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166 G.SPAGNOLO, Associazione di tipo mafioso, cit., per cui l’attività del promotore, perpetrata in

una fase primordiale dell’associazione, è punibile a condizione che la condotta abbia contribuito all’acquisizione dell’apparato strumentale tipicamente mafioso ad opera della stessa;

167 G.TURONE, Il delitto di associazione mafiosa, cit., 154;

168 F.ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte speciale, vol.II, 2015, 110; 169 F.ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte speciale, 2015, Milano, 99; 170 G.TURONE, Il delitto di associazione mafiosa, 150;

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La fattispecie delittuosa introdotta dalla legge n. 646/1982 aveva inizialmente portato alcune problematiche applicative date dalla difficoltà riscontrata dal legislatore di tradurre in categorie normative le nozioni elaborate in sede di indagine sociologica. Un primo rilevante problema consisteva nel ricostruire la fisionomia dell’illecito associativo: si trattava dunque di far rientrare l’associazione di tipo

mafioso all’interno dei reati associativi “puri”171 o dei reati associativi “a struttura

mista”172.

In altre parole, la dottrina si è confrontata sull’uso che il gruppo mafioso deve fare della forza di intimidazione affinché possa configurarsi il reato di cui all’art. 416 bis, cioè se il delitto si consideri consumato nel caso in cui gli aderenti al vincolo associativo esclusivamente intendano o si propongano di sfruttare le caratteristiche proprie del metodo mafioso ovvero nel caso in cui abbiano effettivamente utilizzato l’apparato strumentale appartenente al patrimonio genetico dell’associazione.

L’opinione più risalente173 (ora ritornata in auge nei più recenti orientamenti della

Suprema Corte) propugnava la tesi del reato “meramente associativo”, integrato per il solo fatto che più soggetti si associano al fine di avvalersi capacità di intimidazione del vincolo per conseguire una delle finalità esemplificativamente elencate dalla norma incriminatrice.

Per sostenere tale impostazione dottrinale174, tuttavia, si finiva per svilire l’uso da

parte del legislatore dell’indicativo “si avvalgono” (utilizzato per esigenze

171 G.TURONE, Il delitto di associazione mafiosa, cit., 150 reati meramente associativi sono quelli

punibili per il solo fatto della costituzione e dell’esistenza dell’associazione;

172 G.DE VERO, I reati associativi nell’odierno sistema penale, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 1998, 385; alcuni esempi di reati associativi a struttura mista si

rinvengono nella legge n. 645/1952, che incrimina la fattispecie di riorganizzazione del dissolto partito fascista (delitto che non risulta integrato con la semplice venuta ad esistenza dell’associazione, ma per cui è necessario che le condotte dei partecipi siano orientate al perseguimento di finalità antidemocratiche e si estrinsechino nell’uso della violenza e della minaccia come metodo di lotta politica), e nella legge n. 17/1982, che punisce le associazioni segrete accentuando ancor di più la dimensione finalistica che finisce per coincidere con l’elemento oggettivo della condotta (gli aderenti infatti “svolgono attività diretta ad interferire sull’esercizio delle funzioni degli organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici anche economici, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale”);

173 G.FIANDACA, Commento all’art. 1 l. 13 settembre 1982 n. 646, in Legislazione penale, 1983,

240; R.BERTONI, Prime considerazioni sulla legge antimafia, in Cassazione penale, 1983, 1017; NEPPI MODONA, Il reato di associazione mafiosa, in Democrazia e diritto, 1983, 48;

174 Cass. Pen., sez. I, 45771/2003; la locuzione “si avvalgono” può essere intesa nel senso che “i

partecipi del sodalizio intendono avvalersi della loro intrinseca capacità intimidatoria per perseguire i propri scopi criminali”;

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meramente definitorie e non per incidere sull’elemento oggettivo della

fattispecie175), al fine di porre l’accento sull’intento desumibile dalle attività

parlamentari: facilitare l’accertamento probatorio dell’autorità giudiziaria, senza attribuire una portata selettiva alla disposizione.

Parrebbe evidente che l’intento in questione non verrebbe perseguito se, per configurare il reato in esame, si rendesse necessario fornire la prova dell’effettivo sfruttamento del metodo mafioso. In realtà questa teoria sarebbe avvalorata anche

alla luce dei lavori preparatori dal momento che l’originaria proposta di legge176

utilizzava il gerundio “valendosi”, giustificando un’interpretazione per cui potesse

ritenersi bastevole il semplice intento di ricorrere alla forza di intimidazione177 .

