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VICENDA “MAFIA CAPITALE”

2. Il procedimento denominato “Mafia Capitale” e l’interpretazione estensiva dell’art 416 bis

3.3. Il mancato riconoscimento della“mafiosità autonoma”

subìto la forza intimidatrice del vincolo associativo e che siano rimasti in una situazione di sottomissione, di sudditanza e di incapacità di far valere le loro ragioni, calpestate dagli atti di prevaricazione della Banda della Magliana”;

222 L. ABBATE,M.LILLO, I re di Roma, cit., 19; 223 Trib. Roma, 20 luglio 2017, cit., 3068;

224 G. TURONE, Il delitto di associazione mafiosa, Milano, 2015, 129; G.M. FLICK, L’associazoine a delinquere di tipo mafioso. Problemi proposti dall’art. 416 bis c.p., in Riv. It. dir. proc. pen, 1988,

855; A. INGROIA, L’associazione di tipo mafioso, in Enc. Dir., Milano, 1997; R. CANTONE,

Associazione di tipo mafioso, in Dig. Disc. Pen., Torino, 2011, 30;

225 Cass. Pen., Sez. VI, 23 giugno 1999, n. 2402; Cass. Pen., Sez. VI, 3 gennaio 1996, n. 7627, in Cass. Pen., 1997, 3384; Cass. Pen., Sez. VI, 11 gennaio 2000, n. 1612, Ferone; Cass. Pen., Sez. I,

26 giugno 2014, n. 41735, Pelle;

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Dopo aver negato il riconoscimento della derivazione mafiosa, il Tribunale si sofferma su un’eventuale mafiosità propria dei due distinti gruppi criminali, cioè sull’acquisizione di una carica autonoma di intimidazione.

Passando in esame le caratteristiche di quell’associazione dedita alla commissione di delitti di usura ed estorsione, i giudici condividono con l’impostazione accusatoria l’affermazione del “carattere criminale” della stessa pur escludendone

la connotazione mafiosa227.

Pur essendo riconosciuta la circostanza che le azioni di recupero dei crediti erano perpetrate mediante metodologie violente ed intimidatorie, tali fatti costituiscono piuttosto i reati-fine di un’associazione rientrante nel paradigma dell’art. 416 e non risultano finalizzati alla creazione di un prestigio criminale che possa costituire la

base su cui innestare la futura attività delinquenziale228. In particolare dalla

piattaforma probatoria emerge da una lato la composizione scarna dei soggetti partecipi dell’associazione criminale (in tutto quattro) non sufficiente per integrare l’elemento organizzativo, inteso pacificamente come prerequisito implicito per

integrare il tipo mafioso229; è possibile obiettare su tale punto richiamando quegli

orientamenti giurisprudenziali in tema di rilevanza delle “piccole mafie”230, cioè di

consorterie criminali con un basso numero di componenti, nello specifico almeno tre, e che rivolgono la forza d’intimidazione tipica verso un limitato territorio o un

circoscritto settore di attività231.

227 Trib. Roma, 20 luglio 2017, cit., 3074;

228 L. FORNARI, Il metodo mafioso: dall’effettività dei requisiti al “pericolo di intimidazione” derivante da un contesto criminale?, www.dirittopenalecontemporaneo.it , 2015, 27;

229 G.SPAGNOLO, L’associazione di tipo mafioso, Padova, 1997, 22; secondo cui già con riferimento

alla proposta di legge emergerebbe “la volontà di prendere in considerazione non una macro – organizzazione mafiosa, ma ogni micro – organizzazione di quel tipo”; F.ANTOLISEI, Manuale di

diritto penale. Parte speciale, Vol. II, C.F. GROSSO (a cura di), Milano 2015, 120; G. NEPPI MODONA, Il reato di associazione mafiosa, in Dem. Dir., 1983, 47; G.A.DE FRANCESCO, Societas

sceleris. Tecniche repressive delle associazioni criminali, in Riv. It. dir. proc. pen, 1992, 107; ID.,

Associazione a delinquere e associazione di tipo mafioso, in Dig. Disc. Pen.alisti, Torino, 1987,

312; A.INGROIA, L’associazione di tipo mafioso, in Enc. Dir., Milano, 1997,135; secondo cui infatti non può esservi un’associazione senza organizzazione, per cui la sussistenza dell’elemento organizzativo deve essere autonomamente dimostrato; G. TURONE, Il delitto di associazione

mafiosa, Milano, 2015, 186;

230 P. POMANTI, Principio di tassatività e metamorfosi della fattispecie: l’art. 416 bis c.p.,

www.archiviopenale.it , 2017, 3; l’Autore afferma l’applicabilità dell’art. 416 bis alle “micro – mafie” secondo un’interpretazione letterale del dato normativo;

231 Cass. Pen., 30 maggio 2001, Hsiang Khe Zhi, con nota di G. GIORGIO, in Il Foro Italiano, 2004,

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D’altro lato viene riscontrata la presenza di un numero di vittime nel complesso modesto, nella specie non più di undici debitori distribuiti nei tre anni in cui il sodalizio è rimasto operativo: il numero esiguo delle vittime non può che precludere l’avvenuta integrazione degli elementi costitutivi di cui all’art. 416 bis giacché è necessario dimostrare che dagli atti di violenza e minaccia si sia generato un clima

di soggezione all’interno di uno o più contesti di vita sociale232.

