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La recente rimessione della questione alle Sezioni Unite: un disperato tentativo di risoluzione del conflitto?

CAPITOLO II – I CARATTERI DEL METODO MAFIOSO

5. L’evoluzione giurisprudenziale in tema di criminalità mafiosa

5.3. La recente rimessione della questione alle Sezioni Unite: un disperato tentativo di risoluzione del conflitto?

A fronte di un contrasto interpretativo ancor più profondo concernente l’esteriorizzazione del metodo mafioso e dilatatosi in seguito alle pronunce di legittimità emesse dopo la prima rimessione alle Sezioni Unite, la Prima Sezione della Corte di Cassazione ha inteso invocare l’intervento del massimo organo nomofilattico sottoponendogli il seguente quesito, richiedendo se “sia configurabile il reato di cui all'art. 416 bis cod. pen. con riguardo a una articolazione periferica (cd. ‘locale’) di un sodalizio mafioso, radicata in un'area territoriale diversa da quella di operatività dell'organizzazione ‘madre’, anche in difetto della esteriorizzazione, nel differente territorio di insediamento, della forza intimidatrice e della relativa condizione di assoggettamento e di omertà, qualora emerga la derivazione e il collegamento della nuova struttura territoriale con l'organizzazione

e i rituali del sodalizio di riferimento”214. La vicenda giudiziaria alla base della

rimessione prende le mosse da un pronuncia della Corte di Appello di Reggio Calabria la quale ha riconosciuto la responsabilità penale ai sensi dell’art. 416 bis in capo agli imputati, considerati partecipi di una “locale” ‘ndranghetista insediatasi in Svizzera in virtù di un comprovato collegamento della stessa con la “casa madre”

213 C.VISCONTI, I giudici di legittimità ancora alle prese con la “mafia silente” al nord: dicono di pensarla allo steso modo, ma non è così, cit., 4;

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operante in provincia di Vibo Valentia, pur avendo rilevato “eclatanti

manifestazioni di mafiosità” nel territorio svizzero215.

Peraltro tale azione chiarificatrice difficilmente potrà essere elusa da un provvedimento contrario del Primo Presidente di Cassazione data la maggior precisione (non solo concettuale ma anche semantica) con cui è stato formulato il quesito: non si fa riferimento al solo collegamento tra l’articolazione periferiche e l’associazione operante nel territorio d’origine, ma anche alla derivazione della prima rispetto alla seconda nonché alla riproposizione in loco dei principi organizzativi che tradizionalmente accompagnano il fenomeno mafioso di matrice

calabrese216.

Nell’ordinanza di rimessione vengono ripercorsi gli orientamenti, già diffusamente analizzati nei paragrafi precedenti e di cui si ritiene opportuno un quadro sinottico, che hanno formato il contrasto ermeneutico in seno alla giurisprudenza di legittimità prima e dopo la prima rimessione del 2015, quale cesura temporale idonea a conferire ancor più rilevanza alla richiesta attuale avanzata dalla Prima Sezione: il mancato intervento chiarificatore delle Sezioni Unite viene ritenuto la causa principale dell’acuirsi di siffatto conflitto.

Un primo orientamento, definito “restrittivo”, premettendo come il metodo mafioso debba considerarsi elemento di fattispecie e dunque oggetto di autonomo accertamento probatorio, ha ritenuto necessario fornire la prova che l’associazione abbia in concreto acquisito una reale ed effettiva capacità intimidatoria nel nuovo contesto territoriale, nonché che il metodo mafioso si sia esteriorizzato mediante il

compimento di atti specifici217. In altri termini, diversamente argomentando si

rischierebbe di applicare la norma in maniera diversa a seconda del contesto

territoriale di riferimento218.

215 L. NINNI, Alle Sezioni Unite la questione della configurabilità del delitto di associazione di tipo mafioso con riguardo ad articolazioni periferiche di un sodalizio mafioso in aree “non tradizionali”, www.dirittopenalecontemporaneo.it, 2019, fasc. 6, 23;

216 L. NINNI, Alle Sezioni Unite la questione della configurabilità del delitto di associazione di tipo mafioso, cit., 25;

217 C.VISCONTI, I giudici di legittimità ancora alle prese con la “mafia silente” al nord: dicono di pensarla allo steso modo, ma non è così, cit., 4; Cass. Pen., 23 febbraio 2015, Agresta, cit.; Cass.

