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Voglia di riforme dal basso: lotta ai partiti della prima Repubblica e inizio della transizione a Costituzione invariata.

La forma di governo italiana e la forma di governo argentina: dalle origini alle recenti evoluzioni parzialmente incompiute

4. Voglia di riforme dal basso: lotta ai partiti della prima Repubblica e inizio della transizione a Costituzione invariata.

Da queste considerazioni emerge come il reale problema da superare fosse l’egemonia incontrastata dei partiti. Nonostante, infatti, cambiassero le dinamiche e i rapporti di forza all’interno delle componenti partitiche e nonostante le sostanziali modifiche nel corso degli anni ottanta ai Regolamenti del 1971 in senso maggioritario, i problemi di governi deboli e di tendenziale assemblearismo non vennero mai completamente eliminati.

Fu pertanto possibile raggiungere un radicale cambiamento, sebbene sulla carta, nella fisionomia delle istituzioni italiane solo a seguito dell’intervento di una delegittimazione dell’intera classe politica che aveva guidato il Paese a partire dal 1948: ciò avvenne nel corso della XI legislatura e trascinò con sé tutto quello che era stato fino a quel momento il sistema di governo e il funzionamento delle istituzioni.

A seguito di una spinta proveniente direttamente dalla società civile84 nel 1993 l’esperienza proporzionale in Italia lasciò il posto ad un nuovo meccanismo di scelta dei propri rappresentanti politici. Venne così introdotto un sistema maggioritario, con un correttivo in senso proporzionale a difesa delle piccole realtà partitiche85.

L’Italia, così negli intenti degli assertori di questo cambiamento, si sarebbe quindi lasciata alle spalle la democrazia consociativa della Prima Repubblica per transitare così verso «i lidi della democrazia maggioritaria»86.

Ciò è vero, ma è nella considerazione di che cosa si debba intendere per «transizione» che bisognerebbe restringere il campo. Può ritenersi un breve periodo di passaggio da una forma di governo ad un’altra? Quando, inoltre, si può ritenere conclusa questa fase? Si necessita inoltre di modifiche costituzionali87?

Apparentemente e logicamente la risposta a quest’ultimo quesito avrebbe dovuto essere in senso affermativo. Invece vari e vani sono stati i tentativi della classe politica di esercitare i

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Di crisi latente negli strati della società civile presente ben prima delle vicende giudiziarie che colpirono soprattutto la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista parla L. MORLINO, Crisi e mutamento del sistema partitico in Italia, in Quaderno n. 5 dell’Associazione per gli studi e le ricerche parlamentari, 1994, p. 108.

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Sull’evoluzione della forma di governo in Italia E. CHELI, La forma di governo italiana nella prospettiva

storica, in Rassegna parlamentare, 2/1998, pp. 287 ss..

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G. PITRUZZELLA, Forme di governo e trasformazioni della politica, Laterza, Roma- Bari, 1996, p. 14.

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Non ritiene necessarie grandi riforme, ma solo qualche piccolo ritocco della Costituzione che stabilizzi il bipolarismo V. CAIANIELLO, Una analisi alternativa della c.d. transizione repubblicana, in Rassegna

propri poteri di revisione costituzionale per rimodellare la Costituzione formale alle variazioni che il sistema partitico aveva subito.

Si ricordano le Commissioni Bicamerali per le riforme costituzionali istituite con legge costituzionale, rispettivamente nel 1993 e nel 1997, entrambe posizionate verso un superamento dell’assemblearismo e verso una stabilizzazione dei governi, che troppe volte nel corso della Prima Repubblica avevano ceduto ai ricatti del Parlamento.

Eppure, nonostante la durata e l’efficacia dello studio nelle sedi istituzionali di riforma, la mancanza di un reale clima di consenso pressoché unanime o se non altro di un atteggiamento collaborativo a fronte di un’operazione di maquillage così consistente, ha fatto sì che le singole operazioni riformistiche si concludessero in un sonoro tonfo.

