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La parziale inattuazione di una riforma, nata e (poco) cresciuta nella emergenza.

La forma di governo italiana e la forma di governo argentina: dalle origini alle recenti evoluzioni parzialmente incompiute

11. La parziale inattuazione di una riforma, nata e (poco) cresciuta nella emergenza.

E’ interessante notare come l’emergenza sia andata a relazionarsi con la riforma costituzionale del 1994, decretandone anche il momentaneo insuccesso.

Con tale affermazione non si vuole in alcun modo sostenere che l’emergenza sia stata l’unica causa della parziale inattuazione della riforma del 1994: abbiamo già fatto riferimento all’incapacità mostrata da parte del potere legislativo, che ha nel frattempo tenuto comportamenti assolutamente privi di una qualche volontà di reagire all’eccessivo potere posto nelle mani del Presidente, nonostante le nuove norme costituzionali lasciassero al Congresso maggiori spazi di manovra, soprattutto per quanto riguarda l’uso della funzione del controllo.

Tuttavia è per la maggior parte l’emergenza economica del 2001 ad aver impedito alla riforma di concretizzarsi compromettendo , infatti, la normalità necessaria per l’avvio delle procedure attuative. Ciò è valso in particolare per la figura del Jefe de Gabinete: il suo compito, nella realtà dei fatti, è stato stravolto rispetto a ciò che si poteva, anche piuttosto ottimisticamente, evincere dalla lettura delle norme costituzionali.

Su questo punto torneremo subito, ma non prima di aver sottolineato l’anomalia in cui è incorsa l’Argentina: uno dei motivi della riforma era consistito , infatti, nel mettere dei paletti all’uso e all’abuso dell’emergenza, non rispettata in nessuno dei parametri che la giurisprudenza aveva fino a quel momento posto a presidio dello Stato di diritto163. In particolare, in molte occasioni, la Corte Suprema si era trovata a ricavare dal testo costituzionale i limiti agli stati emergenziali più o meno motivatamente dichiarati: si richiedeva così il rispetto del principio di legalità sancito dagli articoli 14 e 19 della Costituzione; il rispetto del principio di ragionevolezza , da intendersi sia nel senso che le leggi giustificate dall’emergenza aventi ad oggetto i principi, le garanzie e i diritti previsti in Costituzione non avrebbero potuto in alcun modo provocarne una loro alterazione (il riferimento è all’art. 28 della Costituzione), sia nel senso che tali leggi avrebbero dovuto risultare adeguate e proporzionate rispetto allo stato di crisi che aveva condotto alla predisposizione della normativa; nonché, da ultimo, il rispetto del carattere di transitorietà

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E’ infatti ineliminabile la considerazione in base alla quale lo Stato di diritto costituisce la cornice giuridica per la regolazione dello Stato di emergenza, la quale a sua volta è essa stessa un elemento indispensabile dello Stato di diritto, atto a preservare e difendere l’ordine costituzionale; si cfr. T. HUTCHINSON, La emergencia y el

della disciplina164. In questa ottica si intendeva rafforzare il principio di sicurezza giuridica come valore superiore.

Come in altre realtà, anche in Argentina l’emergenza aveva infatti provocato un’alterazione della forma di esercizio del potere, e ciò a prescindere dall’avallo o meno del Congresso, il quale poteva aversi nel caso in cui fosse stato direttamente il Congresso a delegare a favore dell’esecutivo i poteri tipici della funzione legislativa; vi erano tuttavia anche numerosi casi in cui il Presidente predisponeva ed emanava decreti di necessità e di urgenza, senza nessuna autorizzazione, né in via preventiva né con finalità di convalida, dei testi normativi così sorti. Tali funzioni di carattere legislativo venivano inoltre esercitate dall’esecutivo in assenza di un disposto costituzionale in cui poter riscontrare un qualche riferimento, più o meno esplicito, a tale facoltà.

Vi è da precisare come sul finire degli anni ottanta del secolo scorso il Congresso fu costretto, di fronte ad alcune situazioni di forte crisi, a dichiarare lo stato di emergenza. Lo fece nell’agosto del 1989 con la legge n. 23.696 (Ley de Emergencia Administrativa) nella quale venne dichiarato lo stato di crisi che in particolare colpiva l’erogazione delle prestazioni da parte dei servizi pubblici e la situazione economico-finanziaria in cui versava l’amministrazione pubblica nazionale centrale e decentrata e a seguito del quale si volle avviare una cospicua opera di privatizzazione dei servizi pubblici; è di poco più di un mese successiva la legge (legge n. 23.697-Ley de Emergencia Economica) che ancora una volta dichiarò la sussistenza di una situazione d’emergenza e perciò la sospensione di alcuni diritti sociali, sempre per la presenza di un grave pericolo collettivo derivante da una precaria situazione economica e sociale vissuta nel Paese. Tra i diritti di cui i cittadini godevano che sono stati così sospesi in nome della crisi nella normativa da ultimo citata vi sono le erogazioni di sussidi e di sovvenzioni di spettanza dello Stato.

