI,op. cit., p. 201.

Un excursus sulla giurisprudenza costituzionale in tema di decreti-legge, per quanto non aggiornato, ci è fornito da A. CONCARO, Il sindacato di costituzionalità sul decreto-legge, Giuffrè, Milano, 2000.

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Nonostante infatti gli importanti passi in avanti che si possono cogliere nelle affermazioni di principio presenti nella sentenza n. 29/1995, la successiva giurisprudenza costituzionale è parsa più reticente, più cauta nel valutare la reale sussistenza dei requisiti di necessità e di urgenza, richiedendo così la sussistenza di un’evidente mancanza dei presupposti giustificativi per poterne decretare l’incostituzionalità. Si vedano, a titolo esemplificativo, le sentenze nn. 161/1995, 270/1996; 330/1996.

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Si erano pronunciati a favore del sindacato della Corte circa la sussistenza dei presupposti giustificativi del decreto – legge L. PALADIN, In tema di decreti-legge, cit., p. 554; P. BISCARETTI DI RUFFIA, Diritto costituzionale, 6ª, Jovene, Napoli, 1962, p. 460; C. ESPOSITO, Decreto legge, cit., p. 841 (nota 36).

17

G. VIESTI, op. cit., p. 203. Circa la non necessaria corrispondenza tra conversione del decreto-legge e sussistenza dei requisiti di necessità e di urgenza si veda V. DI CIOLO, Questioni in tema di decreti-legge, Giuffrè, Milano, 1970, pp. 290-291.

18

concetto riveli margini di indeterminatezza, appariva in effetti un’utopia. Era inimmaginabile che i governi facessero un uso dei decreti-legge limitato tendenzialmente solo ai casi di scuola, ovvero situazioni di guerra o stato d’assedio, gravi disastri naturali, come per esempio terremoti e alluvioni, gravi crisi economiche e così via.

E così, dopo un periodo nel quale tutto sommato il Governo ha fatto un uso piuttosto moderato dei decreti-legge e in cui le circostanze di straordinarietà hanno mantenuto una posizione di assoluta rilevanza, si è dato inizio alla stagione della «decretomania», consacrata anche dai rapporti inter-istituzionali tra Governo e Parlamento, che hanno agevolato il radicarsi di certe prassi. Il decreto-legge è venuto così a mutare la propria “ragione sociale” solo in un secondo momento: nato come strumento del Governo per affrontare situazioni di reale emergenza, ha via via acquisito nuove funzioni passando dall’essere uno strumento giuridico all’essere uno strumento a tutti gli effetti politico.

La sua funzione inoltre di anticipatore di accordi politici che costituiranno in un momento successivo la base di importanti riforme la fa essere ancora oggi un importantissimo

strumento di politica negoziata. Agevolato dalla tempistica richiesta per la procedura di

conversione, il decreto-legge diviene, infatti, uno dei modi per saggiare il rapporto tra il Governo e la propria maggioranza in Parlamento; permette inoltre una negoziazione con le opposizioni. Rebus sic stantibus la mancata conversione del decreto-legge in legge non costituisce più il necessario effetto della rilevazione di una mancanza dei requisiti di necessità e di urgenza, bensì testimonia semplicemente il non avvenuto accordo politico, l’esito fallimentare di una contrattazione tra i due organi.

Ed è qui che si iniziano a riscontrare i primi cedimenti del virtuosismo che si poteva in fondo, nonostante le preoccupazioni dei padri costituenti, ravvisare nello strumento del decreto-legge. Non desta , infatti, particolari perplessità il fatto che, in via di interpretazione dei presupposti giustificativi, il Governo abbia esteso il concetto di necessità alla necessità relativa, perché così sentita dall’esecutivo, ed il concetto di urgenza, che finisce con l’essere non solo e non tanto urgenza del provvedimento, bensì urgenza di provvedere19. Tale estensione poteva in fondo rientrare in quegli effetti prevedibili e, se vogliamo, anche onestamente giustificati dal fatto che l’esecutivo, sotto la propria responsabilità20, operasse in autonomia nell’emanazione dell’atto avente forza di legge. La stessa incapacità di prevedere i

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Così C. ESPOSITO, Decreto legge, cit., p. 844.