Altra dottrina invece era solita ricondurre il delitto in questione nella categoria dei reati associativi “a struttura mista”, per i quali la legge richiede un’effettiva e non potenziale utilizzazione della capacità di intimidazione, nonché un inizio di

realizzazione del programma criminoso178: più che di un’associazione a delinquere,

quindi, dovrebbe parlarsi di associazione “che delinque”179.

L’uso dell’indicativo “si avvalgono” dissolverebbe ogni dubbio rispetto alla non condivisibilità del rilievo per cui sarebbe sufficiente uno sfruttamento meramente potenziale e, ad ogni modo, le difficoltà probatorie non dovrebbero incidere sull’interpretazione della fattispecie fondata sul dato testuale.

Un’ulteriore opinione si collocava in una posizione intermedia180, in quanto per un

verso condivideva il rilievo per cui sarebbe non rispettosa del dato testuale l’interpretazione che riconduce l’associazione mafiosa nei reati meramente associativi, per altro verso, si evidenziava come la stessa formulazione normativa osti a ritenere il delitto in esame integrato solo a realizzazione iniziata del

175 G.A. DE FRANCESCO, Associazione a delinquere ed associazione di tipo mafioso, in Digesto disciplinare penalistico, I, 1987, Torino, 312;

176 Legge di iniziativa parlamentare n. 1581/1980: “L’associazione o il gruppo è mafioso quando

coloro che ne fanno parte hanno lo scopo di commettere delitti o comunque di realizzare profitti o vantaggi per sé o per altri, valendosi della forza intimidatrice del vincolo mafioso”;

177 G.FIANDACA, L’associazione di tipo mafioso nelle prime applicazioni giurisprudenziali, in Il Foro Italiano, vol. 108, 1985, 301;

178G.SPAGNOLO, L’associazione di tipo mafioso, Padova, 1997, 99; l’Autore, per avvalorare tale

tesi, parte dall’analisi di due delitti previsti all’interno della legislazione penale speciale, per cui vi è la certezza che siano a struttura mista, i.e. il delitto di riorganizzazione del dissolto partito fascista (art. 1 legge n. 645/1952) e il delitto di associazione segreta (art. 1 legge n. 17/1982);

179 G.DE VERO, I reati associativi nell’odierno sistema penale, Rivista italiana di diritto e procedura

penale, 1998, 403;

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programma criminoso (le finalità indicate dalla norma rientrerebbero nell’elemento soggettivo, più specificamente nel dolo specifico); per questi motivi sarebbe necessario distinguere il profilo “statico” della forza di intimidazione, che deve essere attuale, effettiva e oggettivamente riscontrabile, dal profilo “dinamico” afferente allo sfruttamento della stessa che può anche essere potenziale.

Una lettura più fedele al dato normativo si è poi progressivamente imposta a discapito della dottrina risalente per una serie di ragioni di ordine sistematico. Innanzitutto, da un punto di vista di compatibilità con il dettato costituzionale, un’interpretazione della norma che faccia riferimento ad un’associazione “che delinque” è da ritenersi rispettosa dei principi di offensività e di proporzionalità della risposta sanzionatoria (considerate le pene previste dall’art. 416 bis), dal momento che per il perfezionamento del delitto si richiede un quid pluris rispetto

alla mera esistenza dell’associazione181.

In secondo luogo, viene definitivamente sconfessata la prassi giudiziaria di fondare l’accertamento probatorio sul modello del tipo d’autore: richiedendo infatti di dimostrare l’operatività del gruppo mafioso e l’avvalimento in concreto della forza di intimidazione, si impedisce di dichiarare la colpevolezza di un soggetto sulla sola base di accertamenti presuntivi di tipo etico, la cui premessa fondamentale costituirebbe la prova della sola adesione all’accordo associativo. In altre parole, verrebbe richiesta un’esteriorizzazione del metodo mafioso.

Infine, così argomentando vi sarebbe anche un continuità storica182 con la

tradizione penalistica, rimarcata dal reato di “comitiva armata” previsto dal codice napoletano del 1819: tale reato puniva invero le condotte di costituzione e partecipazione di un gruppo criminale ma a condizione che almeno due di loro “sien

portatori di armi proprie [ed andassero] scorrendo le pubbliche strade o campagne con l’animo di commettere misfatti o delitti”, richiedendo un qualcosa in più rispetto

alla sola condotta dell’associarsi183.