Le due leggi del 1989 in realtà presentano in molte parti del proprio disposto delle aperture a vantaggio di scambi tra gli organi costituzionali in nome della preservazione dello Stato di diritto e così anche del principio della separazione dei poteri. Infatti, attraverso queste dichiarazioni di emergenza, il Congresso delegava l’esecutivo a prendere ogni provvedimento che risultasse necessario al fine di porre rimedio alla situazione interessata dalla crisi165, ma

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Si ricordano, in particolare, due sentenze della Corte Suprema, entrambe del 15 maggio 1959: sentenza “Nadur”, Fallos 243:449 e sentenza “Russo”, Fallos 243:467 nelle quali si stabilivano i seguenti requisiti di costituzionalità per le legislazioni di emergenza: a) l’effettiva esistenza di una situazione di emergenza così definita con legge del Congresso; b) il perseguimento di un fine pubblico; c) la transitorietà delle misure adottate; d) la ragionevolezza, ovvero l’adeguamento del mezzo impiegato al fine pubblico perseguito.

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Denuncia come nelle due leggi vi sia stata, più che una delega di poteri legislativi in capo al potere esecutivo, un vero e proprio trasferimento della funzione legislativa, che spetterebbe in via esclusiva al Congresso, in

con dei limiti sia di carattere contenutistico sia di carattere temporale. In particolare si affermavano generici obblighi di informazione gravanti sull’esecutivo nei confronti del Congresso e in entrambi i casi si ipotizzava la creazione nell’ambito del Congresso di una Commissione bicamerale166 alla quale sarebbe spettato lo svolgimento di un’attività di coordinamento continuo tra il Congresso e il potere esecutivo, nonché uno specifico dovere di informazione in merito al processo di esecuzione delle disposizioni della legge di emergenza da ottemperare nei confronti dei due rami dell’organo legislativo. Alla Commissione bicamerale spettava il compito di verificare se l’esecuzione della legge d’emergenza avveniva in modo conforme rispetto alle disposizioni di legge.

Molto importante, anche per quanto si cercherà di approfondire meglio più avanti in tema di controllo della qualità della legge, appare la disposizione, presente in entrambe le dichiarazioni legislative di emergenza, che ha previsto un obbligo continuo di informazione da parte dell’esecutivo nei confronti di questa Commissione bicamerale, con la produzione della documentazione corrispondente. La stessa commissione poteva inoltre richiedere informazioni e fare osservazioni o esprimere pareri. Si creava, per così dire, un organo di controllo in seno al Congresso il cui compito precipuo consisteva nel verificare il rispetto del principio di legalità, oltre che la transitorietà del regime normativo d’eccezione e questa creazione avveniva direttamente per mano della legge in cui si delegava l’esecutivo ad intervenire per fronteggiare, anche attraverso norme giuridiche, una situazione di crisi.

Nonostante l’emergenza perciò l’idea di evitare concentrazioni di potere sostanzialmente incostituzionali, a causa del mancato inserimento di possibili soggetti a freno di un’attività statale che tocchi direttamente i diritti fondamentali, ha condotto il Congresso a ragionare su opportuni rimedi, in particolare contro situazioni attestanti un’eccessiva asimmetria informativa tra i due poteri costituzionali. Diamo per scontato in questa analisi come, nonostante l’assenza di una previsione in Costituzione in merito all’emergenza, essa abbia ottenuto un suo riconoscimento, sia nelle sedi giurisprudenziali che nella sedi dottrinali, proprio per la sua finalità di preservare lo Stato costituzionale.

