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Los decretos de necesidad y urgencia in Argentina.

I fenomeni legislativi che causano nei due ordinamenti una scadente qualità della legge.

discussione 62 Mentre il Senato applica la regola generale sancita nell’articolo 97 del proprio Regolamento che limita l’inammissibilità, alla pari di quanto stabilito dall’articolo 89 del

2. Los decretos de necesidad y urgencia in Argentina.

a) Nascita nella prassi dei decreti di necessità ed urgenza.

La Costituzione argentina del 1853 non prevedeva nessuna possibilità di riconoscere in capo al potere esecutivo delle attribuzioni di carattere colegislativo (si confronti l’elenco delle attribuzioni presidenziali nel vecchio testo dell’articolo 86 Cost.), in virtù delle caratteristiche tipiche del regime presidenzialista, essenzialmente basato su una netta separazione dei poteri tra il Presidente e il Congresso.

Nonostante ciò, è invalsa, soprattutto con il riavvio della democrazia dopo l’ultima dittatura – ma in particolar modo a partire dal 1989, con il primo mandato presidenziale di Menem – una prassi che ha condotto il Presidente della Nazione a fare un uso particolarmente ampio del potere di emanare decreti giustificati dalla necessità e dall’urgenza. Fino a quella data le ragioni che avevano indotto i Presidenti a decidere a favore dell’emanazione di un decreto-legge99 erano state essenzialmente di due tipi: di tipo politico, per il controllo o il contenimento di situazioni gravi o casi di agitazione interna al paese, e di tipo economico, per lenire gravi situazioni economiche o finanziarie, soprattutto durante la crisi degli anni trenta del secolo passato100.

Per comprendere la gravità del fenomeno pare opportuno riferire direttamente alcuni dati. Durante il mandato di Alfonsín (1983-1989) i decreti emanati in ragione della necessità e dell’urgenza furono solamente 10, contro un numero di leggi approvate dal Congresso superiore a 600. Durante la presidenza di Menem (1989-1999), si assistette ad una preoccupante crescente concentrazione di potere nell’esecutivo101: attraverso lo strumento della decretazione d’urgenza, Menem eseguì, infatti, tutta una serie di riforme molto importanti sul piano politico e per la realizzazione del proprio programma di governo, tra cui

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Si è utilizzato il termine «decreto-legge», ritenendo tuttavia di dover fare un’avvertenza: in Argentina con tale termine si intendono le leggi emanate durante i governi di fatto, ovvero durante le esperienze dittatoriali. Perciò è sempre preferibile ricorrere all’utilizzo del termine «decreto di necessità e di urgenza», perché quanto alla sensibilità italiana può apparire una mera scelta linguistica può invece da altri essere considerato un giusto distinguo per preservare intatta la lontananza esistente in Argentina tra Governi di fatto e Governi di diritto.

100

A. R. DALLA VIA,A diez años de la reforma constitucional, in La Ley, 2005-D, p. 1378.

101

D. FERREIRA RUBIO-M. GORETTI, Cuando el Presidente gobierna solo. Menem y los decretos de necesidad y urgencia hasta la reforma constitucional (julio 1989-agosto 1994), in Desarollo Económico, vol. 36, n. 141, 1996, p. 443 ss.. Degli stessi autori si richiamano i lavori Gobierno por decreto en Argentina (1989-1993), in El derecho, t. 158, p. 848 ss e The emergency and the relationship between the Executive and the Congress, during President Menem’s Administration in Argentina: use and misuse of prerogative powers, in L. LONGLEY (a cura di), Working Papers on Comparative Legislative Studies, Research Committee of Legislative Specialists Appleton, Wisconsin, 1994, p. 133 ss..

le privatizzazioni. Spesso peraltro i decreti di necessità e di urgenza emanati trovavano, come base di riconoscimento, precedenti deleghe esercitate dal Congresso a beneficio del Governo, attraverso le c.d. «leggi di emergenza»102. E così vediamo come i decreti di necessità e di urgenza entrati in vigore tra il 1989 e il 1994, anno della riforma costituzionale, saranno in totale 336103, contro le 801 leggi approvate dal Congresso.