Pen., 5 giugno 2014, Albanese, cit.;

218 L. NINNI, Alle Sezioni Unite la questione della configurabilità del delitto di associazione di tipo mafioso, cit., 30; C.VISCONTI, I giudici di legittimità ancora alle prese con la “mafia silente” al

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Un secondo orientamento “estensivo”, partendo dalla natura di reato di pericolo ex art. 416 bis, ha considerato sufficiente la dimostrazione di un collegamento funzionale e strutturale tra l’articolazione periferica e la “casa madre” per attribuire alla cellula criminale il possesso di quella forza d’intimidazione rilevante ai fini

dell’integrazione del delitto de qua219. Come già anticipato nei paragrafi precedenti,

il provvedimento del Primo Presidente di Cassazione aveva prodotto la spiacevole conseguenza di dilatare il contrasto, nonostante parte della dottrina abbia ravvisato

un’adesione dello stesso all’orientamento restrittivo220.

La recente ordinanza di rimessione pone l’accento su alcune pronunce, intervenute dopo un primo tentativo di dirimere il conflitto esegetico, che hanno sposato l’orientamento maggiormente elastico pur ricorrendo ad un diverso iter argomentativo: nello specifico, si fa esplicita menzione del principio di modulazione probatoria sancito dalla già citata sentenza “Albachiara”, secondo cui la prova dell’esteriorizzazione del metodo mafioso sarebbe necessaria rispetto alle sole formazioni criminali nuove ed autonome e non in rapporto alle articolazioni di un’associazione mafiosa storica “in presenza di univoci elementi dimostrativi di un

collegamento funzionale ed organico con la casa madre” 221 . Oggetto

dell’accertamento giudiziale non sarebbe più pertanto il metodo mafioso, ma quel legame tra le diverse realtà associative da cui deriva il trasferimento della notoria fama criminale in quei gruppi criminali operanti in contesti geografici

tradizionalmente immuni all’aura d’intimidazione mafiosa222.

La Corte regolatrice, nel dirimere la questione, dovrà confrontarsi non solo con il problema concernente lo “sfasamento temporale” tra condotte (in particolare tra quella realizzata nella fase di sfruttamento inerziale al fine di far acquisire all’associazione, inizialmente rientrante nell’alveo dell’art. 416 del codice penale, una capacità d’intimidazione diffusa e quella consistente nel far parte di un

219 Cass. Pen., 11 gennaio 2012, Romeo, cit.; Cass. Pen., Sez. I, 10 gennaio 2012, n. 5888; in

particolare l’orientamento in parola trovava conforto nell’estrema difficoltà di riscontrare a livello probatorio concrete manifestazioni della forza intimidatrice da parte dei membri dei gruppi criminali “derivati”;

220 C.VISCONTI, I giudici di legittimità ancora alle prese con la “mafia silente” al nord: dicono di pensarla allo steso modo, ma non è così, cit., 5;

221 Cass. Pen., 3 marzo 2015, Bandiera, cit.;

222 L. NINNI, Alle Sezioni Unite la questione della configurabilità del delitto di associazione di tipo mafioso, cit., 25;

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sodalizio mafioso avvalendosi della connaturata forza intimidatoria223), ma anche

con uno sfasamento di tipo “spaziale”, giacché la pregressa fase di sfruttamento inerziale rileva in quanto posta in essere in un’area territoriale diversa da quella in

cui viene ad insediarsi l’articolazione periferica di derivazione mafiosa224.

Ad avviso di chi scrive, l’annosa questione potrà essere risolta partendo da quanto affermato all’epoca dal Primo Presidente della Corte il quale, pur non apportando un contributo decisivo alla risoluzione del conflitto, faceva riferimento alla necessità che la forza di intimidazione non sia meramente potenziale, ma sia attuale ed obiettivamente riscontrabile, nonché “capace di piegare ai propri fini la volontà

di quanti vengano a contatto coi suoi componenti” 225 : propendendo per

un’interpretazione quantomeno assimilabile all’orientamento “restrittivo”, il Supremo Collegio potrebbe riuscire nella non facile impresa di trovare un punto di equilibrio tra esigenze repressive e rispetto dei principi costituzionali di offensività, uguaglianza e legalità.

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