Da quanto si è affermato è evidente come l’emergenza abbia giocato in generale un ruolo importante negli avvicendamenti politici, economici e sociali del Paese, con una serie di quanto così sancito dalla costituzione, M. A. EKMEKDJIAN, El instituto de la emergencia y la delegación de poderes en las leyes de reforma del Estrado y de emergencia economica, in Revista Jurídica argentina la ley, T. 1990-A, p. 1126.Vedi in questo senso anche C.S. NINO, Un País al Margen de la Ley. Estudio de la anomia como

componente del subdesarrollo argentino, Emecè, Buenos Aires, 1992, p. 71, il quale vede in particolare nella legge di emergenza economica una delle cause che hanno provocato in Argentina un’anomia generalizzata (concetto sul quale si ritronerà nel prosieguo dell’analisi).

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In entrambi i casi si prevedeva che le Commissioni fossero composte da sei deputati e da sei senatori, scelti dalle rispettive assemblee (rispettivamente art. 14, I comma legge n. 23.696 e art. 88, I comma legge n. 23.697).

conseguenze che vanno dalla messa in pericolo del principio di sicurezza giuridica alla estromissione del Congresso dall’esercizio della funzione legislativa. Danni, quindi, alla forma di stato e alla forma di governo presenti in Argentina.

Per questo motivo quando ci si riferisce alla nascita della riforma costituzionale nella emergenza si vuole attestare proprio la particolare attenzione posta dai componenti la Convenzione costituente alla problematica de qua. Difatti il riconoscimento della facoltà in capo all’organo esecutivo di emanare decreti di necessità ed urgenza (art. 99, III comma, Cost.) piuttosto che di fare uso di poteri legislativi delegati dal Congresso in caso di «emergenza pubblica» (art. 76 Cost.) nacque dalla necessità di dare copertura costituzionale ad una prassi che, in nome dell’emergenza e della necessità, aveva condotto ad una erosione dei principi costituzionali della legalità e della divisione dei poteri. Si voleva così formalizzare un potere che la giurisprudenza aveva oramai da tempo riconosciuto167. La previsione in Costituzione, vincolata al rispetto di stringenti requisiti e subordinata ad alcuni passaggi necessari per la validità degli atti emergenziali, avrebbe dovuto perciò contribuire ad un ripristino della separazione dei poteri, in particolare mediante la consacrazione del ruolo del Congresso come di colui che è posto a controllo del rispetto dei vincoli contenutistici espressi dallo stesso testo costituzionale.

Si è quindi ritenuto non sufficiente mantenere come unico organo di verifica del principio di legalità l’apparato giurisdizionale, il quale non solo non è stato in grado di fermare gli abusi del Presidente, ma ha dimostrato anche poca fermezza nella propria giurisprudenza portando solo in pochi casi all’assunzione di una posizione di condanna verso il potere legislativo esercitato in nome dell’emergenza dal Governo in modo pressoché ingiustificato.

Si segnala come questo riconoscimento costituzionale non sia stato, in sede di riforma, interpretato da tutti come un ulteriore passo verso l’attenuazione dell’iper-presidenzialismo.

La nostra opinione si distacca dalle perplessità circa lo scopo effettivo della formalizzazione di poteri legislativi a capo dell’esecutivo; e ciò non tanto nella consapevolezza che l’assegnazione di potestà ampliate al Presidente non abbia avuto finalità di allargamento e di rafforzamento del versante governativo. Si ritiene , infatti, che la presenza di un esecutivo forte ed imperante costituisca una caratteristica piuttosto radicata nel sistema istituzionale argentino, che difficilmente verrà scardinata. Le ragioni per cui si

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E’ peraltro noto come la giurisprudenza della Corte Suprema non sempre si sia mantenuta lineare nell’atteggiamento da tenere di fronte ai poteri legislativi del Presidente sorti per ragioni di necessità ed urgenza. In certe pronunce, infatti, i limiti che la giurisprudenza aveva enucleato dal testo costituzionale e aveva posto all’esecutivo e, in particolare, alla sua attività di emanazione dei decreti di necessità e di urgenza, sono stati dalla stessa superati o disattesi.

