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La riforma costituzionale del 1994 e l’istituzione del Jefe de Gabinete.

La forma di governo italiana e la forma di governo argentina: dalle origini alle recenti evoluzioni parzialmente incompiute

10. La riforma costituzionale del 1994 e l’istituzione del Jefe de Gabinete.

I lavori della Convenzione costituente terminarono con l’approvazione del testo costituzionale riformato il 22 agosto 1994.

La bontà della riforma era indubbiamente da riscontrarsi nello sforzo comune di configurare una soluzione concreta ai problemi sorti per la presenza nella forma di governo argentina di vari elementi che negli anni avevano dato scarsissima prova di sé portando alla deriva la democrazia del Paese.

Si può inoltre affermare come i costituenti avessero voluto fare proprie le preoccupazioni sorte in dottrina: nel corso delle sedute della Convenzione venne espressa da più parti153 la vicinanza alle teorie di Juan Linz, di Giovanni Sartori154 e di Carlos Santiago Nino155 intorno alla crisi in cui versa il presidenzialismo nella sua declinazione latino-americana.

Così uno dei maggiori risultati della riforma costituzionale del 1994 si concretò nel superamento formale del modello presidenzialista a favore del recepimento di alcuni caratteri tipici della forma di governo parlamentare. Venne istituita la figura del Jefe de Gabinete, un collaboratore molto speciale del Presidente, nominato ed eventualmente rimosso dallo stesso Presidente, ma legato ad un rapporto di fiducia con il Congresso. L’articolo 100 della Costituzione parla , infatti, di una sua «responsabilità politica» di fronte al Congresso.

Al Jefe de Gabinete la Costituzione garantisce una serie consistente di poteri, che dovrebbero permettergli di costituire, soprattutto in situazioni di crisi inter-istituzionali nel sistema politico argentino, il punto di convergenza tra le parti contrapposte. Secondo quanto stabilito dalla Costituzione, l’Jefe de Gabinete, come unico rappresentante del Governo ad avere una responsabilità politica nei confronti del Congresso, dovrà recarsi innanzi all’organo legislativo almeno una volta al mese (alternativamente un mese davanti alla Camera dei Deputati e il mese successivo davanti ai membri del Senato), per informare delle attività condotte dall’esecutivo; potrà inoltre essere oggetto di una mozione di sfiducia, che andrà a buon fine se approvata con il voto della maggioranza assoluta dei componenti della Camera – ardua in ogni caso a raggiungere –, ove la mozione è stata presentata (art. 101 Cost.); dovrà

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Si cfr. la seduta del 1° agosto 1994, p. 2811 del res. sten. consultabile su www.infoleg.gov.ar/constituciones (consultato il 1° giugno 2007).

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E’ d’obbligo il richiamo a J.J. LINZ ,Democrazia presidenziale o democrazia parlamentare: vi è differenza? e

G. SARTORI,Né presidenzialismo né parlamentarismo,in J. J. LINZ e A. VALENZUELA ( a cura di),Il fallimento del presidenzialismo,Il Mulino, Bologna, 1995, pp. 19-155 e 181-228.

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partecipare alle sedute del Congresso, anche attivamente, senza tuttavia avere il potere di voto (art. 100, II comma, punto 9, Cost.); dovrà presentare, all’inizio delle sessioni ordinarie del Congresso e congiuntamente agli altri Ministri, una memoria dettagliata dello stato della Nazione in relazione alle singole materie di competenza (art. 100, II comma, punto 10, Cost.); dovrà produrre le informazioni e i chiarimenti scritti o verbali richiesti da una delle due Camere (art. 100, II comma, punto 11, Cost.).

Al Jefe de Gabinete è inoltre affidato l’esercizio dell’amministrazione generale del Paese, per l’esecuzione del quale può emanare gli atti e i regolamenti all’uopo necessari (art. 100, II comma, punti 1 e 2, Cost.). Ha poi ulteriori compiti normativi estremamente importanti: può , infatti, emanare gli atti delegatigli dal Presidente, salvo controfirma del Ministro competente (art. 100, II comma, punto 2, Cost.); è di sua titolarità la formazione del progetto di legge inerente il bilancio annuale della Nazione, il quale viene inviato al Congresso una volta raggiunto un accordo nel Gabinetto e dopo l’approvazione da parte del Presidente (art. 100, II comma, punto 6, Cost.); deve controfirmare la relazione illustrativa che accompagna i progetti di legge di iniziativa governativa (art. 100, II comma, punto 8, Cost.), nonché i decreti dell’esecutivo con i quali si esercitano facoltà legislative delegate dallo stesso Congresso, posti da ultimo al vaglio della Commissione Bicamerale Permanente, organo di cui ci occuperemo ampiamente nel prosieguo dell’elaborato (art. 100, II comma, punto 12, Cost.). Da ultimo, sempre in ambito normativo, l’Jefe de Gabinete è titolare di un importante compito, che rivela il ruolo-chiave pensato dai costituenti del ’94 per questa figura istituzionale: insieme agli altri Ministri componenti il Gabinetto, ad esso spetta controfirmare i decreti di necessità e di urgenza emanati dal Presidente e gli atti, anch’essi sotto forma di decreti, con i quali il Capo dell’esecutivo esegue la promulgazione parziale delle leggi. Al Jefe de Gabinete spetta anche il compito di sottoporre personalmente tali decreti, nei dieci giorni dalla loro approvazione, all’attenzione della Commissione Bicamerale Permanente (art. 100, II comma, punto 13, Cost.).

