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CAPITOLO II – I CARATTERI DEL METODO MAFIOSO

3. Il requisito dell’omertà: tra nozione giuridica e riferimenti sociologic

Il terzo comma dell’art. 416 bis fa esplicito riferimento alla condizione di omertà, intesa dunque come elemento tipico della fattispecie associativa in esame nonché correlata in rapporto di causa ad effetto alla forza di intimidazione del vincolo mafioso alla stessa stregua della condizione di assoggettamento, di cui, come

previamente specificato, costituisce inoltre la naturale conseguenza 88. La

giurisprudenza sviluppatasi all’entrata in vigore della legge 646/1982 non riuscì a

85 Cass. Pen, De Tommasi, cit.; “il consapevole sfruttamento di un’aura di intimidazione in

precedenza acquisita costituisce un ulteriore atto di esecuzione del programma criminoso e racchiude pur sempre in sé una larvata minaccia”;.

86A.INGROIA, L’associazione di tipo mafioso, cit., 75; ritiene che l’approccio della gran parte della

giurisprudenza in materia di mafia consista in una sorta di presa d’atto del materiale probatorio, da cui pervenire all’affermazione della responsabilità penale tramite un procedimento logico-induttivo, la cui premessa è costituita dall’utilizzazione della forza di intimidazione;

87 Cass. Pen., Sez. I, 30 gennaio 1992, Abbate e altri, con nota di G.FIANDACA,G.DI CHIARA, IN Il Foro Italiano, 1993, 15; un atteggiamento di tal guisa è rinvenibile nella sentenza della Cassazione

emessa all’esito del Maxiprocesso di Palermo in cui l’apparato strumentale dell’associazione non viene fatto oggetto di una specifica trattazione ma viene desunto implicitamente da una serie di circostanze accertate in giudizio; tale approccio infatti risulta possibile solo rispetto a quelle associazioni mafiose la cui esistenza ed operatività costituiscono un dato storicamente accertato;

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cogliere la definizione normativa generale ed astratta del requisito in esame, essendo ancorata ad elaborazioni sociologiche estrapolate dall’osservazione empirica dei fenomeni di “mafie storiche”; nelle prime sentenze, la condizione di omertà viene descritta come una situazione consolidata ed immanente

nell’ambiente in cui opera il sodalizio89 ovvero come una sorta di “connivenza della

popolazione, posta in stato di paura e soggezione dalla consapevolezza della forza

della cosca mafiosa”90. Nei procedimenti aventi ad oggetto i sodalizi mafiosi

tradizionali essa è stata concepita come un rifiuto generalizzato e tendenzialmente assoluto a collaborare con gli organi dello Stato non solo per timore di eventuali ritorsioni o per tutelare la consorteria di cui si fa parte, ma anche in ragione di un diffuso atteggiamento di opposizione passiva alle istituzioni democratiche

ravvisabile soprattutto in contesti territoriali ad alta densità mafiosa91; appare

evidente la difficoltà di individuare i confini dell’area dell’illiceità penale dovuti ad un linguaggio normativo che fa ampio ricorso ad elementi sociologici di per sé

generici ed indeterminati92.

Sotto tale prospettiva, è da condividere l’opinione di chi intende porre un freno ad un’interpretazione del concetto di omertà per un verso estensiva e per altro verso

troppo legata al dato regionalistico93; si sostiene che tale indisponibilità a dialogare

con le autorità inquirenti e giudicanti debba discendere direttamente dalla percezione della forza di intimidazione propria del sodalizio criminoso, dal quale si tema o si sia sofferta una prevaricazione ovvero sul quale si sia chiamati a riferire

ciò che si sa94. Di conseguenza essa non può consistere in stati momentanei o

contingenti, altrimenti il concetto di omertà corrisponderebbe tout court alla

89 Cass. Pen., 14 dicembre 1990, Andraous; Cass. Pen., 30 gennaio 1992, Abbate; 90 Cass. Pen., 14 gennaio 1980, Garonfolo;

91G.TURONE, Il delitto di associazione mafiosa, cit.,162;

92 A.ARCERI, Sull’art. 416 bis ed in particolare sull’uso della forza intimidatrice, in Giur. mer.,

1995, 313; esemplificativa è una pronuncia del Tribunale di Savona, 8 agosto 1985, che interpretando l’elemento dell’omertà quale rifiuto sistematico, assoluto e generalizzato di collaborare con la giustizia sia giunta ad affermare la non configurabilità dell’art. 416 bis per mancanza dei requisiti propri del metodo mafioso, in quanto era stata sporta denuncia da di una delle vittime dell’attività illecita dell’associazione;

93 I.MERENDA,C.VISCONTI, Metodo mafioso e partecipazione associativa nell’art. 416 bis tra teoria e diritto vivente, www.dirittopenalecontemporaneo.it , 2019, 4; A.INGROIA, L’associazione, cit., secondo il quale il continuo riferimento alla matrice sociologica del fenomeno impedirebbe di applicare la norma incriminatrice in contesti territoriali tradizionalmente non interessati dal fenomeno mafioso;

