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CAPITOLO II – I CARATTERI DEL METODO MAFIOSO

6. L’aggravante del metodo mafioso ai sensi dell’art 416 bis

6.1. La definizione normativa del metodo mafioso ai sensi dell’art 7 d.l 152/

Come detto l’art. 416 bis1 del codice penale definisce il metodo mafioso rilevante ai fini dell’aggravante di portata generale attraverso un generico richiamo alle “condizioni previste dall’art. 416 bis c.p., secondo cui un qualsiasi reato è dunque

231 G.CIVELLO, Il sistema delle circostanze ed il complessivo carico sanzionatorio detentivo, in Le associazioni di tipo mafioso, a cura di B. ROMANO, Torino, 2015, 180;

232 E.BIRRITTERI, Il concorso tra associazione a delinquere di stampo mafioso e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti: alla ricerca di una razionale repressione del fenomeno,

www.dirittopenalecontemporaneo.it , 2018, 10; una possibile violazione del ne bis in idem in senso sostanziale si rinviene in alcune decisioni delle Suprema Corte, con cui sono state avvalorate interpretazioni volte a configurare non solo un concorso formale di reati tra l’associazione mafiosa e il delitto associativo all’art. 74 del d.P.R. 309/1990 finalizzato al traffico di stupefacenti (facendo leva per un verso su un rapporto di specialità tra le due norme evidenziato dall’elemento del metodo mafioso e per altro verso su una parziale diversità dei beni giuridici tutelati, giacché il delitto ex art. 74 non presidia l’ordine pubblico quanto l’interesse alla salute individuale e collettiva, lesa dalla circolazione di sostanze psicotrope), ma anche a ritenere integrata l’ulteriore aggravante di cui all’art. 416 bis 1, comma 1 nel caso in cui nella gestione del traffico di stupefacenti i partecipi si siano avvalsi delle condizioni di cui all’art. 416 bis; in tal modo, non considerando dunque la circostanza aggravante oggettiva assorbita nel delitto associativo da ultimo menzionato, si finirebbe per irrogare una duplice sanzione scindendo la stessa (ed unitaria) condotta tipica in due parti: da un lato l’avvalimento del metodo mafioso (da cui scaturirebbe la contestazione ex art. 416 bis), d’altro lato il fatto tipico associativo (da cui discenderebbe la contestazione dell’aggravante), incoraggiando però una violazione del ne bis in idem sostanziale;

233 C.DE ROBBIO, La c.d. “Aggravante mafiosa”: circostanza prevista dall’art. 7 del d.l. 152 del 1991, in Giurisprudenza di merito, 2013, 1616; secondo l’Autore, la cui opinione è piuttosto isolata

in dottrina ma condivisa in alcune pronunce della Cassazione, avrebbe natura oggettiva giacchè riguarderebbe una modalità dell’azione rivolta ad agevolare un’associazione mafiosa e si trasmetterebbe a tutti i concorrenti del reato;

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considerato più grave se commesso avvalendosi della “capacità di piegare ai propri

fini la volontà di quanti vengono a contatto con l’agente”235: un’interpretazione

strettamente ancorata alla lettera della legge potrebbe tuttavia condurre alla paradossale conseguenza di individuare tali condizione nell’assoggettamento e nell’omertà senza considerare la forza di intimidazione derivante dal vincolo. Risulta agevole obiettare che questi due elementi rilevano in quanto eziologicamente connessi al fenomeno intimidatorio e dunque sarebbe improprio ridurre il metodo mafioso ad un mero sfruttamento di condizioni originate e

consolidatesi indipendentemente dalla forza di intimidazione236.