In quegli anni la dottrina e il potere giurisdizionale iniziarono a muovere le prime ferme obiezioni verso una pratica che si trovava al limite della Costituzione. «Al limite» poiché alcuni decreti furono in effetti esempio dell’utilizzo più o meno ampio del potere regolamentare riconosciuto in capo al Governo (si veda l’articolo 86, punto 2, Cost., vecchio testo); per altro verso, alcuni decreti vincolati con la politica di razionalizzazione della funzione pubblica vennero emanati dal Presidente facendo uso di quelle facoltà che la Costituzione del 1853 gli riconosceva, in quanto «amministratore generale del paese» (articolo 86, punto 1, Cost. vecchio testo)104. Questi due possibili agganci costituzionali, ad ogni modo, non potevano giustificare per intero il fenomeno della “decretocrazia”.

Nonostante prima del 1989 tale prassi costituisse un’esperienza assai marginale nel panorama legislativo, la dottrina più avveduta aveva già cominciato ad occuparsi del fenomeno della decretocrazia, esprimendo posizioni ferme e tutte, nella maggior parte, a favore della costituzionalità di tale rimedio normativo a situazioni eccezionali o urgenti105. Della dottrina contemporanea ricordiamo la posizione di Jorge Reinaldo Vanossi106, il quale, in particolare, giustificò il ricorso alla decretazione d’urgenza da parte dell’esecutivo, riconducendolo al dettato costituzionale. Riconosceva, infatti, come richiamo implicito ad essa, il potere attribuito al Governo dagli articoli 23 e 86, punto 19, Cost. (vecchio testo) di dichiarare lo «stato d’assedio»107, giustificato a sua volta sulla base della formula «per grandi

102

Come già riferito, tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, praticamente in coincidenza a quanto stava avvenendo in Italia, l’Argentina vive un periodo di profonda recessione economica che induce il Congresso ad approvare alcune leggi di emergenza (si vedano le leggi n. 23.696 e 23.697), con le quali si sono conferite ampie deleghe di risultato al governo, lasciandolo libero nelle modalità di esercizio di queste.

103

I dati sono riportati da D. FERREIRA RUBIO-M. GORETTI, Cuando el Presidente gobierna solo, cit., p. 451.

104

Ibidem,p. 443.

105

In senso favorevole R. BIELSA, Derecho administrativo, Depalma, Buenos Aires, 1967, tomo II, p. 201; M. S. MARIENHOFF, Tratado de derecho administrativo, tomo I, Abeledo-Perrot, Buenos Aires, 1982, p. 263; J. C. CASSAGNE, Derecho administrativo, tomo I, Abeledo-Perrot, Buenos Aires, 1982, p. 126; ID., Sobre la fundamentación y los límites de la potestad reglamentaria de necesidad y urgencia, in La Ley, 1991-E, p. 1184 ss.; N. P. SAGÜES,Los decretos de necesidad y urgencia: derecho comparado y derecho argentino, in La Ley, 1985-A, p. 798.

106

J.R. VANOSSI, Los reglamentos de necesidad y urgencia, in Jurisprudencia Argentina, IV, 1987, p. 885 ss..

107

Infatti, pur richiedendo la costituzione che lo stato d’assedio dichiarato dall’esecutivo debba poi essere convalidato con atto del Congresso, Vanossi ritiene che il silenzio del Congresso in tal caso non sospenderebbe l’atto dell’esecutivo, J.R. VANOSSI,ult. op. cit., pp. 886-887.