20

Ricollega la vicenda della conversione del decreto-legge ad una necessaria conferma del rapporto di fiducia tra Parlamento e governo messo in crisi dall’emanazione del decreto-legge M. ESPOSITO, Decreto-legge, indirizzo politico e rapporto di fiducia, in V. COCOZZA-S. STAIANO (a cura di), I rapporti tra Parlamento e Governo attraverso le fonti del diritto. La prospettiva della giurisprudenza costituzionale, Atti del Convegno svoltosi a Napoli nei giorni 12 e 13 maggio 2000, Giappichelli, Torino, 2001, p. 167 ss..

casi straordinari di necessità e di urgenza e, di conseguenza, le inopinabili argomentazioni a proposito dell’inopportunità di predisporre un elenco tassativo delle ipotesi reali in cui ricorrere alla decretazione d’urgenza depongono del resto a favore di un totale accollamento in capo al Governo della responsabilità di aver fatto un uso improprio, o piuttosto un abuso21, del decreto-legge. Una risposta all’uso inappropriato potenzialmente perseguibile dal Governo era in fondo già in Costituzione, dal momento che essa aveva reso possibile bloccare le situazioni di deroga al normale svolgimento della funzione legislativa, con il ripristino delle prerogative del Parlamento22, ovvero mediante la mancata conversione in legge del decreto, ciò che significava perdita di efficacia da parte del decreto-legge ex tunc. Un colpo di spugna che avrebbe permesso, salvo quanto previsto dal III comma relativamente ai rapporti sorti sulla base del decreto, la cancellazione del provvedimento e un giudizio che poteva del resto avere anche un significato politico.

A preoccupare perciò non è tanto la fase in cui il decreto-legge entra in vigore: il privilegiare l’aspetto soggettivo dell’emergenza al dato oggettivo dell’effettiva sussistenza dell’emergenza, lascerebbe il tempo che trova se, in sede di conversione, l’organo parlamentare mantenesse un atteggiamento distaccato, lontano da accordi politici, e si limitasse a decidere solo in merito a se convertire o meno l’atto de quo23. A preoccupare è perciò piuttosto la fase successiva all’emanazione del decreto-legge, ovvero la sua conversione, dal momento che è divenuta un «processo di negoziazione»24 e, come tale, pare seguire regole assai diverse rispetto a quelle ipotizzate dai costituenti.

Siamo così ben lontani dal decreto-legge, così come descritto nelle sue fasi dall’articolo 77, e lo studio dell’evoluzione di cui esso è stato protagonista dimostra l’estrema correlazione sussistente tra l’assetto delle fonti normative e la forma di governo, intesa nel senso più pratico possibile, ovvero considerando anche quegli aspetti politologici inevitabilmente presenti nelle dinamiche normative. Ciò spiega anche il perché del recente intervento della

21

Sulla natura di uso, piuttosto che di abuso, dello strumento della decretazione d’urgenza si veda A. CELOTTO,

L’«abuso» del decreto-legge, vol. I, Cedam, Padova, 1997, p. 102 e 178 ss..

22

Livio Paladin a questo proposito dirà: «molte delle linee che compongono il quadro sono rimesse – in ultima analisi – alle libere scelte del Parlamento: dal primo e fondamentale accertamento dei presupposti giustificativi della decretazione, all’attivazione delle responsabilità governative, fino alla convalida dei provvedimenti non convertiti. Ma forse sta in ciò l’obiettivo che i costituenti si sono realmente proposti; è con esso che occorre fare i conti…», in L. PALADIN,Le fonti del diritto italiano, Il Mulino, Bologna, 1996, p. 265.

23

A favore di questa lettura del procedimento di conversione C. ESPOSITO, Emendamenti ai decreti-legge, in Giurisprudenza costituzionale, 1956, p. 188; contra V. DI CIOLO, Questioni in tema di decreti-legge, cit., p. 369.

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Corte costituzionale, quanto mai eccezionale dato l’atteggiamento di self restraint generalmente mantenuto dalla stessa in materia di decreti-legge25.

Non è revocabile in dubbio che ci fosse un problema collegato anche ad un eccessivo uso della decretazione d’urgenza, come del resto già rilevato sopra. Soprattutto nei periodi di maggiore instabilità politica è dato, infatti, ravvisare un aumento esponenziale dei decreti- legge. I numeri parlano chiaro: a partire dalla VI legislatura (1972), in particolare, i decreti- legge cominciano ad incidere sulla produzione legislativa globale in una percentuale del 10.99%26. Ed è proprio in quegli anni che il decreto-legge dà inizio a quella definitiva mutazione della propria “ragione sociale”27, che gli farà via via assumere la medesima valenza politica di un disegno di legge governativo rafforzato28.