Pur dovendo ravvisare una coincidenza testuale tra la disposizione che incrimina l’associazione mafiosa e la norma inerente all’aggravante, esse devono porsi su due piani diversi: la fattispecie incriminatrice infatti descrive l’apparato strumentale, o per così dire un modo di essere del fenomeno mafioso, la cui attività a sfondo intimidatorio non deve necessariamente ripetersi in tutte le fasi della vita del sodalizio; viceversa l’aggravante definisce una modalità della condotta rilevante in un specifico episodio delittuoso. Su tale premessa si fonda quella parte della dottrina che sostiene non doversi configurare la circostanza di cui all’art. 416 bis 1 ogniqualvolta ci si riferisca ai casi di c.d. “minaccia implicita”, cioè ai casi di estorsione perpetrata in modo velato e approfittando delle condizioni ambientali in

cui opera, dovendosi provare un’effettiva condotta di stampo intimidatorio237; si fa

esplicito riferimento in particolare all’ “estorsione ambientale mafiosa”, intesa

235 Cass. Pen., sez. I, 16 maggio 2011, n. 25242;

236 G.DE VERO, La circostanza aggravante del metodo e del fine di agevolazione mafiosi: profili sostanziali e processuali, cit., 42;

237 G.CIVELLO, Il sistema delle circostanze ed il complessivo carico sanzionatorio detentivo, in Le associazioni di tipo mafioso, cit., 180; in senso contrario, A. APOLLONIO, Il metodo mafioso nello

spazio transfrontaliero. Il problema dei rapporti tra l'aggravante di cui all'art. 7 d.l.152/1991 e quella della transnazionalità (art. 4 L. 146/2006), www.dirittopenalecontemporaneo.it , 2018, 11; invero parte della dottrina considera la condotta minacciosa velata, tipicamente mafiosa, rientrante nell’alveo applicativo dell’aggravante in questione soprattutto con riferimento all’“estorsione ambientale”, cioè quella condotta estorsiva perpetrata in zone contrassegnate da un’alta densità mafiosa e che riesce ad inquadrarsi dogmaticamente “avuto riguardo alle circostanze ambientali (viene fatto l’esempio, nella specie, di un esponente mafioso la cui visita “insolita” in un locale misteriosamente danneggiato poche ore prima costituisce una condotta intimidatoria e chiaramente percepibile in quel contesto sociale). Di conseguenza la contestazione dell’art. 629 c.p., quando resa in zone territoriali in cui il fenomeno mafioso è ben radicato, deve essere accompagnata dalla contestazione dell’aggravante di cui all’art. 416 bis 1 affinché possa essere messo a fuoco l’elemento costitutivo della minaccia. Per cui, secondo tale dottrina, delle due l’una: o l’estorsione si affianca alla circostanza aggravante del metodo mafioso altrimenti non può ritenersi integrata mancando l’elemento costitutivo della minaccia.

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quale forma di condotta estortiva, attuata prevalentemente con linguaggio e gesti criptici ma immediatamente percepibili dalle vittime, in grado di incutere timore in quanto perpetrata da soggetti notoriamente inseriti in gruppi mafiosi che godono di notevole prestigio criminale e che tradizionalmente esercitano un predominio in un

determinato territorio238.

La giurisprudenza invece propende per la rilevanza anche di manifestazioni di assoggettamento indiretto ed implicito, sovrapponendo una corrispondenza anche

concettuale a quella letterale tra le due disposizioni in questione239: in altri termini,

essendo necessaria la riproposizione delle caratteristiche strutturali dell’agire, non

è necessario che l’agente commetta atti espliciti di violenza o minaccia240.

Tornando dunque al reato di estorsione, l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato ritiene integrata l’aggravante oggettiva in questione anche nel caso in cui l’autore del reato utilizzi un messaggio intimidatorio “silente”, qualora l'associazione abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l'avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici

comportamenti di violenza o minaccia241.