mali, grandi rimedi»108. Inoltre lo stesso studioso riconosceva l’esistenza di un necessario potere di decretazione, come conseguenza logica dell’essere il Presidente della Nazione il «Capo dello Stato», in tutti quei casi in cui la Nazione si fosse trovata di fronte a situazioni di emergenza, in presenza di un Congresso inerte o inefficiente nella risoluzione di esse. «Nessuno oggi ignora» – così affermava Vanossi – «la precedenza e la preferenza dell’atto esecutivo per risolvere, rapidamente ed in modo efficace, situazioni imprevedibili…»109. L’urgenza e l’emergenza, secondo tale teoria, si traducevano perciò in uno stato di necessità, a cui difficilmente poter far fronte con una legge in senso formale, di produzione parlamentare; da qui la convenienza nel fare uso di una «legge in senso materiale», nelle vesti del decreto di necessità e di urgenza. Peraltro lo stesso autore affermava come non potesse essere di spettanza del potere giurisdizionale la verifica della sussistenza o meno del requisito di necessità e della proporzionalità dello strumento rispetto al fine.

Vi è chi, invece, ritenne che il potere di decretazione d’urgenza potesse reputarsi conforme al dettato costituzionale, in quanto riconducibile a quei poteri impliciti spettanti all’esecutivo per il raggiungimento dei fini fondamentali dello Stato, come del resto descritti nel Preambolo alla Costituzione argentina del 1853: in particolare per il conseguimento del fine di provvedere alla difesa comune nonché del fine di promuovere il benessere generale110.

Di opinione contraria German Bidart Campos111, il quale, utilizzando toni molto duri, affermò: «[q]uando un presidente si comporta in tale modo [ovvero emana decreti di necessità e di urgenza] la già ricordata deistituzionalizzazione assume l’aspetto di una monarchia

108

In questo senso anche la sentenza Avico vs De la Pesa della Corte Suprema di Giustizia della Nazione (1933) [ispirata al precedente nordamericano Home Building vs. Blaisdell (290 U.S. 398-1934)], in Jurisprudencia Argentina, 48-698, che ha stabilito come sia proprio lo Stato di diritto ad avere come obiettivo la normalizzazione di situazioni di anormalità attraverso l’uso del potere di emergenza, che può provocare sospensioni della costituzione, al fine di preservare la stessa esistenza dello Stato. Giurisprudenza poi confermata nella sentenza Robustiano Moreno (1960), Fallos 246-337.

109

J.R. VANOSSI,ult. op. cit.,, p. 887 (la traduzione è nostra).

110

Così I.J.M CULLEN,Asunción de facultades legislativas por el presidente, in La Ley, 1992-A, p. 851 e C.M. BIDEGAIN, Cuadernos del curso de derecho constitucional, Abeledo – Perrot, Buenos Aires, 1969, p. 208 ss..

111

Così anche, anni prima, S.V. LINARES QUINTANA,El derecho constitucional y la legislacion de emergencia, in Boletín de la Biblioteca del Congreso Nacional, 1943, p. 11 e quindi, in tempi più recenti, M.A. EKMEKDJIAN,La inconstitucionalidad de los llamados reglamentos de necesidad y urgencia, in La Ley, 1989-E, p. 1296 ss.; ID., Manual de la Constitución Argentina, 1991, Depalma, Buenos Aires, p. 301 ss.; ID., El Congreso Nacional en

cautiverio (La emergencia como corrosión del sistema repubblicano), in El Derecho, 151, p. 843 ss.. Miguel Ángel Ekmekdjian basava essenzialmente la propria contrarietà sull’assenza nel testo costituzionale di un riconoscimento esplicito, in capo al potere esecutivo, di emanare decreti di necessità e di urgenza. Secondo l’A., infatti, solo un intervento futuro del revisore costituzionale, che avesse preso una posizione chiara in merito al punto, avrebbe permesso di sanare tutte quelle obiezioni espresse circa la violazione del principio della divisione dei poteri. Medesima posizione riscontriamo in H.J. RUIZ MORENO, Los llamados reglamentos de necesidad y urgencia. La emergencia como motivación de las leyes y reglamentos, in La Ley, 1990-B, p. 1036 ss., il quale affermava come lo stato di emergenza non potesse costituire motivazione sufficiente per alterare il regime costituzionale all’epoca vigente.