181 I.MERENDA,C.VISCONTI, Metodo mafioso e partecipazione associativa nell’art. 416 bis tra teoria e diritto vivente, www.dirittopenalecontemporaneo.it, 2019, 6;

182 G. DE VERO, I reati associativi nell’odierno sistema penale, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1998, 385;

183 I.MERENDA,C.VISCONTI, Metodo mafioso e partecipazione associativa nell’art. 416 bis tra teoria e diritto vivente, cit., 6;

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L’interpretazione riduttiva della disposizione, tuttavia, è stata col tempo aspramente

criticata e ritenuta insoddisfacente da molti autori184, secondo i quali quest’ultima

lettura della norma non terrebbe conto di altri atteggiamenti e altrettante modalità con cui l’organismo criminale si impone all’esterno sui consociati. Si pensi al caso in cui l’attesa del gruppo mafioso circa l’esito di un appalto o i risultati di una consultazione elettorale sia nota a terzi, consapevoli da una parte dell’incapacità dello Stato di far rispettare la legalità in quel determinato contesto territoriale e dall’altra della disponibilità, da parte dell’organizzazione criminale, di mezzi per

imporre i propri interessi a pregiudizio di soggetti estranei al gruppo185.

In questo caso, la costrizione della libertà morale delle vittime non risulta da specifici atti di intimidazione, ma dal timore derivante dalla capacità criminale dell’associazione altrimenti dimostrata. Col tempo dunque la dottrina si è assestata su una posizione intermedia fra le opinioni appena riportate, fondata sulla c.d. “riserva di violenza” e riconoscendo rilevanza all’elemento soggettivo: infatti il delitto sarebbe da ritenere integrato anche quando i membri del sodalizio si servano, per perseguire gli scopi prefissati, di un mero condizionamento inerziale sui terzi dovuto ad una capacità criminale interna consolidata (c.d. carica intimidatrice autonoma), potendosi riservare di sfruttare in via concreta ed attuale l’intera potenzialità criminale dell’associazione attraverso il compimento di atti di

intimidazione186.

Dopo aver approfondito i problemi posti dalla dottrina, si rende indispensabile a questo punto analizzare come la giurisprudenza di merito abbia recepito la fattispecie in esame immediatamente dopo la sua entrata in vigore.

Particolarmente significativa è una sentenza del 1984 emessa dal Tribunale di

Palermo187 avente ad oggetto l’applicabilità dell’art. 416 bis ad un gruppo di pastori

che, accordatisi tra loro circa le zone dove far pascolare le proprie greggi, perpetravano minacce, anche di tipo velato, nei confronti dei proprietari dei fondi

184 G.TURONE, Il delitto di associazione mafiosa, cit., 386; A.INGROIA, L’associazione di stampo mafioso; A.MADEO, Riscossione organizzata di tangenti da parte di pubblici ufficiali, intimidazione

dei concussi e configurabilità dell’associazione di tipo mafioso, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1990, 1203;

185 D.NOTARO, Art. 416 bis e “metodo mafioso”, tra interpretazione e riformulazione del dato normativo, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1999, 1475;

186 G.TURONE, Il delitto di associazione mafiosa, 388;

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affinché tollerassero tale pratica. Secondo i giudici palermitani vi sarebbe una continuità tra la fattispecie associativa comune di cui all’art. 416 e il delitto di nuova introduzione, in quanto quest’ultimo si differenzierebbe solo per l’elemento

specializzante dell’apparato strumentale, i.e. la forza di intimidazione 188 ;

sembrerebbe che tale sentenza recepisca l’opinione all’inizio prevalente in dottrina, secondo cui l’art. 416 bis si inserirebbe nel solco dei reati meramente associativi.

Sulla stessa linea si collocherebbe inoltre una sentenza del Tribunale di Palmi189,

evidenziandosi anche in tale decisione il parallelismo tra i due reati associativi tranne per la previsione dell’elemento aggiuntivo del metodo mafioso.

Bisogna, poi, segnalare un’ordinanza di rinvio del Tribunale di Siracusa190, che

appare in controtendenza con le decisioni citate in precedenza: il giudice istruttore, infatti, qualificò come associazione mafiosa un gruppo di natura criminale che aveva assunto il monopolio sulla gestione degli apparecchi “video – giochi”, erogando tangenti ed imponendo ai proprietari di installare apparecchi forniti dallo stesso gruppo; il tutto sfruttando in via inerziale una capacità di intimidazione già acquisita, con il ricorso a condotte violente e minacciose, nei confronti degli stessi

soggetti191. L’autorità giudiziaria evidenziò quanto l’elemento dell’avvalersi del

metodo mafioso possa indirizzare l’accertamento probatorio, dal momento che dalla prova di una raggiunta e durevole forza di intimidazione sul territorio si giunge alla dimostrazione della stabilità del vincolo associativo e dalla struttura organizzativa, rigettando implicitamente la tesi della continuità tra le fattispecie associative previste dal codice penale.