Non si può d’altro canto addebitare il fallimento al modus operandi delle esperienze del 1993 e del 1997, dato che il recente tentativo di dare vita ad una revisione costituzionale, avvenuto nel pieno rispetto dell’art. 138 Cost. ha ottenuto esiti sostanzialmente identici, anche se la pronuncia contraria alla riforma in quest’ ultimo caso è provenuta direttamente dal corpo elettorale in sede di referendum.

Abbiamo comunque anticipato nelle premesse introduttive come il lavoro a cui si tende non abbia come obiettivo ricercare le cause a seguito delle quali le forze politiche non siano state in grado di rinnovarsi, sebbene ci sia consentito fin da ora addebitare molta parte di questo fallimento alla mancanza di un reale bipartitismo, l’unico strumento in grado di superare gli ostacoli posti soprattutto per mano delle minoranze. Per nulla al mondo, infatti, esse rinuncerebbero alla propria esistenza e alla forza che gli deriva proprio dallo sfruttamento di situazioni nella quali la loro presenza risulta indispensabile.

D’altro canto appare una scelta obbligata nel nostro lavoro quella di non staccarsi mai dalla cornice istituzionale e politica esistente, poiché solo dalla comprensione di essa risulta poi praticabile l’indicazione di possibili vie d’uscita a tutela dell’efficienza delle politiche legislative e dei sistemi di governo che tali politiche devono perseguire.

Fino a quando, infatti, non si assesteranno i rapporti di forza Parlamento-Governo non sarà possibile ridefinire quella nozione di «responsabilità politica» che appare sospesa in attesa di sviluppi futuri che presto o tardi dovranno arrivare, verosimilmente attraverso una nuova legge elettorale. Ciò che dimostrerebbe come sia sempre da una riassetto partitico che gli aneliti di riforma partono88.

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E’ proprio il sistema partitico che appare infatti poco disposto ad approvare l’introduzione di regole istituzionali che li possano danneggiare sul piano elettorale e ridurre il loro potere di coalizione o di ricatto. In

Le mete a cui dover aspirare non possono essere diverse da quelle generalmente a cui mira una moderna democrazia: la stabilità di governo e l’efficacia dell’azione governativa. Ciò naturalmente nel rispetto e nella tutela del Parlamento e delle opposizioni in Parlamento89.

Il Governo dovrà acquisire maggiore potere e dovrà essere svincolato il più possibile da lentezze procedurali, oltre che da resistenze politiche che vadano al di là della normale dialettica democratica90.

A parte qualche cambiamento comportamentale che la flessibilità della prassi costituzionale ha permesso, riscontriamo solo due “operazioni normative” che hanno agito nel tentativo di dare coerenza e definizione alla transizione in atto.

Entrambe risalgono al 1997 ed entrambe sono posizionabili al rango primario91. La prima di queste è la «riforma Bassanini» (l. n. 59/1997), che, oltre ad avere dato avvio ad una modifica della forma di stato in senso federale, ha permesso il ripensamento dell’organizzazione ministeriale e della struttura operante nella Presidenza del Consiglio (decreti legislativi nn. 300 e 303 del 1999) nel senso di un rafforzamento del Presidente del Consiglio, che appare perciò più simile ad un Premier, piuttosto che al classico primus inter pares92.

La riforma dei Regolamenti parlamentari, sia nelle modifiche del 1997 sia nelle modifiche del 1999, ha fatto, invece, da contraltare alla «Bassanini» che proveniva dal Governo. Pur essendo entrambe finalizzate a quella razionalizzazione della forma di governo parlamentare che 50 anni di vita politica non erano mai stati in grado di concretizzare, esse disciplinavano gli effetti della transizione l’una sull’assetto amministrativo, inteso sia nel senso lato sia nel

questo senso S. CECCANTI e S. VASSALLO in S. CECCANTI-S. VASSALLO (a cura di), Come chiudere la transizione, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 31.

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Sono così descritti gli obiettivi delle riforme, all’epoca ancora sub iudice, tentate dalla XIV legislatura da A. PANEBIANCO in S. CECCANTI-S. VASSALLO (a cura di), Come chiudere…, cit., pp. 10-11. Nonostante ciò viene denunciato un depotenziamento delle prerogative dell’opposizione, la quale non è stata «messa in condizione di assicurare una moderazione efficace alla tirannia della maggioranza», P. CIARLO, Governo forte versus Parlamento debole: ovvero del bilanciamento dei poteri, in AA.VV.,Annuario 2001: il Governo, cit., p. 204.