camuffata da repubblica»112. E in effetti molta parte di quella teoria della separazione dei poteri che costituisce l’essenza del regime repubblicano argentino ne risultava in tale modo compromessa, così da mettere in dubbio il permanere della vigenza di quella giurisprudenza risalente della Corte Suprema di Giustizia che riconosceva il principio fondamentale della separazione dei poteri come uno dei pilastri dell’ordinamento argentino e che denunciava come l’uso concorrente o comune delle funzioni statali avrebbe provocato la distruzione della base della forma di governo argentina113. Perciò la dottrina contraria fece leva sugli effetti che sarebbero derivati da una assicurazione del potere di emanare i decreti di necessità e di urgenza sotto il “cappello costituzionale” dell’emergenza114: si sarebbe, infatti, – in ciò consisteva la loro denuncia – prodotto un pericoloso avvicinamento della forma di governo argentina ai caratteri di un sistema autocratico, il quale generalmente fa uso dell’emergenza per delegittimare sia il principio di legalità sia un saldo riconoscimento delle libertà individuali115.

Tuttavia è bene precisare come in generale, dopo il 1983 e lungo tutta la presidenza di Alfonsín, l’utilizzo di decreti di necessità e di urgenza non venne visto come un attentato alla democrazia, quanto piuttosto uno strumento alternativo, necessario per preservare, nelle situazioni-limite, l’ordine costituzionale116. E questo sentimento si tradusse in quella che sarà la prima pronuncia della Corte Suprema in materia di decreti di necessità e di urgenza: il caso Peralta (27 dicembre 1990)117. Nella pronuncia qui considerata si ammise la costituzionalità della prassi di emanare decreti di necessità e di urgenza, sulla base del riconoscimento di una oggettiva difficoltà, da parte di organi pluripersonali, quali del resto sono le due Camere, di garantire una risoluzione rapida a quei problemi118 che potrebbero più efficacemente essere affrontati da un’autorità amministrativa, la quale, d’altro canto, generalmente possiede informazioni maggiori, grazie al contatto diretto di cui dispone con la realtà economica e sociale del paese. La Corte, infatti, affermò in tale pronuncia: «l’efficacia della misura adottata – la cui convenienza e sussistenza non è… soggetta a valutazioni di carattere giudiziario – dipende principalmente dalla celerità con la quale si adotta e si pone in vigenza …la prudenza ed il corretto giudizio del potere amministrativo non devono essere sottostimati

112

G. J. BIDART CAMPOS, La supresión por decreto de los juicios contra el Estrado, in El Derecho, 141, p. 365.

113

Ramón Ríos y otros (4 dicembre 1863), Fallos 1:32.

114

Applicabile peraltro solo ai casi di dichiarazione di stato d’assedio, come già visto.

115

G. BADENI, Los decretos de necesidad y urgencia, in El Derecho, t. 138, p. 930.

116

I.J.M CULLEN,Asunción de facultades legislativas por el presidente, cit., p. 841.

117

Peralta, Luis A. y otro c. Estado nacional (Ministerio de Economía --Banco Central--), in La Ley, 1991-C, p. 158.

118

Questa la definizione che la Corte darà di emergenza: «una situazione straordinaria che gravita sull’ordine economico-sociale...che origina uno stato di necessità al quale bisogna porre fine» (considerando 43).

nell’apprezzamento di quei motivi o di quelle ragioni, che si pongono in relazione con i fatti che…compromettono gravemente l’esistenza stessa dello Stato e da cui dipende il bene comune»119.

E’ interessante notare come la dottrina di quegli anni avesse effettivamente elaborato una serie di criteri120, la presenza dei quali permetteva di considerare validi i decreti emanati dal potere esecutivo, tra i quali rilevava particolarmente l’esistenza di una reale situazione di necessità e di urgenza. Tali requisiti, e ciò che la dottrina affermava121, dipendevano a loro volta dalla verifica di uno stato di emergenza e il decreto doveva apparire un mezzo imprescindibile per il perseguimento dell’obiettivo di superamento della situazione emergenziale. La necessità, quindi, era da riferire a quella relazione causale esistente tra l’emergenza e i rimedi per scongiurarla; l’urgenza era, invece, da riferire alla improrogabilità della decisione. Non era in nessun modo richiesto, però, che la necessità e l’urgenza coesistessero, ben potendo rilevarsi solamente la sussistenza di uno dei due requisiti122. Si avvertiva, tuttavia, il pericolo che un criterio così poco restrittivo conducesse ad una verifica, ai fini dell’emanazione dell’atto, volta a vagliare non tanto la presenza dei criteri di necessità e d’urgenza, quanto piuttosto la sussistenza di una qualche convenienza ad intervenire123.