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reticenza, né deve poter ricollegarsi ad un atteggiamento processuale consentito dalla legge così da non porsi in contrasto con il diritto di difesa attribuito all’imputato; in più non si ritiene debba riscontrarsi una condizione immanente e

permanente di omertà95 essendo sufficiente che la forza di intimidazione sia in

grado di produrre condizioni specifiche di omertà96. L’impostazione dogmatica

appena menzionata è stata progressivamente fatta propria dalla giurisprudenza soprattutto in relazione ai procedimenti attinenti le organizzazioni mafiose diverse

da quelle tradizionali97, nei quali è stata adottata una definizione più specifica di

omertà intesa quale atteggiamento diffuso, anche se non generale, di rifiuto di collaborare con gli organi dello Stato dovuto non solo al timore di danni alla propria persona ma anche alla concretizzazione delle minacce espresse o velate con cui si

dispiega la carica autonoma di intimidazione 98; in particolare si è ritenuto

indispensabile il requisito della diffusività dell’omertà con riferimento alla “convinzione che la collaborazione con l’autorità giudiziaria non impedirà che si abbiano ritorsioni dannose, per la persona del denunciante, in considerazione della ramificazione e dell’efficienza dell’associazione, nonché della sussistenza di altri soggetti non identificabili forniti del potere di danneggiare chi ha osato

contrapporsi”99.

95 Cass. Pen., 16 maggio 1987, Musacco; l’omertà può essere acuita anche dall’esistenza in vita

dell’associazione stessa e dalla possibilità di subire ritorsioni da parte degli affiliati ancora in libertà, nonostante vengano comunque individuati e perseguiti gli autori delle singole manifestazioni di violenza o minaccia;

96 G.SPAGNOLO, L’associazione, cit., 37;A.INGROIA, L’associazione di tipo mafioso, cit., 75; 97 Cass. Pen., 11 febbraio 1994, De Tommasi; con riferimento alla Sacra Corona Unita, il Supremo

Collegio ha ritenuto sufficiente “che si siano verificati episodi di reticenza, di favoreggiamento e di non collaborazione con gli organi dello Stato ricollegabili alla forza intimidatrice del sodalizio”;

98 Cass. Pen., Sez. VI, 11 gennaio 2000, Ferone;

99 Cass. Pen., Sez. I, 1 luglio 2007, n. 34974, Brusca; rilevante è la sentenza segnalata, che non si

limita a definire l’omertà come “rifiuto assoluto incondizionato di collaborare con gli organi dello Stato” ma enuclea le caratteristiche fondamentali affinchè possa ritenersi integrato l’elemento in questione; infatti essa non solo deve derivare causalmente dalla forza di intimidazione, ma può anche non essere generalizzata, essendo bastevole che sia sufficientemente diffusa, e ricollegabile sia alla paura di danni fisici alle persone ovvero dalla effettuazione di minacce dirette o simboliche. Tale orientamento è stato confermato anche dalla giurisprudenza più recente in Cass. Pen., Sez. VI, 26 ottobre 2017, n. 57896/2017, secondo cui, per ciò che concerne le mafie diverse da quelle storicamente presenti nel territorio, non siano necessarie una generalizzata e sostanziale adesione alla subcultura mafiosa affinchè sussista la condizione di omertà, né una una situazione di generale terrore tale da impedire ogni attimo di ribellione o di reazione morale alla condizione di soggezione, bensì si ritiene bastevole che il rifiuto a collaborare con gli organi giudiziari sia sufficientemente diffuso, anche se non generale;

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Va segnalata l’autorevole opinione emersa in dottrina, secondo la quale il concetto di omertà sconta un intrinseco difetto di tassatività dovuto dalla difficoltà di marcare una linea di confine tra il rifiuto sistematico di collaborare con l’autorità giudiziaria, conseguenza diretta della condizione di assoggettamento, e la semplice reticenza, quale risultato di un atteggiamento di matrice culturale di sfiducia verso

le istituzioni democratiche100; tale problematica risulta facilmente risolvibile se si

considera che l’elemento in questione non può assurgere a requisito autonomo di fattispecie, essendo descritto all’interno della norma incriminatrice quale un mero

riflesso della condizione di assoggettamento101.

Una problematica particolare riguarda il rapporto tra la condizione omertosa propria del metodo di sopraffazione e di prevaricazione dei sodalizi di tipo mafioso e il

fenomeno del pentitismo102; è stata invero sostenuta in alcune seppur sporadiche e

risalenti pronunce, come in precedenza riportato, la tesi dell’incompatibilità delle testimonianze, delle costituzioni di parte civile delle vittime, nonché delle condotte di collaborazione degli imputati, con la condizione di assoggettamento imposta dall’associazione mafiosa; di conseguenza in caso di rottura della c.d. “religione dell’omertà” non potrebbe configurarsi il reato in esame, essendo venuto meno il requisito dell’assoggettamento derivante dall’estrinsecazione del metodo mafioso. La stessa giurisprudenza poi, correggendo il tiro, ha consacrato il principio per cui le situazioni di omertà penalmente rilevanti “non debbono essere così assolute ed

invincibili da non consentire smagliature”103; in generale dunque la mera presenza

di imputati che accettano di collaborare con gli organi dello Stato non può neutralizzare quegli elementi probatori idonei a dimostrare l’esistenza di una carica di intimidazione autonoma sprigionata dal vincolo e la sua idoneità a procurare

nelle vittime specifiche condizioni di assoggettamento ed omertà104.

