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La legge n 400 del 1988 e i Regolamenti parlamentari del 1971.

La forma di governo italiana e la forma di governo argentina: dalle origini alle recenti evoluzioni parzialmente incompiute

3. La legge n 400 del 1988 e i Regolamenti parlamentari del 1971.

La ripresa della discussione circa la necessità di dare attuazione all’art. 95 Cost. ebbe come suo punto di inizio il Governo Spadolini del 198256, ma fu solamente qualche anno dopo, durante la X legislatura, che, con l’approvazione della legge sulla «Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri» (legge n. 400/1988), si realizzò definitivamente quanto richiesto dalla volontà costituente57.

Stimolo per un seppur faticoso riavvio del confronto sui temi lasciati in sospeso per alcuni decenni fu anche e soprattutto l’analisi effettuata qualche anno prima dall’allora Ministro per la Funzione Pubblica, Massimo Severo Giannini, in un rapporto presentato al Parlamento sui principali problemi dell’amministrazione dello Stato58. In esso il Ministro sottolineava la lunga fase di inattuazione dell’articolo 95 Cost.e riconduceva tale problematica ad uno dei temi-chiave che il Parlamento avrebbe dovuto affrontare nell’ottica di un ammodernamento dell’amministrazione dello Stato59.

Come viene affermato dalla dottrina60, la spinta maggiore che provocò un’accelerata tra le fila del Governo al fine di dare attuazione al disposto costituzionale provenne dalla volontà non tanto di fermare in punti l’organizzazione interna della Presidenza del Consiglio in modo da garantirne il funzionamento, quanto piuttosto dalla volontà di porre finalmente ordine alla questione della potestà normativa del Governo.

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La presentazione del primo progetto di legge di attuazione dell’articolo 95 cost. per mano del Presidente del consiglio Spadolini fu preceduta da un vivace confronto in dottrina, visibile negli scritti di S. MERLINI, Presidente del Consiglio e collegialità di governo, di P. CALANDRA, Problemi e proposte sull’ordinamento della Presidenza del Consiglio, di D. SORACE,Ipotesi sull’ordinamento dei ministeri, di F. PIGA, Ordinamento della Presidenza del Consiglio e rapporti organi ausiliari-Governo, ed infine di S. BARTOLE, Presidente del Consiglio, Conferenza

regionale e ministro per gli affari regionali, tutti in Quaderni costituzionali, 1/1982.

Questo disegno di legge è stato preceduto tuttavia da un ordine di servizio recante il riordinamento degli uffici della Presidenza del Consiglio del settembre 1981 (G. U. n. 251 del 12/09/1981) e dalla direttiva del 22 gennaio 1982 avente ad oggetto il coordinamento delle attività preparatorie della iniziativa legislativa del Governo.

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Per una ricostruzione degli eventi che hanno portato ad una maggiore attenzione al tema dell’attuazione dell’articolo 95 cost. a partire dal 1982 fino al primo Governo Craxi si rimanda a C. FUSARO, La legge sulla Presidenza del Consiglio approvata dalla Camera: un passo avanti verso l’attuazione dell’art. 95 della Costituzione, in Quaderni costituzionali, 2/1986, pp. 321 ss..

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Ora in M.S. GIANNINI, Scritti 1977-1983, vol. VII, Giuffrè, Milano, 2005, pp. 329 ss.. Cita questo passaggio del rapporto anche C. CHIMENTI, Introduzione.., cit., pp. 332 ss..

A dare seguito all’analisi riprodotta davanti al Parlamento da parte del Ministro Giannini fu il lavoro svolto dalla Commissione, meglio conosciuta come Commissione Giannini-Amato, interna alla nota Commissione Piga, istituita presso il Ministero per la Funzione Pubblica. Al rapporto che venne redatto a conclusione dei lavori venne allegato uno schema di ordine di servizio, che rappresentò il modello per l’ordine di servizio del settembre 1981 di cui sopra.