La giurisprudenza e la dottrina, negli anni antecedenti la riforma costituzionale, avevano anche manifestato posizioni univoche in merito all’impossibilità che l’autorità giurisdizionale si potesse addentrare in tale verifica, essendo quella della valutazione sulla sussistenza della necessità o dell’urgenza una «political question», e perciò rimessa esclusivamente all’autorità politica, salvo casi notori e manifesti di irrazionalità124.

Traspare così, nell’atteggiamento della dottrina, la volontà di riconoscere come valore (aggiunto), ai fini della solidità del paese, la presenza di un esecutivo forte, in grado di prendere decisioni rapide e inoppugnabili che, piuttosto che mettere a repentaglio il principio

119

Corsivi aggiunti. Ibidem, considerando 26 (la traduzione è nostra).

120

Vi è, in effetti, chi ritenne necessario avvalersi di un criterio molto rigoroso, ovvero la verifica, per la costituzionalità del decreto, della non prevedibilità, della improrogabilità e della inevitabilità; c’è, invece, chi propose l’utilizzo di un criterio meno rigoroso, che portò all’eliminazione del requisito della non prevedibilità. Ma in dottrina prevalse senza ombra di dubbio, in linea con la posizione della Corte Suprema, il criterio che riteneva sufficienti la sussistenza della necessità o dell’urgenza, come riportato da I.J.M CULLEN,Asunción de facultades legislativas por el presidente, cit., p. 845.

121

Ibidem, p .843.

122

Ibidem, p. 843; della medesima opinione G.A. MUÑOZ,Reglamentos de necesidad y urgencia, in Revista de

Derecho Administrativo, n. 5, 1990, p. 525.

123

Come pare di vedere nel decreto 901/1984, con il quale si è deciso di modificare il giorno per l’affermazione del diritto dell’Argentina sulle Isole Malvinas.

124

Per tutti J.R. VANOSSI, Los reglamentos de necesidad y urgencia, cit., p. 890.Contra J. R. COMADIRA, Los

di legalità stabilito in Costituzione, salvaguardano l’esistenza stessa dello Stato di diritto, in quanto giustificate dall’emergenza.

Anche in relazione alle materie sulle quali poter intervenire con decreto, vediamo come la dottrina pre-riforma non ponga generalmente alcun limite di sorta125 giustificando il provvedimento normativo sempre sulla base della necessità di intervenire con prontezza.

Passata in rassegna buona parte della dottrina antecedente la riforma costituzionale, è bene sottolineare come in alcuni autori crescesse un sentimento – legittimo peraltro – di timore e forte preoccupazione verso l’uso scellerato dello strumento della decretazione d’urgenza: non solo, infatti, in quegli anni comincia ad aumentare esponenzialmente l’uso dei decreti di necessità e di urgenza, ma si assottiglia incredibilmente la linea di confine tra ciò che costituisce una necessità o un’urgenza oggettiva, e ciò che rappresenta piuttosto una necessità o un’urgenza soggettiva. Troviamo qui una certa somiglianza con il caso italiano, sebbene nella Costituzione argentina, almeno fino alla revisione costituzionale del 1994, non si facesse alcun cenno a tale facoltà in capo all’esecutivo: giustificato dalla necessità di rafforzare il Presidente, onde evitare che in situazioni di pericolo per il paese la sua carica, impossibilitata a compiere alcun tipo di azione contraria, soccombesse, dando magari luogo a colpi di stato ben noti alla storia argentina, tale potere aveva finito con l’essere oggetto di abusi continuati e progressivi.