100G.INSOLERA, Considerazioni sulla nuova legge antimafia, in Pol. dir., 1982, 681; 101 G.DE VERO, I reati associativi nell’odierno sistema penale, 1998, Milano, 385;

102 G. FALCONE, Cose di Cosa Nostra, M. PADOVANI (a cura di), Bologna, 1992, 65; il quale

sottolinea che il pentitismo costituisce una reazione ad una intimidazione ancor più feroce derivante da una carica di intimidazione autonoma particolarmente intensa, riscontrabile nell’associazione mafiosa denominata Cosa Nostra durante la c.d. “Seconda guerra di mafia”;

103 Cass. Pen., 11 febbraio 1994, De Tommasi; Cass. Pen., 14 dicembre 1990, Andraous;

104P.PISA, Ambienti politici e criminalità di tipo mafioso, in Questione giustizia, 1988, 313; secondo

cui l’omertà deve essere misurata non nel momento in cui “l’associazione mafiosa è già stata smantellata (poiché a questo punto veramente l’omertà non ha senso e viene superata per forza di cose), ma nel momento in cui la stessa è esistente o al massimo quando comincia ad essere appena

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Per concludere si rende doveroso sottolineare che le condizioni di assoggettamento ed omertà sono rilevanti in quanto si manifestano e sono riscontrabili in terzi estranei al sodalizio e che ne subiscono l’azione illecita.

Tale assunto è stato accolto da gran parte della dottrina, secondo la quale, da una parte, i due requisiti sopra menzionati costituirebbero degli effetti psicologici riguardanti esclusivamente la sfera dei soggetti esterni alla realtà associativa; dall’altra, i rapporti interni al sodalizio verrebbero cementati non tanto dalla soggezione propria dell’ente associativo in sé, quanto dall’adesione ad una specifica

subcultura e dal perseguimento di comuni scopi “sociali”105.

In sintesi, si ritiene che il reato di associazione mafiosa non possa prescindere dall’intimidazione esterna, poiché elemento fondante della stessa consiste nella proiezione esterna e nel radicamento del territorio in cui essa opera. Anche la giurisprudenza ha da subito condiviso tale impostazione, senza escludere che eventuali risultanze relative ai riflessi interni della forza di intimidazione possano

contribuire a formare la prova dell’apparato strumentale mafioso106.

È necessario ad ogni modo segnalare l’opinione minoritaria che attribuisce valenza anche interna al requisito della carica intimidatrice e alle conseguenti situazioni di

soggezione ed omertà107; infatti il termine “assoggettamento” non farebbe esclusivo

riferimento ad una condizione di succubanza prodotta nell’ambiente circostante, ma sarebbe riconducibile anche alla struttura gerarchica e alla condizione di vassallaggio interna all’associazione, dal momento che la carica intimidatoria autonoma della stessa potrebbe suscitare timore verso gli affiliati in considerazione

della ferocia con cui vengono puniti tradimento ed insubordinazione108.

lambita dall’azione giudiziaria. Ed è lì che diventa significativa la mancata costituzione di parte civile e la resistenza ad ammettere di essere vittima di reati”;

105 G.FIANDACA, Commento all’art. 1 della legge 646/1982, in Legislazione penale, 1983, 255; A.

INGROIA, L’associazione, cit.; D.NOTARO, Art. 416 bis e “metodo mafioso”, tra interpretazione e

riformulazione del dettato normativo, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1999, 1371 ;

P.GIORDANO, Solo la prova concreta dell’azione intimidatoria configura il reato di associazione

mafiosa. L’elemento che caratterizza il delitto è la pressione esercitata verso i non affiliati, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1999; R.CANTONE, Associazione di tipo mafioso, in

Digesto disciplinare penalistico, 2011, Torino, 35; 106 Cass. Pen., Sez. V, 19 dicembre 1997, Magnelli;

107 G.TURONE, Il delitto di associazione mafiosa, cit., 162;G.M.FLICK, L’associazione, cit., 855;

G.DE LIGUORI, Art. 416 bis: brevi note in margine al dettato normativo, in Cassazione penale, 1986, 1523;

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Sembrerebbe facile obiettare che tali profili subculturali devono ritenersi estranei

al dato normativo 109 ; in più una tale interpretazione della disposizione

contrasterebbe con il principio di offensività110, in quanto la pericolosità della

compagine mafiosa deriva dalla proiezione esterna della stessa, a nulla rilevando le

dinamiche e i rapporti interni agli affiliati111.

4. Il caso “Teardo”: la compatibilità tra l’intimidazione mafiosa e il metus

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