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Ibidem, p. 341.

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Rispetto, infatti, alla questione dell’attività normativa del Governo rilevava innanzitutto una certa urgenza nell’arginare alcune pratiche che avevano fortemente compromesso i rapporti Parlamento-Governo; inoltre si era raggiunto un livello di coesione politica tale da non poter ritardare oltre la risoluzione della lacuna.

Per quanto quindi il tema della potestà normativa dell’esecutivo non costituisse il contenuto necessario della legge,in quanto non prescritto dall’art. 95 Cost., la trattazione del medesimo permetteva la specificazione di molte parti del testo costituzionale, che erano state lasciate volutamente vaghe in modo da permettere dei successivi adeguamenti. Ci si riferisce in particolare agli articoli 76 e 77, rispettivamente sulla delegazione legislativa e sul decreto- legge, ma anche all’esiguo accenno che si può scorgere ai regolamenti governativi nell’articolo 87 della Costituzione.

Per quanto riguarda, invece, l’organizzazione interna del Governo era rimasta insoluta la questione se dovesse prevalere il profilo monocratico piuttosto che collegiale nella gestione dei rapporti tra il Presidente del Consiglio e i suoi Ministri. Perciò la questione non era facilmente risolvibile, tanto più che ogni singolo Governo cambiava il modo di interpretare l’articolo 95 Cost. così non permettendo neanche il radicarsi di vere e proprie consuetudini costituzionali, rimanendo spesso i singoli comportamenti tenuti allo stato di mere prassi61.

E comunque a dimostrazione di un certa assuefazione generale nei confronti dell’inerzia del legislatore ordinario in merito al profilo organizzativo interno alla struttura governativa, vi è una pronuncia della Corte costituzionale del 1988 (sentenza n. 278). In essa la Corte affermava come di fatto la Presidenza del Consiglio, nonostante la mancata attuazione dell’art. 95 Cost., funzionasse a pieno regime, in quanto regolata «da prassi e convenzioni, anche costituzionali, e da talune vecchie leggi interpretate in adeguamento alla Costituzione» (punto 2 del considerato in diritto).

Passando ad analizzare il contenuto finale della legge 400, potremmo suddividere gli argomenti regolati della legge in questo modo:

a) la posizione degli organi di governo;

b) le attribuzioni degli organi di governo e i loro rapporti reciproci;

c) la disciplina degli organi di governo istituiti per via di prassi e perciò non previsti in Costituzione (Vice-Presidente del Consiglio dei Ministri, comitati interministeriali, sottosegretari di Stato…);

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d) i poteri normativi del Governo;

e) le relazioni tra il Governo e le Regioni;

f) l’ordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio62.

In essa, quindi, si evidenzia un duplice intento: l’organizzazione interna delle strutture di Governo e la riorganizzazione del sistema delle fonti63.

E’ chiaro che parlare di una vera e propria riorganizzazione dell’assetto normativo appare piuttosto irrealistico, dato il carattere parziale della disciplina. Essa, infatti, si limita a porre delle regole relative solo alle fonti normative la cui titolarità spetti al potere esecutivo.

Tuttavia alcuni dei suoi articoli del Capo III, relativo per l’appunto alla potestà normativa dell’esecutivo, hanno finito col rivestire l’importante funzione di «norme sulla normazione», acquisendo così un carattere ordinamentale (mi riferisco in particolar modo all’art. 15 della legge 400/1988 in materia di decreti-legge).

Nelle linee generali, possiamo quindi effettuare una rapida descrizione dei punti fermi raggiunti da questa legge tanto attesa.

Quanto al profilo organizzativo è rinvenibile la volontà di dare vita ad una solida e competente struttura amministrativa servente il Presidente del Consiglio. Viene, infatti, previsto un Segretariato generale (art. 18), una struttura nuova ed agile, al quale sono affidati compiti di ausilio all’espletamento dei compiti del Presidente del Consiglio dei Ministri, fornendo in particolare un supporto di studio e di documentazione.