appoggia tale riconoscimento risiedono in realtà nella convinzione che, in via di prassi, si sarebbe comunque continuato ad emanare i decreti di necessità e di urgenza esattamente come i decreti delegati in nome della pubblica emergenza. La riforma ha avuto così il merito di riavvicinare la Costituzione materiale a quella formale. Non solo: essa ha avuto almeno due altri meriti importanti. Il primo di essi è indiscutibilmente rappresentato dalla volontà di superare quella logica di rottura della Costituzione che, soprattutto negli ultimi decenni, aveva rappresentato la forma abituale di agire delle istituzioni politiche. La formalizzazione di tali pratiche permetterà ora di identificare sempre l’inquadramento al quale riportare di volta in volta la fonte necessitata. E’ tuttavia criticabile la scelta dei revisori costituzionali di aver formalmente posto, in entrambi i casi, un divieto generale all’uso di detti strumenti, seguito tuttavia dalla previsione di un’eccezione, che rischia così di ridurre la credibilità del portato prescrittivo in capo al divieto. Infatti l’art. 99, III comma, Cost. stabilisce: «[i]l potere esecutivo non potrà in nessun caso a pena di nullità assoluta ed insanabile, emettere disposizioni di carattere legislativo. Solamente quando circostanze eccezionali renderanno impossibile seguire il procedimento ordinario…potrà emanare decreti per ragioni di necessità e di urgenza….» (grassetto aggiunto); l’art. 76 Cost. segue la stessa logica: «[s]i proibisce la delegazione legislativa a favore del potere esecutivo, salvo in determinate materie amministrative o in caso di emergenza pubblica…». Il secondo merito importante della riforma del 1994 consiste nell’aver posto l’accento sulla necessaria interazione dinamica tra le istituzioni politiche. L’aver, infatti, ipotizzato un momento necessario di verifica della rispondenza delle norme dettate nell’emergenza e, soprattutto, l’aver incaricato il Congresso di tale compito fa trasparire le virtù insite in tale riforma.

Il paradosso è che è stata proprio una situazione di emergenza a fare capitolare i buoni intenti della riforma, circostanza che si aggiunge al fatto che il Congresso, nell’ultimo decennio, non ha operato in modo sufficiente al fine di dotarsi dei necessari strumenti di verifica e di controllo, sia in relazione alla delega di facoltà legislative a favore dell’esecutivo sia in relazione all’atto di emananazione dei decreti presidenziali di necessità e di urgenza. Come già si è sottolineato questi strumenti, che avrebbero dovuto funzionare in situazioni di emergenza, non sono stati poi, all’atto pratico di realizzazione, sufficientemente dotati delle garanzie pensate dai revisori costituzionali. E’ mancata, infatti, una reazione da parte del Congresso a presidio del dettato costituzionale, il quale è parso non consapevole del proprio ruolo di freno nei confronti degli eccessi dell’esecutivo in una situazione di emergenza. Vi è invero l’anomalia di continui prolungamenti di situazioni emergenziali che hanno ormai

raggiunto la “soglia della normalità”, ma tale dato dovrebbe rafforzare l’idea della neccessità che in uno Stato costituzionale ci si munisca di una serie di pesi e contrappesi.

Basti pensare alla legge che ha dichiarato l’emergenza pubblica in matera sociale, economica, amministrativa, finanziaria e cambiaria che risale al gennaio del 2002 e che è, per tutta una serie di proroghe, a tutt’oggi in vigore (legge n. 25.561)168 e che delega al potere esecutivo, tra gli altri, il compito di riordinare il sistema finanziario, bancario ed il mercato dei cambi; di riattivare il funzionamento dell’economia; di creare le condizioni per una crescita economcia sostenibile e compatibile con l’estinzione del debito pubblico, e così via. E’ vero che, come con leggi emergenziali del 1989, così anche in questo caso sono stati pensati meccanismi di controllo e di verifica dell’esecuzione della delega legislativa. L’articolo 20 della presente legge , infatti, stabilisce che si crei una Commissione Bicamerale, denominata «Comisión Bicameral de Seguimiento», con la funzione di controllare, verificare ed esprimere pareri su quanto emanato dal potere esecutivo. I pareri sono quindi posti a conoscenza del plenum della Camere. La Commissione risulta composta da sei deputati e sei senatori, in numero proporzionale rispetto al gruppo parlamentare di appartenenza. Dato molto importante ai fini garantistici del resto immanenti la norma ivi considerata è la provenienza del Presidente della Commissione. Egli dovrà essere designato su proposta del gruppo di opposizione con il maggior numero di membri nel Congresso169.

Tornando agli intenti della revisione costituzionale del 1994, tuttavia, se la chiave di lettura della riforma consisteva nella voglia di superare, se non le cause, le ricadute negative che le emergenze arrecavano di volta in volta sul sistema, è stata la stessa emergenza a bloccare momentaneamente il funzionamento delle istituzioni atte a preservare l’ordine costituzionale dimostrando, ancora una volta, la difficoltà dell’Argentina di dare seguito al disposto costituzionale.

