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La difficile vita della democrazia tra governi di fatto ed economie al collasso.

La forma di governo italiana e la forma di governo argentina: dalle origini alle recenti evoluzioni parzialmente incompiute

8. La difficile vita della democrazia tra governi di fatto ed economie al collasso.

L’Argentina dell’ultimo secolo ha rappresentato un paese in perenne transizione democratica; i colpi di stato per mano delle forze armate si sono succeduti ad intermittenza, a partire dalla prima esperienza dittatoriale che risale al 1930.

La situazione politica appare oggi essersi assestata definitivamente, grazie al cammino verso il compimento della democratizzazione iniziato nel 1983, anno in cui si pose fine all’ultima cruenta dittatura, conosciuta come «el Proceso»: l’obiettivo di tale cammino risultava così essere il perseguimento di una stabilità duratura che avesse come reale limite la norma costituzionale. Si ricorda peraltro come il testo costituzionale, durante i governi di fatto, non sia stato mai formalmente sospeso138, sebbene la deroga ai principi costituzionali costituisca il dato più evidente di cui siamo in possesso.

Senza poter in questa sede approfondire le caratteristiche storiche delle esperienze che hanno condotto alla sospensione della Costituzione e dei diritti fondamentali in essa sanciti, il dato da rilevare è rappresentato dalla combinazione dei periodi di crisi vissuti dal paese ed il concetto di democrazia.

Abbiamo già infatti riflettuto sulle conseguenze negative del sistema iper-presidenzialista argentino e di come esso abbia rappresentato, insieme a crolli economici disastrosi, una delle principali cause dell’avvento di dittature «commissariali»139.

Nei quarantasei anni intercorsi tra il colpo di stato del 1930 e l’ascesa al potere della Giunta militare composta dai tre capi delle Forze Armate nel 1976, si contano ben quindici Presidenti di fatto che hanno preso in modo illegittimo il comando del Governo (undici singoli e quattro giunte militari). Il Congresso nazionale venne sciolto per sei volte (1930, 1943, 1955, 1962, 1966 e 1976), ovvero uno scioglimento ogni otto anni di funzionamento ordinario. In questo modo nessuno può dubitare come si sia impedito al potere legislativo di svolgere i compiti assegnatigli dalla Costituzione per oltre ventitrè anni e tanto meno si può

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L’assurdità del collegamento tra i colpi di Stato e il rispetto della Costituzione è piuttosto palese, tuttavia è la stessa giurisprudenza della Corte Suprema ad aver accolto questi regimi come ufficialmente non al di fuori della cornice costituzionale. Sul punto cfr. E. L. PALAZZO, Las fuentes del Derecho en el desconcierto de juristas y ciudadanos. Las fuentes del Derecho Constitucional en el cambio del milenio, en la República Argentina, presidencialista y federal, FECIC, Buenos Aires, 2004, p. 213.

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Per un approfondimento delle tematiche collegate agli stati emergenziali, soprattutto in America Latina, si rimanda a G. DE VERGOTTINI, Diritto costituzionale comparato, cit., p. 172 ss., p. 183 ss., nonchè p. 327 ss.; ID.(a cura di), Costituzione ed emergenza in America Latina, Giappichelli, Torino, 1997, passim; L. MEZZETTI,ult. op.

dubitare come le varie interruzioni dei governi costituzionali abbiano avuto un effetto involutivo nei confronti delle istituzioni repubblicane in Argentina140.

Data la connivenza tra la classe imprenditoriale e i golpisti possiamo affermare come nella società argentina la classe economica e la classe militare abbiano prevalso per molti anni sulla classe politica, che si sarebbe dovuta fare portatrice degli ideali della democrazia. La situazione è ben più grave se si pensa che la popolazione argentina si abituò all’idea che fosse possibile governare anche senza la presenza di un potere legislativo, con tutte le conseguenze che ne derivano per la nozione di «Stato di diritto» e di «imperio de la ley».

Per molto tempo, infatti, è mancata in Argentina una concezione dello Stato che potesse considerarsi realmente «Stato democratico di diritto», in primo luogo per la carenza di una reale tutela nei confronti delle libertà e delle garanzie politiche, quindi per l’assoluto disinteresse durante le dittature verso i diritti civili di tutta la popolazione. Inoltre, ma si crede di poter estendere questo elemento fattuale anche alle esperienze formalmente democratiche, è mancata la volontà di radicare nell’educazione civica del Paese la nozione di accountability, di responsabilità. Al dilagare della corruzione dei funzionari della pubblica amministrazione e della classe dirigente politica è spesso corrisposta una cittadinanza «a bassa intensità»141 e ciò in un duplice significato. Con questa espressione si attesta la presenza negli strati della società argentina sia di cittadini incuranti del rispetto della legge sia di cittadini poco inclini a far valere i propri diritti calpestati, che perciò testimoniano la poca fiducia verso le istituzioni e il potere giudiziario.