Per quanto riguarda, invece, i rapporti tra Presidente del Consiglio e i singoli Ministri è chiara l’intenzione di superare le recenti esperienze dei «Governi per ministeri», affidando maggiori compiti di coordinamento e di direzione al Presidente del Consiglio. Ciò del resto si evince anche dal rafforzamento delle strutture amministrative interne alla Presidenza, che conferendo apporti di alto tecnicismo e professionalità, portano all’affrancamento del Presidente dalla necessità di fare ricorso agli uffici ministeriali per il recupero dei dati necessari al compimento delle proprie attività di governo.

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Ibidem, p. 33.

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Ai fini della nostra indagine queste sono le tematiche che a noi più interessa sviluppare e approfondire. E’ opportuno segnalare, tuttavia, anche un’altra innovazione importante della legge 400 del 1988. Di particolare rilievo, infatti, è stata l’istituzione della Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome presso la Presidenza del Consiglio (art. 12). Importanti riferimenti al ruolo del Governo per la promozione e il coordinamento delle politiche comunitarie si riscontrano invece nell’art. 5, III comma.

Il Presidente può farsi affiancare nell’opera di direzione della politica generale del Governo da un Comitato, denominato Consiglio di Gabinetto, il quale risulterebbe composto da Ministri da lui designati, ma solo previa consultazione del Consiglio dei Ministri (art. 6). Può, inoltre, disporre con proprio decreto l’istituzione di Comitati di Ministri «con il compito di esaminare in via preliminare questioni di comune competenza, di esprimere parere su direttive dell’attività del Governo e su problemi di rilevante importanza da sottoporre al Consiglio dei Ministri» (art. 5, II comma, lett. h). Viene, inoltre, formalizzata la figura del «Ministro senza portafoglio», ovvero Ministri alla stregua degli altri, ma operanti all’interno della Presidenza, senza autonomia di bilancio (da qui il nome che li caratterizza) e con funzioni delegate direttamente dal Presidente del Consiglio, sempre sentito il Consiglio dei Ministri (art. 9, I comma).

Con questo non si vuole in alcun modo affermare la messa in archivio dell’organo collegiale. Basta, infatti, leggere gli articoli sopra richiamati per realizzare come non fosse intenzione degli estensori della legge che la direzione dell’attività di governo da parte del Presidente del Consiglio potesse prescindere dalla messa in condivisione delle sue proposte in sede di Consiglio dei Ministri. E’ pur vero che in sede di discussione del progetto di legge vi è stato qualcuno che ha dubitato della costituzionalità della previsione del Consiglio di Gabinetto e della formalizzazione dei già sussistenti in via di prassi Comitati di Ministri e Comitati interministeriali64, in quanto ritenuti contrari all’affermazione in Costituzione del Consiglio dei Ministri, tuttavia è di manifesta evidenza nella legge 400 la cura nel sancire l’importanza del momento collegiale.

A tal proposito si richiama l’articolo 1, che afferma come il Governo risulti composto dal Presidente del Consiglio, dai singoli Ministri e dal Consiglio dei Ministri, che discende perciò dall’unione del Presidente con i suoi Ministri. Inoltre è bene sottolineare come l’articolo 7 della legge 400 preveda comunque la necessità di ridurre i Comitati dei Ministri, affinché vengano mantenuti solo quelli concretamente utili.