La caratteristica fondante dell’aggravante del metodo mafioso dunque consiste nella modalità dell’azione mediante le quali viene commesso il delitto concretamente individuato, a differenza della circostanza riferita all’agevolazione che prende in considerazione gli scopi avuti di mira dall’agente: in altre parole, l’aggravante in questione non andrà parametrata al metus subìto dalla vittima ma

238 A. PANETTA,A volte nulla è come appare. Note in tema di estorsione ambientale mafiosa, in Cassazione penale, 2018, 2022;

239 Cass. Pen., sez. V, 6 ottobre 2010, n. 3101;

240 C.DE ROBBIO, La c.d. “Aggravante mafiosa”: circostanza prevista dall’art. 7 del d.l. 152 del 1991, in Giurisprudenza di merito, 2013, 1616; sottolinea l’Autore che nella pratica si riscontrano

casi di reati fine apparentemente privi degli elementi tipici di violenza o minaccia come sanciti dal codice penale; in merito viene citata una massima del 2016 della seconda sezione della Suprema Corte, secondo la quale il reato “è configurabile anche allorquando un imprenditore, avvalendosi della forza di intimidazione di un sodalizio criminale dominante in un determinato territorio, riesca ad imporre sul mercato la propria attività d’impresa in modo esclusivo o prevalente, pur senza mai aver direttamente compiuto alcun atto di violenza fisica o minaccia esplicita”;

241 Cass. pen., Sez. II, 03 febbraio 2015, n. 20187; nel caso di specie, la Corte aveva ritenuto

sussistente l’aggravante ex art. 416 bis 1 con riferimento alla richiesta di versamento di canoni per l'utilizzo a fini di riprese cinematografiche di una villa sequestrata ad un esponente di un sodalizio criminale, avanzata, non dall'amministratore giudiziario, ma dal proprietario dell'immobile, la cui appartenenza ad un clan camorristico era nota alle vittime; Cass. Pen., Sez. II, 24 maggio 2018, n. 2600, che conferma l’assunto per cui l’aggravante può configurarsi anche in caso di messaggio intimidatorio “silente”;

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alla condotta dell’agente242. Granitica è in tal senso la giurisprudenza di legittimità,

la quale sottolinea la circostanza di concentrare l’attenzione non sulla reazione della persona offesa né sugli effetti della condotta dell’agente ma esclusivamente sul contegno di quest’ultimo; pertanto i caratteri del metodo mafioso devono “concretizzarsi in un comportamento oggettivamente idoneo ad esercitare una particolare coartazione psicologica sulle persone, con i caratteri propri

dell’intimidazione derivante dall’organizzazione criminale evocata” 243 . Tale

assunto viene confermato anche da pronunce più recenti, emesse sempre dalla Corte di legittimità, secondo cui l’aggravante, precedentemente prevista all’art. 7 del d.l. 152 del 1991, non sarebbe connessa alla struttura o alla natura del delitto contestato ma alle modalità oggettive, evocative della forza d’intimidazione tipicamente mafiosa, con cui viene attuato il delitto stesso. In sintesi la ratio della previsione all’art. 416 bis 1 consisterebbe non solo nell’intento di punire più gravemente coloro che commettono reati utilizzando metodi mafiosi o al fine di agevolare le associazioni mafiosa, ma anche e soprattutto nella volontà di reprimere specificamente la “metodologia delinquenziale mafiosa” e di contrastare l'atteggiamento di coloro che si comportino da mafiosi oppure pongano in essere una condotta idonea ad esercitare sui soggetti passivi quella particolare coartazione o quella conseguente intimidazione propria delle organizzazioni della specie

considerata244.

In secondo luogo, non è necessario che il soggetto agente faccia parte di un’associazione di tipo mafioso né che la sua condotta sia sostenuta da una consorteria di tal genere, essendo rilevante il carattere di “mafiosità” della condotta stessa. Su un piano ipotetico potrebbe ritenersi integrata l’aggravante in questione anche quando il soggetto attivo, nella commissione di uno specifico delitto, millanti l’appartenenza ad un sodalizio mafioso, purché ponga in essere un “comportamento minaccioso tale da richiamare alla mente ed alla sensibilità del soggetto passivo

242 C.DE ROBBIO, La c.d. “Aggravante mafiosa”: circostanza prevista dall’art. 7 del d.l. 152 del 1991, in Giurisprudenza di merito, 2013, 1616;

243 Cass. Pen., sez. VI, 2 aprile 2007, n. 21342;

244 Cassazione penale sez. V, 09/03/2018, n.22554, in Diritto e Giustizia; Cass.Pen., Sez. V, 08

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quello comunemente ritenuto proprio di chi appartenga ad un sodalizio del genere

anzidetto”245.