La brevità delle esperienze dei governi di fatto costituisce inoltre uno dei fattori in base ai quali non si può affermare che, pur in quadro di illegalità, tali governi abbiano realmente innovato la società in melius rialzandola, in particolare, dal disfacimento economico. Ad ogni ricostruzione della cornice istituzionale legale, infatti, i governi di diritto hanno dovuto affrontare le medesime difficoltà se non addirittura un aggravio di esse, data l’incapacità dei militari di affrontare quegli stessi problemi che paradossalmente gli avevano valso un qualche consenso della popolazione. L’Argentina ha, perciò, vissuto una situazione di perenne crisi sociale, oltre che economica, dal momento che per molti anni non le è risultato possibile instaurare una reale e continuativa politica governativa che avesse come obiettivo il risollevamento del Paese.

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A. PELLET LASTRA, El poder parlamentario. Su origen, apogéo y conflictos, Abeledo-Perrot, Buenos Aires, 1995, p. 184.

141

G. O’DONNELL, Acerca del Estado, la democratización y algunos problemas conceptuales. Una perspectiva latinoamericana con refererencia a países poscomunistas, in Contrapuntos. Ensayos escogidos sobre autoritarismo y democratización, Paidós, Buenos Aires, 1997, pp. 259-285.

Al concetto di crisi democratica proveniente dall’instaurarsi di «governi di fatto» si è aggiunto in questi ultimi anni anche un nuovo tipo di crisi, che, al pari delle esperienze della dittature, provoca una deroga, sebbene di minore entità, al principio di separazione dei poteri e alla garanzia dei diritti fondamentali: si tratta dell’emergenza, da intendersi soprattutto come emergenza economico-finanziaria142.

A seguito, infatti, di economie nazionali che periodicamente raggiungono livelli di crisi massimi, tra inflazioni alle stelle e dissoluzione dei risparmi di un’intera nazione, assistiamo a deleghe da parte del Congresso argentino al Governo che, di fatto, provocano una nuova concentrazione di potere in capo a quest’ultimo, con, ancora una volta, uno stravolgimento della gerarchia delle fonti del diritto. La legge di provenienza del Congresso finisce con l’essere solo una delle possibilità di regolamentazione della vita di un paese, e di certo non la principale.

Viene così a crearsi una sorta di paese reale staccato dal paese legale, condizione assai pericolosa per una nazione come l’Argentina e per la sua ritrovata democrazia, dalle radici, allo stato attuale, ancora troppo poco solide.

La nuova riforma costituzionale del 1994 ha oltretutto fornito ulteriori strumenti al potere esecutivo per sostenere con fonti equiparate alla legge le situazioni di necessità e di urgenza.

Le preoccupazioni nei confronti di una formale abdicazione da parte del Congresso del proprio ruolo di produzione del diritto non possono perciò far altro che aumentare.

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Ricordiamo come nella Costituzione argentina l’unico riferimento all’emergenza è nell’art. 23, dove si fa riferimento allo «stato d’assedio» e allo «stato di guerra». Si dice, infatti, che di fronte a tali situazioni di messa in pericolo della costituzione e dei poteri costituiti, si conferisce la facoltà di dichiarare lo «stato di eccezione», durante il quale al Presidente della Nazione viene conferito il potere di arrestare o trasferire delle persone senza intervento dell’autorità giurisdizionale, sempre che queste persone non preferiscano uscire dal territorio argentino. Si denota qui l’anacronismo di una simile previsione che è rimasta inalterata, pur essendo intervenuta la riforma costituzionale del 1994. La dichiarazione dello stato di emergenza economica, approvata a seguito della grave crisi economica e finanziaria che ha colpito la Nazione argentina sul finire del 2001 (si tratta della legge n. 25.344) non ha nulla a che vedere con l’art. 23 cost. e pertanto non trae da essa la sua legittimità. In generale si rimanda a A. M. HERNÁNDEZ, Las emergencias y la afectación del orden constitucional y de los derechos, in S. ALBANESE-A. DALLA VIA-R. GARGARELLA-A H HERNÁNDEZ-D. SABSAY, Derecho constitucional, Editorial Universidad, 2004, p. 319 ss..

9. Il ritorno della democrazia nel 1983 e i lavori preparatori della futura riforma

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