Non sarebbe pertanto corretto riconoscere nella legge 400 una volontà atta a negare il principio collegiale; il Consiglio dei Ministri è anzi divenuto, nell’intento del legislatore, organo di ponderazione e di misurazione degli equilibri interni, una struttura coesa dove non

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Come si evince dalle relazioni alle proposte di legge di iniziativa parlamentare sull’attuazione dell’articolo 95 cost. presentate rispettivamente il 2 e il 9 luglio 1987 alla Camera dei Deputati; in esse si fa, infatti, cenno alla posizione di chi riteneva che il Consiglio di Gabinetto in particolare avrebbe costituito un diaframma tra il Presidente del Consiglio e il Consiglio dei Ministri, p. 7 res. sten., consultabile in http://legislature.camera.it/_dati/leg10/lavori/stampati/pdf/00380002.pdf (13 maggio 2007). Sui Comitati interministeriali già ampiamente P. CALANDRA, Problemi e proposte sull’ordinamento della Presidenza del

si decide con votazioni, bensì dove prevale la regola dell’unanimità. Ed il maggiore rafforzamento della sede collegiale non può fare altro che accrescere la funzione direttiva del Presidente del Consiglio. La collegialità è così a fondamento dei poteri di indirizzo e di coordinamento attribuiti al Presidente, la cui autorità deriva dalle decisioni del Consiglio dei Ministri65.

Altro merito della legge n. 400 è dato sicuramente dall’aver positivizzato e così chiarito i limiti, i contenuti e le procedure da seguire per la formazione di atti di normazione primaria e secondaria di cui risulta titolare il Governo. Le disposizioni relative all’attività normativa costituiscono pertanto norme sulla produzione del diritto e appaiono una delle prime reazioni dell’ordinamento contro la crisi della legge66.

L’assoluta lentezza nei procedimenti legislativi in sede parlamentare, infatti, aveva spesso portato il Governo, non titolare in quegli anni di alcun tipo di “corsia preferenziale” - per la previsione della quale si dovrà aspettare ancora un decennio - a fare un uso abnorme della decretazione d’urgenza. L’uso e l’abuso di tale fonte aveva provocato una generalizzata disapplicazione del disposto dell’art. 77 Cost. e dei presupposti in esso rigorosamente richiesti: ovvero la necessità e l’urgenza67.

Pertanto apparve di sicuro rilievo la predisposizione di un articolo all’interno della legge sull’organizzazione del Governo ove richiamare più stringenti limiti di contenuto da seguire in sede di formazione del decreto-legge. Inoltre per la prima volta si fa espresso richiamo alla necessità che il contenuto del decreto-legge sia specifico, omogeneo e corrispondente al titolo (art. 15; III comma). Si richiede anche l’indicazione nel preambolo delle circostanze di necessità e di urgenza che ne giustificano l’adozione (art. 15, I comma).

Riguardo ai decreti legislativi viene formalizzata la procedura di richiesta di parere sullo schema di decreto legislativo alle Camere, ed in particolare alle Commissioni competenti per

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Si può pertanto vedere nella normativa dell’88 la corretta risposta alle richieste di coordinamento e di razionalizzazione del sistema di governo che da decenni provenivano dalla dottrina. Si veda tra gli altri S. LABRIOLA, Lineamenti costituzionali della Presidenza del Consiglio e F. STADERINI, L’ordinamento della Presidenza del Consiglio in AA. VV., Costituzione struttura del governo. Il problema della Presidenza del Consiglio, Cedam, Padova, 1979, rispettivamente p. 70 ss. e p. 176 ss.. Di razionalizzazione come funzione principale della legge 400 parla anche L. ARCIDIACONO, Ordinamento e organizzazione del Governo-Relazione

generale, in AA.VV.,Annuario 2001:il Governo, Atti del XVI Convegno annuale dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, Palermo, 8-9-10 novembre 2001, Cedam, Padova, 2002,p. 36 ss.

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Così S. LABRIOLA, Compressione e deviazione, non ampliamento, dei poteri normativi dell’esecutivo in Italia, in Quaderni costituzionali, 1/1988, p. 94.

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Si veda a tal proposito in senso giustificativo dell’abuso A. MANZELLA, Parlamento. Il groviglio del decretone, in Quaderni costituzionali, 1/1981, p. 138 ss. e S. LABRIOLA, ult. op. cit., pp. 96-97. Contra A. BALDASSARRE-C. SALVI,L’abuso dei decreti legge. Contro l’irrigidimento autoritario del sistema politico, in Politica del diritto, 3, 1980, p. 386 ss. e A. PACE,Decreti legge non convertiti e responsabilità giuridica ministeriale, in Quaderni

materia (art. 14, ultimo comma). Tale pratica, infatti, viene resa obbligatoria in tutti i casi di delega al Governo di durata superiore ai due anni.