Per comprendere, invece, la sua relazione con i componenti dell’esecutivo basti affermare come la funzione di coordinare, preparare e convocare le riunioni del Gabinetto dei Ministri sia di sua spettanza e lo stesso consesso ministeriale verrà da lui presieduto in caso di assenza del Presidente (art. 100, II comma, punto 5, Cost.). Nella lettura del testo costituzionale risulta evidente come nell’intento della Convenzione riformatrice si cercasse di dare vita ad un organo che svolgesse un compito delicato di organizzazione delle relazioni intercorrenti tra i

soggetti dell’esecutivo (rapporto Jefe de Gabinete-Ministri), con compiti molto simili a quelli di un primus inter pares156.

Appare evidente inoltre anche il tipo di relazione configurato tra il Presidente della Nazione e il Capo di Gabinetto: al titolare del potere esecutivo permane in capo il comando del Governo ed è lui l’unico Capo supremo della Nazione, nonché il responsabile politico dell’amministrazione generale del Paese (art. 99, I comma, punto 1, Cost.). L’Jefe de Gabinete costituisce più una sorta di esecutore materiale delle decisioni che politicamente spettano solo al Presidente. In questo senso appare chiaro l’obbligo a cui sono sottoposti il Capo di Gabinetto e tutti gli altri Ministri di riferire al Presidente ogni informazione che quest’ultimo dovesse giudicare necessaria (art. 99, I comma, punto 18, Cost.).

Il punto, invece, meno chiaro è il rapporto che si instaura tra il Presidente e il Capo di Gabinetto in relazione alla responsabilità politica di cui il Capo di Gabinetto deve rispondere di fronte al Congresso. Tale punto costituisce indubbiamente l’originalità, ma, allo stesso tempo, l’ambiguità del modello creato. E’ il Presidente , infatti,, come già chiarito, a nominarlo e a rimuoverlo, e ciò a prescindere dai rapporti che si possono instaurare tra il Capo di Gabinetto e il Congresso (art. 99, I comma, punto 7, Cost.)157. Tale previsione, come sostenuto dai più, rischia di prestare il fianco ancora una volta a prese di posizione arbitrarie da parte del Presidente. Ricordiamo infatti che, per quanto lo stesso criterio di nomina e di rimozione valga per gli altri Ministri, il Capo di Gabinetto svolge una funzione differente alla quale avrebbe dovuto corrispondere una posizione maggiormente defilata del Presidente, che

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La presenza di Ministri in un sistema presidenziale costituisce, come già accennato, una caratteristica del tutto tipica del sistema istituzionale argentino, che lo devia dal modello americano. Infatti l’inserimento in un esecutivo unipersonale di una figura come quella ministeriale risulta indice della permeabilità di una costituzione che prescrive la forma di governo presidenziale a quelle costituzioni, vecchie e nuove, che hanno/avevano optato a favore di modelli parlamentari (in questo specifico caso l’influsso sulla Costituzione del 1853 fu francese). La presenza di Ministri del Governo avrebbe potuto costituire, ancora prima della previsione di un Capo di Gabinetto, un forte contrappeso nei confronti dell’altissima concentrazione di potere e del caudillismo dei Presidenti argentini. Basti pensare come l’art. 87, vecchio testo, Cost. stabilisse come ai Ministri spettasse controfirmare gli atti del Presidente, pena la loro inefficacia. Tuttavia di fatto i Ministri non ebbero mai grandi poteri, soprattutto non furono mai degli interlocutori istituzionali veri e propri non rappresentando formalmente nessun potere dello Stato. Sulla funzione per loro pensata dalla Costituzione del 1853 si cfr. J. N. MATIENZO, Temas Políticos y Históricos, Establecimiento Tipográfico "Kosmos", Buenos Aires, 1916, p. 95, il quale, tra l’altro, affermava come la presenza assidua dei Ministri presso le Camere facilitasse lo svolgimento della funzione legislativa e fungesse “da cuscinetto” nei rapporti tra l’esecutivo e il legislativo, ivi, p. 111.