Un’altra questione affrontata dalla giurisprudenza riguarda un aspetto di ordine processuale, in particolare l’accertamento probatorio degli elementi costitutivi l’apparato strumentale dall’associazione: il problema consisteva nel rischio di vincolare la prova dello sfruttamento della carica intimidatoria a criteri di tipo

sociologico e nel ricadere nel modello del tipo d’autore192.

188 G.FIANDACA, L’associazione di tipo mafioso nelle prime applicazioni giurisprudenziali, cit.,

301;

189 Tribunale di Palmi, 15 dicembre 1983, Gullace e altri;

190 Giudice Istruttore Tribunale di Siracusa, ordinanza del 30 aprile 1985, Belfiore e altri; 191 G.FIANDACA, L’associazione, cit., 310;

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Alcune pronunce dei giudici di merito193 avanzavano un’ipotesi interpretativa della

norma che prescindeva dalla dimostrazione di uno sfruttamento effettivo della forza intimidazione, mediante il compimento di atti di violenza o minaccia, dal momento che questa poteva “consistere […] in un alone diffuso, penetrante, avvertibile di presenza intimidatoria e sopraffattrice che sia anche il frutto di uno stile di vita consolidatosi a lungo nel tempo e che sia stato ormai accettato e subìto

nell’ambiente in cui gli associati operano”194. Sembrerebbe evidente il ritorno ad

una valutazione presuntiva improntata sul modello del tipo di autore in ordine alla sussistenza dei parametri indicati dalla disposizione: il rischio, quindi, sarebbe quello di ritenere implicitamente sussistente l’alone di intimidazione, e di conseguenza integrato il reato, in tutti i casi in cui questo promani da un’associazione ritenuta in via di principio mafiosa.

Un passaggio fondamentale riguardo i caratteri del metodo mafioso è contenuto nell’ordinanza del Tribunale di Siracusa sopra citata; in essa infatti venivano individuati i due elementi distintivi della forza intimidatrice rispetto ad un’intimidazione che potrebbe derivare da un’associazione non di tipo mafioso e

dedita ad attività estorsive, cioè la “durata” e la “diffusività”195. L’organo

giudicante dunque definisce intimidazione “qualsiasi attività di violenza o minaccia anche implicita o larvata, che si prolunga nel tempo, si diffonde in maniera apprezzabile in un determinato ambiente sociale e che caratterizza l’agire di un

gruppo ben individuato e conosciuto la cui presenza è tracotante e visibile”196. Forti

perplessità, tuttavia, ha da subito suscitato il requisito della “visibilità” dal momento che l’evoluzione del fenomeno mafioso e l’intreccio dello stesso con la criminalità

193 Ordinanza di rinvio a giudizio del Tribunale di Savona, 24 agosto 1984, Teardo e altri; in questa

pronuncia infatti emerge un orientamento che si consoliderà progressivamente nella giurisprudenza, per cui i tre elementi costitutivi del metodo mafioso vanno riferiti all’associazione nel suo complesso e non ai singoli associati, per cui il reato sarebbe integrato nel caso in cui uno degli affiliati sia nelle condizioni e abbia la consapevolezza di poter disporre dell’apparato strumentale dell’associazione stessa;

194 Ordinanza di rinvio del Tribunale di Siracusa, cit.;

195 R.CANTONE, L’associazione,, cit , , 30; l’Autore riporta una sentenza dei giudici di legittimità

emessa nel 2007 (Cass. Pen. Sez. V, 4307/1997) secondo la quale sarebbe necessario il requisito di diffusività della forza di intimidazione nell’ambiente circostante affinché possa affermarsi integrato il delitto di cui all’art. 416 bis;

196Ordinanza del Giudice Istruttore, Trib. Siracusa, 30 aprile 1985, Belfiore e altri, riportata da G.

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economica ha portato all’interno dell’organizzazione criminale una strategia

d’azione di basso profilo197.

In conclusione, sin dai primi anni di vigenza della norma incriminatrice, si pone il problema della struttura del delitto di associazione mafiosa e della sua applicabilità a fenomeni criminali distinti dalle mafie tradizionali; questione di difficile soluzione visti i paradigmi sociologici con cui il legislatore ha inteso inserire la fattispecie associativa in esame all’interno dell’ordinamento penale.

197 G.FIANDACA, L’associazione di tipo mafioso nelle prime applicazioni giurisprudenziali, cit.,

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