Per entrambe le tipologie di atti aventi forza di legge il legislatore ordinario stabilisce all’art. 16 l’assoluto divieto di effettuazione di un controllo preventivo di legittimità da parte della Corte dei Conti68. Tale organo dovrà pertanto limitarsi, ma solo in caso di richiesta proveniente dalla Presidenza di una delle Camere, a trasmettere al Parlamento le sue valutazioni in ordine alle conseguenze finanziarie derivanti dalla conversione in legge di un decreto-legge o dalla emanazione di un decreto legislativo.

A chiudere l’elenco è l’art. 17, che disciplina dettagliatamente le procedure che il Governo deve seguire per l’emanazione di regolamenti, norme di rango secondario. Il dato più importante di tale articolo, anch’esso a conferma di una volontà piuttosto ferma nel reagire alla crisi della legge e all’uso eccessivo che di essa spesso si fa non del tutto in modo giustificato, è rappresentato dalla previsione, tra le singole tipologie di regolamenti, dei c.d. regolamenti di delegificazione o autorizzati che di fatto hanno prodotto un alleggerimento della produzione legislativa parlamentare a favore di una disciplina decentrata al Governo e di rango inferiore (art. 17, II comma)69.

Il Capo III appare così il primo tentativo in sede legislativa, dalla nascita dell’ordinamento repubblicano, di razionalizzare la produzione normativa in capo al Governo. Ha inoltre il grande merito di aver riconosciuto un considerevole ruolo di controllo al Parlamento, che, sebbene già gli derivasse direttamente dalle previsioni costituzionali, non aveva avuto poi metodo di estrinsecarsi in maniera adeguata.

La previsione così del preambolo al decreto-legge; la fissazione di divieti ulteriori e più stringenti ai contenuti di esso; la necessità che il Parlamento venga sempre mantenuto informato sul risultato finale della delega legislativa sono tutti strumenti di controllo e costituiscono essi stessi una conferma del ruolo centrale rivestito dal Parlamento nella gestione della produzione normativa/legislativa.

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La Corte dei Conti, proprio a seguito di questa previsione legislativa, sollevò con l’ordinanza n. 2095 del 6 marzo 1989 un conflitto di attribuzioni dinnanzi alla Corte costituzionale contro il Governo e il Parlamento ritenendo che l’art. 16 menomasse le attribuzioni conferite alla Corte dei Conti dalla stessa costituzione (art. 100, II comma, Cost.). In quell’occasione la Corte costituzionale respinse il ricorso ritenendo che il controllo di cui si riteneva titolare la Corte dei Conti non sarebbe stato altro che un controllo preventivo di legittimità costituzionale e pertanto la sua ammissibilità si metteva in dubbio. Ciò in quanto per disposto costituzionale tale tipo di controllo è previsto solo in sede parlamentare, così come risulta dagli artt. 76 e 77 cost., oltre che in sede di emanazione dei decreti aventi forza di legge per mano del Presidente della Repubblica.

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Per approfondimenti e per un approccio diacronico alla materia si rimanda a N. LUPO, Dalla legge al regolamento: lo sviluppo della potestà normativa del governo nella disciplina delle pubbliche amministrazioni, Il Mulino, Bologna, 2003.

Qualche anno prima, invece, le Camere, dopo un intenso dibattito sia tecnico che politico, avevano definitivamente archiviato i propri Regolamenti interni di derivazione pre- repubblicana, per dare vita a nuove regole con l’intento non solo di conferire maggiore funzionalità alle istituzioni legislative, ma anche e soprattutto di trasformare il Parlamento in un organo di effettiva partecipazione all’indirizzo politico70.