Fornisce un’interpretazione del Jefe de Gabinete come primus inter pares C. F. HESSLEGRAVE, La opinión de la procuración del Tesoro de la Nación sobre la relación del Jefe de Gabinete de Ministros con los demás ministros del Poder Ejecutivo Nacional, in J. L. TOSI (E ALTRI), La jefatura de la Administración publica, La Ley, Buenos Aires, 2000, p. 22.

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A questo proposto ricordiamo la proposta di un componente della Convenzione costituente, on Estevez Boero. In particolare Boero riteneva più appropriato alle finalità perseguite dalla riforma riconoscere un maggior coinvolgimento della Camera dei Deputati, attraverso il conferimento ad essa del compito di approvare con votazione la designazione presidenziale del Capo di Gabinetto. Si veda la seduta del 1° agosto 1994, p. 2559, res. sten. consultabile su www.infoleg.gov.ar/constituciones (consultato l’8 giugno 2007).

al contrario in questo caso non rappresenta soltanto, come è doveroso in un sistema ancora formalmente presidenziale, il titolare della carica esecutiva, ma l’unico soggetto con il quale il Capo di Gabinetto “deve fare realmente i conti”. Pertanto quelle funzioni pensate allo scopo di fornire una maggiore garanzia nel funzionamento delle dinamiche istituzionali risultano di per se stesse frustrate nelle loro finalità, dato che chi è stato posto a coordinatore dei rapporti inter-istituzionali si trova di fatto ad essere alle strette dipendenze di una sola delle parti del rapporto esecutivo-legislativo, per volontà della quale può essere sollevato in ogni momento dall’incarico costituzionalmente assegnatogli, anche nel caso in cui il ruolo di garante configurato dal disposto costituzionale venga svolto in conformità ad esso158. La decisione di rimozione del Capo di Gabinetto infatti potrebbe essere presa dal Presidente come diretta conseguenza di comportamenti ritenuti non corrispondenti rispetto alle linee del programma di governo, quindi per motivi esclusivamente politici. Il ruolo di garante verrebbe perciò posto in pericolo.

Appaiono così attuali le preoccupazioni di chi, durante i lavori del Consejo para la Consolidación de la Democracia, fece notare come, se l’Jefe de Gabinete e i componenti del Gabinetto avessero assunto un ruolo secondario, non si sarebbe in alcun modo attenuata la personalizzazione del potere tipica del sistema politico argentino e non si sarebbe messo in azione il meccanismo pensato per rispondere alle situazioni di crisi, che spesso nella storia argentina sono sfociate in dittature commissariali. Nel Segundo Dictamen del Consejo, in particolare, si avvertì che, per godere dei vantaggi del sistema riformato, il popolo argentino avrebbe dovuto identificare il Governo, oltre che ovviamente nella figura del Presidente, nella figura istituzionale del Jefe de Gabinete, chiamato in quella sede «Primo Ministro» a ulteriore dimostrazione di come il modello pensato fosse più simile al modello semi-presidenziale, nonchè dei Ministri componenti il Gabinetto; essi inoltre non avrebbero dovuto essere in alcun modo posti alle strette dipendenze del Presidente, bensì collegati in modo diretto solo ed esclusivamente al Congresso159.

Il Capo di Gabinetto poi, nel divenire delle dinamiche politiche, potrebbe rappresentare un utile ponte di collegamento tra il Presidente e il Congresso anche nel senso di permettere l’edificazione di un dialogo costante e costruttivo tra il partito del Presidente, generalmente in

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Questa anomalia venne comunque sottolineata anche in sede di Convenzione costituente; c’ è chi, infatti, fece notare come dovesse essere il Congresso a nominare il Capo di Gabinetto (Auyero, pp. 2228- 2229, res. sten., seduta del 27 luglio 1994, consultabile su www.infoleg.gov.ar/constituciones); altri, invece, affermarono che la figura pensata non avesse nulla in comune con il Primo Ministro tipico dei sistemi parlamentari assomigliando piuttosto ad una sorta di Segretario generale della Presidenza (Cornet, ivi, p. 2257 ss. e Castello Odena, ivi, pp. 2288 ss.).

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posizione maggioritaria al Congresso, e l’opposizione. Si potrebbe così ravvisare nella figura del Capo di Gabinetto non solo un organo con funzioni di equilibrio tra poteri costituzionali, bensì anche un soggetto con un compito di mediazione politica160 tra i partiti operanti attivamente in sede di decisione politica.