Che ci dovesse essere, probabilmente già a partire dalla Costituzione del 1853, un riconoscimento di situazioni in cui il Congresso non fosse in grado di rispondere prontamente, e perciò riconducibili ad una facoltà di intervento normativo in capo al Presidente, è probabilmente plausibile, anche se si comprende come sarebbe risultato piuttosto strano in un sistema che ha accolto una versione rigida di separazione dei poteri. Del resto lo stesso costituente italiano aveva mosso molti dubbi sulla possibilità di inserire in Costituzione i decreti-legge, in quanto ciò avrebbe potuto dare adito a concentrazioni di poteri, nonostante la forma di governo italiana avesse quella sorta di clausola di salvaguardia politica rappresentata dalla possibilità di non convertire l’atto di provenienza governativa, così da ripristinare, da un parte, la legittimità di una situazione normativa apertamente contraria a Costituzione e, dall’altra, di far così valere la responsabilità politica del Governo.

125

Ad eccezione di R. BIELSA, Derecho constitucional, Buenos Aires, 1954, pp. 672-673, che ne riteneva vietato l’uso in materia penale e tributaria. Circa il divieto di emanare decreti-legge in materia penale, in realtà, si era avuto già E. GÓMEZ, Los decretos-leyes en materia penal, in Revista de derecho penal, 1945, p. 377 ss.. Si veda anche J. R. COMADIRA, Los reglamentos de necesidad y urgencia, cit., p. 762 ss., che estendeva il divieto al potere impositivo, e, più in generale, alle misure repressive della libertà personale e della proprietà.

Si concorda perciò con quella dottrina argentina che premeva, sin da anni di molto antecedenti il 1994, sulla necessità di intervenire direttamente con una riforma costituzionale.

Un’altra poco commendevole somiglianza con il caso italiano è data dallo scadente livello qualitativo che spesso ha caratterizzato la veste formale di tali decreti. Ricordiamo a questo proposito quanto, con toni piuttosto allarmati, affermava l’Accademia nazionale di diritto e di scienze sociali di Buenos Aires nel lontano 1963, in merito all’assenza frequentissima nei decreti-legge delle denominate “virtù cardinali”, che dovrebbe presentare la legislazione per essere definita “buona” e che assicurerebbero la sicurezza, l’uniformità, la coerenza sistematica e la tecnica in un ordinamento giuridico126: Rispettando, infatti, i crismi della buona legislazione «si facilita la conoscenza della legge, la chiarezza delle sue disposizioni, la sicurezza dei diritti, la coerenza del sistema, l’armonia interna dell’ordinamento giuridico, la possibilità di un suo progressivo perfezionamento»127. Nel dire ciò, l’Accademia era ben lungi dal ritenere anticostituzionale l’utilizzo del decreto-legge, giacché ne venivano messe in discussione non le finalità, ché anzi ad esso veniva riconosciuto il merito di preservare la democrazia, ma molto semplicemente le cattive modalità di elaborazione, spesso incuranti di creare antinomie tra quanto in esso disposto ed il contesto normativo128.

Familiare anche all’ordinamento argentino sono poi i c.d. decreti omnibus , ovvero casi in cui il potere esecutivo ha approfittato per disciplinare in un medesimo provvedimento un’amplissima gamma di temi, così da modificare, sospendere o derogare ad una grande quantità di leggi. Il primo ad “aprire le danze” fu il “megadecreto” n. 435/1990, il quale era strutturato in ben 70 articoli129. Esso, tra le varie disposizioni in esso presenti, prorogava alcuni termini previsti nella di poco antecedente legge di emergenza economica. Veniva così a modificare una legge del Congresso, per di più di emergenza, e quindi particolarmente delicata, dal momento che in essa era presente una serie di deleghe all’esecutivo130. Tale decreto è stato, quindi, nello stesso anno, modificato in più parti da altri decreti (ricordiamo i decreti nn. 612/1990, 1757/1990 e 2154/1990) e sempre altri decreti di necessità e di urgenza

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