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I capi dell’esecutivo oramai non svolgono più un mero ruolo di mediazione, ma sono più frequentemente «leader attivisti», questo in quanto sono titolari di «governi a guida esplicita». Cfr. S. FABBRINI, Il principe

democratico. La leadership nelle democrazie contemporanee, Laterza, Roma-Bari, 1999, pp. 152..

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Per quanto riguarda l’organizzazione interna del Governo, in realtà, già nei primi anni novanta erano intervenute delle disposizioni interne all’amministrazione che avevano modellato in senso maggioritario la fisionomia degli apparati di Governo: così nel 1993 il Regolamento interno del Consiglio dei Ministri e nel 1994 la riorganizzazione del segretariato generale della Presidenza del Consiglio. Per un commento approfondito del Regolamento interno del Consiglio dei Ministri si rimanda a L. D’ANDREA-P. NICOSIA-A. RUGGERI,Prime note al regolamento del Consiglio dei ministri, in AA.VV., Scritti in onore di Alberto Predieri, Tomo I, cit., pp. 689 ss..

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Si può perciò constatare come la direzione verso la quale la nostra forma di governo sta andando è in senso «neoparlamentare», ovvero verso un modello di «governo del Primo ministro».

senso più restrittivo di compagine governativa e l’altra sul Parlamento, sebbene più sul suo modus operandi che nella sua soggettività93.

Che dall’operare di tali fonti normative si volesse ottenere un rafforzamento, almeno sulla carta, della capacità di indirizzo del Governo verso il Parlamento e una più incisiva presenza dell’esecutivo sui procedimenti legislativi è fuor di dubbio.

D’altro canto è piuttosto visibile come i governi della transizione abbiano fatto uso di strumenti di produzione del diritto, come la decretazione d’urgenza e la decretazione delegata94, in maniera piuttosto massiccia assumendo così un ruolo da protagonisti nelle dinamiche legislative. L’eccessivo carico derivante dalle pastoie procedurali della legislazione ordinaria95, fisiologiche in un bicameralismo perfetto, ha spesso portato ,infatti, questi governi maggioritari a ricercare una soluzione alternativa proprio tra le righe del testo costituzionale fornendo così nuova lettura in particolare dello strumento del decreto-legge

Lo spostamento quindi del luogo di formazione della delibera legislativa dalla sede parlamentare a quella governativa non è altro che la diretta traduzione di quel passaggio teorico da un sistema di governo assemblearista, nel quale si è concretizzato il principio della «centralità del Parlamento»96, ad un sistema maggioritario caratterizzato dal bipolarismo, ovvero dalla suddivisione delle forze partitiche in due poli97.

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Una delle principali critiche che vengono formulate nei confronti dei Regolamenti parlamentari novellati è di non avere recepito i reali cambiamenti della politica (per esempio nell’aver mantenuto la medesima disciplina dei gruppi parlamentari e nell’essere andati essi addirittura nel senso opposto ad un’instaurazione del bipartitismo - rectius bipolarismo - con la nuova configurazione del Gruppo Misto alla Camera, a testimonianza della permanenza di una forte frammentazione partitica).

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Pur non essendo oggetto di studio del nostro lavoro, un altro dato che emerge prepotentemente nei Governi maggioritari è l’ampio uso dei regolamenti di delegificazione. Con la stessa legge n. 59/1997, infatti, si dà avvio ad una stagione di delegificazioni per la semplificazione dei procedimenti amministrativi, oltre che per la disciplina dell’organizzazione ministeriale (art. 17, comma 4-bis, legge n. 400/1988). Infine, essa prevede un nuovo tipo di legge a cadenza annuale, la c.d. «legge di semplificazione», incaricata di «continuare l’opera di delegificazione per la semplificazione procedimentale e di realizzare un riordino normativo attraverso testi unici», L. GIANNITI-N. LUPO, Il governo in parlamento: la fuga verso la decretazione delegata non basta, in S. CECCANTI-S. VASSALLO (a cura di), Come chiudere…, cit., p. 236 e N. LUPO,Dalla legge al regolamento…cit., p. 175 ss..