In dottrina161, a questo proposito, non si è nemmeno esclusa l’ipotesi di un Jefe de Gabinete appartenente ad un partito politico differente rispetto a quello del Presidente. A seconda , infatti, che il Presidente goda della maggioranza al Congresso o meno, sono ipotizzabili molteplici scenari. E’ verosimile tuttavia che nelle ipotesi, peraltro generalmente più frequenti, di Presidenti rappresentanti e spesso a capo del partito di maggioranza al Congresso, l’Jefe de Gabinete si riduca ad una sorta di funzionario alle dipendenze della Presidenza. In questo caso un eventuale ruolo di mediatore tra il partito al Governo e l’opposizione congressuale potrà sì originarsi, ma non dipenderà solo dalla bravura e dalle propensioni del soggetto titolare della carica di Jefe de Gabinete, bensì anche, e sarà decisiva, dalla posizione favorevole del Presidente della Nazione. Nell’ipotesi invece di un Presidente che non ha, o smette di avere per cambio infra-mandato presidenziale, una netta maggioranza parlamentare, la scelta più rispondente alla ratio della riforma del 1994 andrebbe nel senso di una nomina a Capo di Gabinetto di un appartenente al partito che esprima in posizione dominante la nuova componente politica nel Congresso, così da creare una sorta di cohabitation alla francese che permetterebbe un lavoro di maggiore collaborazione tra l’esecutivo e il legislativo.

Ad ogni modo che di fatto questa evoluzione istituzionale non abbia avuto a distanza di tredici anni nessun riscontro a favore di una maggiore dispersione del potere esecutivo appare evidente anche dal fatto che le Camere al momento non hanno configurato, ciascuna all’interno del proprio Regolamento, i meccanismi procedurali necessari per l’approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del Jefe de Gabinete. La riforma sembrerebbe pertanto allo stato attuale non essere riuscita nel suo duplice intento: ovvero, da una parte, non ha risolto il problema della concentrazione del potere, dall’altra, consequenziale al primo, non è stata in grado di instillare negli organi più deboli, come il Congresso, la cultura del controllo interorganico. Tra i due il secondo effetto mancato appare il più grave, dal momento che, se il

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Ruolo totalmente rimesso alla volontà dei soggetti politici rientrando non nelle regole bensì nelle regolarità della politica.

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R. G. LAVEDRA, El Presidencialismo atenuado: el Jefe de Gabinete, in UNIVERSIDAD DE BUENOS AIRES. FACULTAD DE DERECHO Y CIENCIAS SOCIALES,La Constitucion argentina de nuestro tempo, La Facultad, Buenos Aires, 1998, pp. 79 e 85. Per quanto infatti l’autore sia piuttosto scettico sull’attenuazione del presidenzialismo, ritiene che gli scenari politici che si realizzeranno di volta in volta, a seconda delle contingenze elettorali, potranno permettere diverse valutazioni e diversi svolgimenti di questa carica istituzionale.

caudillismo costituisce una peculiarità, un male sicuramente, di tutti i presidenzialismi ibero- americani, al contrario la cultura del controllo in capo al Congresso dovrebbe rappresentare una sorta di punto fermo in ciascuna democrazia. Il non aver ancora predisposto gli strumenti atti a rimuovere l’unico esponente dell’esecutivo responsabile politicamente innanzi al Congresso costituisce un’anomalia, ancora più incomprensibile se si pensa che dal 1994 ad oggi episodi di grave squilibrio istituzionale ce ne sono state diversi, al punto da portare alle dimissioni di ben cinque Presidenti tra il 2001 ed il 2003 e alla previsione di incarichi ad interim in attesa del termine della crisi162.

Non si può evidentemente addebitare questa mancanza ancora una volta alla “cultura” imperante tra le istituzioni argentine e tanto meno a Presidenti tiranni ed usurpatori: siamo invero in presenza di una forte disfunzione dell’organo legislativo, che non appare in grado di svolgere neanche quei compiti di controllo formalmente riconosciutigli dalla Costituzione.

Con ciò non si vuole affermare che una maggiore attività per la preservazione della propria funzione di controllori avrebbe risolto i problemi di una forte concentrazione di potere nelle mani dell’esecutivo, la quale ha ottenuto man forte, come vedremo nel prossimo paragrafo, anche dall’accrescimento di una serie di poteri co-legislativi definitivamente riconosciuti dalla Costituzione nel 1994; tuttavia tale atteggiamento costituisce un forte indicatore di come il Congresso argentino non abbia ad oggi la percezione di sé come reale custode di valori democratici, con alcune conseguenze che si riverberano anche sulla tematica oggetto del nostro lavoro: il controllo della qualità della legge.

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A seguito, infatti, della crisi che ha colpito l’economia argentina sul finire del 2001 si sono dimessi nel giro di breve Fernando de la Rúa (21 dicembre 2001), Federico Ramón Puerta (23 dicembre 2001, interim in quanto Presidente del Senato), Adolfo Rodríguez Saá (31 dicembre 2001, interim), Eduardo Oscar Camaño (2 gennaio 2002, interim in quanto Presidente della Camera), Eduardo Alberto Duhalde (25 maggio 2003, interim).

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