Tra i contenuti innovativi dei Regolamenti parlamentari del 1971, si situa la scelta di rafforzare gli istituti di controllo e di informazione delle Camere, anche attraverso una maggiore ed effettiva utilizzazione dell’apporto conoscitivo proveniente dagli «organi ausiliari» previsti dalla Costituzione, tra i quali spicca in particolare la Corte dei Conti. Tuttavia l’elemento che più verrà a contraddistinguere queste fonti di auto-regolamentazione sarà l’affermarsi del principio consensuale71. I Regolamenti così modellati riflettevano, infatti, il clima politico che si era andato formando nei precedenti decenni e la frammentazione delle compagini partitiche dell’epoca72 e per tale motivo sono anche conosciuti, in contrapposizione alle risultanze delle successive modifiche dei testi regolamentari di fine anni novanta, come «regolamenti proporzionalisti»73.

Gli autori dei Regolamenti parlamentari del 1971 erano consapevoli che attraverso l’uso della propria potestà di auto-regolamentazione sarebbe stato ben difficile operare un cambiamento che portasse con sé una trasformazione radicale dell’organo parlamentare fino a quel momento relegato ad una posizione marginale dalle forze politiche al Governo. Ma certamente intervenendo in questa direzione, nei loro intenti, si sarebbe ottenuto un adeguamento delle istituzioni parlamentari allo spirito della Costituzione74.

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C. DE MICHELI-L. VERZICHELLI, Il Parlamento, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 122. Si cfr. anche E. CHELI, La «centralità» parlamentare: sviluppo e decadenza di un modello, in Quaderni costituzionali, 2/1981, p. 344: «[i]l disegno che si s’intendeva realizzare attraverso il ricorso a questi strumenti puntava a rafforzare la posizione del Parlamento non solo verso l’Esecutivo, ma verso l’intero assetto dei poteri pubblici e delle forze sociali, fino a individuare nel Parlamento l’asse portante dell’intera vita istituzionale».

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Parla di «principio consociativo - unanimistico» A. MORRONE,Quale modello di Governo nella riforma del Regolamento della Camera dei Deputati, in Quaderni costituzionali, 3/1998, p. 458.

72

L. ELIA,(ad vocem), Governo (forme di), in Enciclopedia del diritto, XIX, Giuffrè, Milano, 1970, pp. 657 ss.. Nella descrizione della coeva forma di governo italiana l’A. conclude affermando che l’Italia è caratterizzata da una «forma di governo parlamentare a multipartitismo estremo».

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Ibidem, p. 123.

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Ritiene che i Regolamenti parlamentari abbiano dato un’interpretazione estensiva di quello che era il ruolo del Parlamento teorizzato dalla Costituzione, la quale aveva privilegiato la definizione di un Parlamento come «macchina» di produzione delle leggi e d’investitura dell’Esecutivo piuttosto che come organo investito di un potere d’indirizzo, E. CHELI, La «centralità» parlamentare: sviluppo e decadenza di un modello, cit., pp. 345- 346,. L’A. per tale motivo ritiene che i Regolamenti parlamentari non abbiano tanto avuto l’intenzione di attuare il modello, quanto piuttosto di svilupparlo «secondo linee chiaramente evolutive», ivi, p. 346.

Si formalizzarono così quelle regole procedurali che avevano come obiettivo l’affermazione di una «centralità del Parlamento»75, luogo dove pertanto si sarebbe dovuto svolgere principalmente l’indirizzo politico. In questa direzione è andata la scelta di creare la «Conferenza dei presidenti di gruppo», ovvero un organo collegiale rappresentativo il cui compito avrebbe dovuto consistere nell’assunzione delle decisioni in merito alla realizzazione del programma di governo e relative alla conduzione dei lavori parlamentari.

La chiave di lettura di questa, come delle altre novità introdotte, è indubbiamente rappresentata dalla necessità di dare vita ad un consociativismo puro. Data, infatti, la

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