Tale aspetto costituisce una differenza sostanziale rispetto all’aggravante dell’agevolazione, che postula un’effettiva esistenza dell’associazione ed un collegamento dell’agente con la stessa, non potendo questa essere integrata in caso

di reato commesso al fine di agevolare un’associazione supposta o fittizia246.

In conclusione l’utilizzo del metodo mafioso deve essere effettivo, non essendo sufficiente il mero collegamento con contesti di criminalità organizzata né la

caratura mafiosa degli autori del fatto247; tale assunto in questione infatti non solo

impedisce una valutazione sulla sussistenza dell’aggravante in base al contesto geografico – ambientale del delitto commesso rispetto a zone territoriali

maggiormente inquinati dal fenomeno mafioso248, ma scongiura interpretazioni

normative improntate al modello del tipo d’autore. In caso contrario, cioè nell’ipotesi in cui si ritiene sussistente l’aggravante esclusivamente in base all’appartenenza del reo ad un’associazione notoriamente mafiosa, si violerebbe

inoltre il principio di ne bis in idem sostanziale249.

Sull’aggravante in questione, inoltre, è stato sollevato un dubbio interpretativo rispetto all’applicabilità della stessa ai delitti puniti con l’ergastolo, nonostante il dato testuale sia chiaro al riguardo ritenendo che questa debba applicarsi “ai delitti

punibili con pena diversa dall’ergastolo” 250.

245 Cass. Pen., sez. II, 5 giugno 2013, n. 38094;

246 C.DE ROBBIO, La c.d. “Aggravante mafiosa”: circostanza prevista dall’art. 7 del d.l. 152 del 1991, cit., 1616; G.CIVELLO, Il sistema delle circostanze ed il complessivo carico sanzionatorio

detentivo, in Le associazioni di tipo mafioso, cit., 180;G.DE VERO, La circostanza aggravante del

metodo e del fine di agevolazione mafiosi: profili sostanziali e processuali, cit, 50.; 247 Cass. Pen., sez. VI, 4 luglio 2011, n. 27666;

248 C.DE ROBBIO, La c.d. “Aggravante mafiosa”: circostanza prevista dall’art. 7 del d.l. 152 del 1991, cit., 1616;

249 G. CONSO, V.GREVI, M.BARGIS, Compendio di procedura penale, Padova, 2016, 949; E.

BIRRITTERI, Il concorso tra associazione a delinquere di stampo mafioso e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, cit., 9; A. APOLLONIO, Il metodo mafioso nello spazio transfrontaliero:

il problema dei rapporti tra l'aggravante di cui all'art. 7 d.l.152/1991 e quella della transnazionalità (art. 4 L. 146/2006), www.dirittopenalecontemporaneo.it , 2018, 11; il principio del ne bis in idem, consacrato nell’art. 649 del codice di procedura penale ed ancor prima dall’art. 4 Port. 7 Cedu, opera sia da un punto di vista processuale, impedendo che un soggetto già giudicato venga sottoposto ad un nuovo giudizio sullo stesso fatto naturalisticamente intesto, che da un punto di vista sostanziale, al fine di evitare una duplicazione della sanzione penale per un medesimo fatto nei confronti dello stesso soggetto.

250 G.TURONE, Il delitto di associazione mafiosa, cit., 210; C.DE ROBBIO, La c.d. “Aggravante mafiosa”: circostanza prevista dall’art. 7 del d.l. 152 del 1991, cit., 1620;

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In tal senso la giurisprudenza ha ribadito da tempo il principio per cui la norma attiene alla punibilità in concreto, essendo possibile contestare la circostanza del metodo mafioso senza alcun limite; assunto poi consacrato da una pronuncia delle

Sezioni Unite251.

6.2. L’evoluzione giurisprudenziale in materia (in particolare, la sentenza

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