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Pastoie procedurali che permangono nonostante l’avvenuto riconoscimento di una corsia preferenziale ai disegni di legge di provenienza governativa. Basti guardare al recentissimo scontro istituzionale tra il Presidente del Consiglio Romano Prodi e il Presidente della Camera dei Deputati Fausto Bertinotti, che ha reso necessario l’intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il quale ha richiamato Parlamento e Governo a lavorare di più richiedendo, in particolare, alle Camere di produrre più leggi evitando lungaggini procedurali inutili, si veda La Repubblica, 19 maggio 2007, pp. 2 e 3.

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Nel quale si governava dal Parlamento piuttosto che nel Parlamento, anche se governare dal Parlamento ha finito col significare nella pratica «“il governare dalle sedi extraparlamentari dei partiti” presenti in Parlamento». Cfr. S. FABBRINI, Rafforzamento e stabilità del governo, in S. CECCANTI-S. VASSALLO (a cura di), Come chiudere…cit., p. 215.

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A. BARBERA, Postfazione, in S. CECCANTI-S. VASSALLO, (a cura di), Come chiudere…, cit., pp. 373-374, ritiene che. la presenza di partiti situati alle estremità nelle coalizioni di governo abbia avviato un processo di «deradicalizzazione» del sistema politico.

C’è però un altro fattore, in questo caso esogeno, da considerare nell’analisi di questo fenomeno di trasferimento della sede di produzione normativa. Si tratta della complessità della società nella quale oggi noi viviamo e della consequenziale trasformazione della funzione e della natura della legge, che si presenta ora come uno strumento fortemente regolatore di tutte le pieghe della società.

Ciò ha reso imprescindibile il ricorso a strutture decisionali competenti anche su un piano tecnico. Ora, un Parlamento, per poter far fronte a queste richieste di regolazione tecniche e complesse avrebbe dovuto poter fare affidamento su di una struttura innanzitutto fortemente ricettiva delle istanze sociali, quindi avrebbe dovuto poter usufruire di un apparato conoscitivo degno di fare invidia al Congresso americano.

L’organo legislativo, in altri termini, avrebbe dovuto costruirsi una struttura di supporto nuova e funzionale all’accrescimento di una propria funzione di controllo, da intendersi non solamente nel senso ampio del termine, bensì declinabile direttamente nel procedimento legislativo. Una simile reazione gli avrebbe permesso di riguadagnare quel terreno che, per le ragioni ora analizzate, aveva conquistato il Governo a detrimento del Parlamento e che induce la dottrina a parlare del primo come di un «supernormatore»98.

Ma una pronta risposta del Parlamento ha tardato a venire, o comunque non è stata in grado di materializzarsi in scelte proporzionate al grande cambiamento in atto99, come si può notare anche dalla circostanza in base alla quale il Parlamento italiano è rimasto piuttosto legato alle contingenze politiche, oltre che dalle conclamate disapplicazioni degli strumenti dei Regolamenti parlamentari atti a rafforzare le procedure di controllo e di indagine100.

Il risultato è un incontrastato predominio del potere esecutivo nell’esercizio della funzione legislativa.

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P. CIARLO, ult. op. cit., p. 203.

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E’ vero però che ad alcuni cambiamenti il Parlamento non sarebbe riuscito comunque a reagire. Si pensi al nuovo ruolo svolto dal potere esecutivo in ambito comunitario nella fase ascendente di formazione delle norme comunitarie stesse, oppure all’esaltazione che gli deriva dall’essere il promotore del circuito delle conferenze Stato- regioni –enti. Ciò dimostra come importanti strutture decisionali e produttrici di norme risultino interamente collocate al di fuori del Parlamento, con un’ulteriore allontanamento dell’organo legislativo dalla sua funzione originaria e da quel mito della centralità del Parlamento che lo aveva ammantato lungo tutta la Prima Repubblica.

100

Denuncia una «obsolescenza del Parlamento come bilanciamento del potere governativo» P. CIARLO, ult. op.

5. Le modifiche regolamentari del 1997 e del 1999 e i riflessi sulla forma di governo:

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