A dimostrazione inoltre dell’atteggiamento lassista del Congresso è la vicenda che ci serve anche per comprendere come la figura del Jefe de Gabinete non stia ancora operando nella direzione impressa nel 1994. Tale carica, , infatti,, non solo non sta svolgendo un reale ruolo di garanzia e di mediazione politica tra il Presidente ed il Congresso, ma anche, in nome dell’emergenza economica, si è vista potenziare notevolmente il proprio ruolo in modo

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L’ultima proroga è avvenuta il 12 dicembre 2007 ed è della durata di un anno (con più precisione fino al 31 dicembre del 2008).

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Con l’istituzione della Commissione Bicamerale Permanente, la quale ha tra le sue funzioni anche quella di controllare i decreti delegati (si veda l’art. 100, II comma, punto 12, cost.), la Comisión Bicameral de Seguimiento è risultata sostanzialmente esautorata del proprio potere (si veda in particolare l’articolo 27 della legge istitutiva della Commissione Bicamerale Permanente – legge n. 26.122).

distorto rispetto agli intenti dei revisori costituzionali170. In virtù delle competenze spettanti al Jefe de Gabinete in materia di bilancio previste nell’art.100, II comma, punto 7, Cost. (è di sua competenza la riscossione dei tributi nazionali e la esecuzione della legge di bilancio) sin dalla presidenza Menem sono stati inseriti, in sede congressuale, nelle leggi annuali di bilancio alcuni articoli, che conferivano alcuni poteri straordinari, non tanto al Presidente, quanto piuttosto ad un suo Ministro171, l’Jefe de Gabinete per l’appunto. Tali poteri sono stati così politicamente rinominati «superpoderes» per sottolineare come la presente delega fornisse al Capo di Gabinetto poteri che andavano ben oltre le previsioni costituzionali relative all’organo de quo. La delegazione (in questo caso permenente) è intervenuta infine con una legge ad hoc: la legge n. 26.124, promulgata nell’agosto del 2006. In particolare con questa legge si è autorizzato il Capo di Gabinetto ad apportare modifiche al bilancio, rispettando chiaramente il tetto massimo delle uscite previste dal Congresso, e ciò senza necessitare di un intervento di quest’ultimo. La previsione, approvata dal Congresso, che ha permesso al Jefe de Gabinete di modificare le voci di bilancio con atto unilaterale, è stata accusata di essere incostituzionale, in quanto contraria al principio di legalità previsto in Costituzione, andando in particolare contro, abrogandola espressamente, la legge di amministrazione finanziaria del 1992 (legge n. 24.156-Ley de Administracion Financiera y de los sistemas de control del sector publico nacional) ovvero la legge che ha consentito all’Argentina di avere annualmente una propria legge di bilancio.

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Non si tratta dell’unico caso di conferimento di superpoderes (vedi infra) che il Congresso ha predisposto a favore dell’esecutivo. Si ricorda la legge n. 25.414, con la quale si delegava l’esecutivo a svolgere facoltà legislative giustificate dall’emergenza pubblica. Si cfr. E. A. IBARLUCÍA, De los “superpoderes” a una delegacion legislativa “mas razonable”, in Revista Juridica Argentina La ley, T. 2001-C, p. 1396 ss; tuttavia l’A. ritiene che nel caso della legge n. 25.414, all’interno del procedimento di formazione della legge, vi sia stata una contrattazione con i banchi dell’opposizione tale che alla fine abbia prevalso la conformità al modello previsto in costituzione dall’art. 76, ovvero il rispetto dei vincoli contenutistici (la delega in materie amministrative determinate o di emergenza pubblica; il periodo entro e non oltre il quale poter delegare prestabilito; ed infine la fissazione delle basi di delegazione – quelli che noi chiameremmo «i principi e i criteri direttivi» – stabilite dal Congresso). Pertanto ritiene fuori luogo, almeno in quel frangente, l’utilizzo dell’espressione “superpoderes”.

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L’articolo 76 della Costituzione fa, infatti, riferimento alla possibilità che il Congresso eserciti il potere di delegazione legislativa, ma il disposto fa unicamente un generico riferimento al «Potere Esecutivo», come organo delegato. Da ciò se ne dovrebbe evincere una delega rivolta al Presidente. Ciò anche sulla base dell’art. 100, II comma, punto 2, Cost., che stabilisce come il Capo di Gabinetto «emett[a] tutti gli atti e i regolamenti che sono necessari per l’esercizio delle facoltà che gli attribuisce questo articolo e di ogni facoltà che gli deleghi il

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