Il dato numerico incide del resto negativamente sulla qualità della legislazione. Sconvolta la sua primordiale finalità di gestione di stati di crisi, il decreto-legge diviene straordinario strumento nelle mani dell’ordinario avvicendarsi delle fonti del diritto. L’emanazione di un numero elevato di decreti-legge29 compromette la coerenza dell’ordinamento, dato che, attraverso tale pratica normativa, si dà vita ad un tipo di legislazione caotico, occasionale, privo di sistematicità30.

Quanto alla conversione del decreto-legge, appare anch’essa preoccupante sul piano della qualità della legislazione, per aspetti parzialmente diversificati e ciò sia nell’ipotesi della

mancata conversione sia nell’ipotesi della conversione con modifica.

La mancata conversione appare un fenomeno direttamente consequenziale alla crescita esponenziale dei decreti-legge. Il Parlamento , infatti, può avvertire la non necessarietà di tali provvedimenti denunciandone la mancata corrispondenza al dettato costituzionale, proprio in quanto registri il mutamento delle ragioni che conducono all’emanazione del decreto-legge.

25

Vi era tuttavia numerosa dottrina favorevole da tempo ad un intervento della Corte costituzionale per fermare la degenerazione del fenomeno della decretazione d’urgenza, tra i primi ricordiamo F. SORRENTINO, La Corte costituzionale tra decreto-legge e legge di conversione: spunti ricostruttivi, in Diritto e società, 1974, p. 526 ss..

26

A. CELOTTO, L’«abuso» del decreto-legge, cit., p. 251.

27

Di «metamorfosi» parla V. CRISAFULLI, Le metamorfosi del decreto-legge, in Il Tempo del 13 novembre 1979.

28

A. PREDIERI, Il governo colegislatore, cit., p. XX. Di «mutazioni genetiche» parla, invece, A. RUGGERI,La Corte e le mutazioni genetiche dei decreti-legge, in Rivista di diritto costituzionale, 1996, p. 251 ss..

29

A. CELOTTO, L’«abuso» del decreto-legge, cit., p. 283. L’A. fa anche notare come l’insistenza nell’uso di tale fonte del diritto per regolare ambiti ad essa naturalmente preclusi comporti un aumento esponenziale di interferenze e sovrapposizioni nella produzione normativa (parla a tal proposito di «traffico legislativo»), «che rende la decretazione d’urgenza sempre più scorretta, disordinata, tortuosa e farraginosa», ivi, pp. 293- 294. Esempi concreti poi sono forniti, in particolare nel campo tributario, da A BALDASSARRI-G. FERGOLA, Osservazioni concernenti i modi di formazione delle leggi nel periodo 1984-1994, in G. VISINTINI (a cura di), Analisi di leggi campione. Problemi di tecnica legislativa, Cedam, Padova, 1995, p. 365 ss..

30

Il riferimento è alle preoccupazioni espresse da C. FRESA, Provvisorietà con forza di legge e gestione degli

Altre volte, invece, più semplicemente a mancare è l’accordo con il Governo, che pertanto produce un “niente di fatto”. In quest’ultimo caso in particolare risulta evidente come a mutare non sia solamente la funzione del Governo, in qualità di soggetto produttore di norme per ragioni di necessità e di urgenza, ma anche la funzione del Parlamento, disposto a passare avanti la mancanza dei requisiti previsti in Costituzione e più preoccupato di definire nel termine costituzionalmente previsto precisi obiettivi politici. I dati che ci vengono dalle legislature passate sono eloquenti: l’uso massiccio della decretazione d’urgenza provoca un passaggio da un numero percentuale di 8 decreti-legge su 10 definitivamente convertiti nelle prime sette legislature, ad un numero di 4 su 10 decreti convertiti, a partire dalla IX legislatura31.

Il rovescio della medaglia della mancata conversione è l’inverarsi di una pratica purtroppo nota, ovvero la reiterazione dei decreti-legge32, che denota come si sia modificata la prospettiva da cui parte il Governo prima di emanare un decreto-legge. Il decreto-legge, infatti, sulla base di tale nuova prospettiva, è emanato per rimanere nel tempo; esso diviene un atto destinato ad introdurre nell’ordinamento una disciplina stabile e perciò il Governo, una volta presentato il disegno di legge di conversione alle Camere, darà inizio ad un’opera di negoziazione atta al pronto raggiungimento di un accordo33, assumendosi il rischio eventualmente di ripresentare il medesimo decreto per la conversione alle Camere, se nei 60

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