Affermazione che prende le mosse da un principio generalmente accettato nella letteratura penalistica, per cui non è sufficiente dimostrare che i singoli atti di intimidazione abbiano colpito una platea di soggetti più o meno ampia, essendo necessario provare che la consorteria abbia acquisito nel proprio patrimonio criminale una forza di intimidazione tale da poter essere dispiegata nei confronti di

una pluralità potenzialmente illimitata di soggetti233. I giudici di Piazzale Clodio

dunque non hanno riconosciuto all’associazione quella diffusività della fama criminale tale da poter espandere la cerchia delle vittime oltre il limitato contesto

dei soggetti estorti o usurati234.

Da tale quadro generale il Tribunale è giunto ad affermare l’assenza della carica autonoma di intimidazione dal momento che la forza intimidatrice deve incidere non sulla sfera di singoli soggetti, ma su una pur ristretta ma potenzialmente

indeterminata collettività235. Infatti, la carica autonoma d’intimidazione secondo la

dottrina maggioritaria è l’elemento che conferisce un disvalore ulteriore ai singoli atti di violenza e minaccia, costituendo un posterius degli stessi sintomatico

dell’esistenza di un’associazione di tipo mafioso236; in altri termini, può affermarsi

il principio secondo il quale la forza d’intimidazione deve avvolgere ogni condotta posta in essere dai membri del sodalizio, compresi quei contegni di per sé leciti ma che rientrano in un più ampio disegno criminale condiviso all’interno del sodalizio,

232 L. FORNARI, Il metodo mafioso, 27, cit.;

233 A. BARAZZETTA, Art. 416 bis, in Codice penale commentato, E. DOLCINI,G.L.GATTA (a cura

di), tomo II, Milano, 2015, 1654; T. GUERINI, Dei delitti contro l’ordine pubblico, in Codice penale

commentato, A. CADOPPI,S.CANESTRARI,P.VENEZIANI (a cura di), Torino, 2018, 1509;

234 E. ZUFFADA, Per il Tribunale di Roma “Mafia capitale” non è mafia, cit.,13;

235 G. CANDORE, Il “mosaico spezzato”: da “mafia capitale” a “corruzione capitale”, in Cass. Pen., 2018, 1168;

236 G. TURONE, Il delitto di associazione mafiosa, Milano, 2015, 140; G. FIANDACA,E.MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, Vol. I, Bologna, 2015, 495; G. BORRELLI, Il “metodo mafioso” tra

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e non può essere espressa esclusivamente rispetto alla commissione di specifici delitti237.

Lo stesso schema logico-interpretativo viene utilizzato per negare la mafiosità del sodalizio criminale, facente capo a Salvatore Buzzi ed anche a Massimo Carminati, che fungeva da cerniera tra il mondo economico-imprenditoriale ed i pubblici

funzionari238; in questo caso, gli elementi ostativi a tale riconoscimento consistono

nel dato temporale e nella difficoltà di riscontrare una forza d’intimidazione in grado di trascendere i singoli episodi di violenza nonché di proiettarsi verso una

dimensione soggettivamente più estesa239.

Per quel che concerne la prima problematica, il sodalizio dedito all’inquinamento dell’attività amministrativa sarebbe nato prima del gruppo criminale previamente preso in esame: di conseguenza, il Tribunale giunge alla conclusione per cui l’associazione del “mondo di sopra” non avrebbe potuto acquisire le metodologie

criminali nonché l’intimidazione di quella operante nel “mondo di sotto”240.

In aggiunta, l’inserimento di Massimo Carminati non sarebbe derivato dalla volontà di trasferire i metodi violenti del primo nel sodalizio di fatto gestito da Salvatore Buzzi, ma piuttosto alla difficoltà di quest’ultimo di mantenere i rapporti di natura illecita con l’amministrazione capitolina dell’epoca, in considerazione dell’insediamento della nuova Giunta Comunale formata da soggetti che, proprio come Carminati, vantavano dei trascorsi all’interno di movimento di militanza

politica di tipo eversivo241.

Analizzando il requisito della forza d’intimidazione, essendo esclusa la sussistenza della “riserva di violenza” in virtù della scissione, effettuata ex post dal collegio, delle due associazioni, anche il tal caso viene confermata l’impostazione accusatoria nella parte in cui sostiene che il metodo corruttivo fosse affiancato e sostenuto da contegni minacciosi, posti in essere solo in caso di mancato

237 E. ZUFFADA, Per il Tribunale di Roma “Mafia capitale” non è mafia, cit.,13; 238 Trib. Roma, 20 luglio 2017, cit., 3090;

239 L. FORNARI, Il metodo mafioso: dall’effettività dei requisiti al “pericolo di intimidazione” derivante da un contesto criminale?, 27, cit.;

240 Trib. Roma, 20 luglio 2017, cit., 3090; G. CANDORE, Il “mosaico spezzato”, cit., 1168;

241 Trib. Roma, 20 luglio 2017, cit., 3092; E. ZUFFADA, Per il Tribunale di Roma “Mafia capitale” non è mafia, cit.,13;

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asservimento del pubblico funzionario242. Viene però smentito l’assunto per cui da

una strategia criminale di tale tipo (in cui la commistione tra corruzione e intimidazione diviene il tratto caratterizzante) possa originare una carica autonoma d’intimidazione rilevante per l’integrazione del delitto di cui all’art. 416 bis del

codice penale243.

Tale tema, rispetto al sodalizio di cui si sta trattando, si intreccia con l’ulteriore questione dell’individuazione dei destinatari dell’eventuale forza d’intimidazione, in quanto mancherebbe una controparte suscettibile di subire la forza

d’intimidazione promanante dal gruppo244. Per un verso i pubblici funzionari non

possono essere considerati alla stregua di vittime dell’associazione giacché

costituiscono una componente degli accordi corruttivi 245 : il Tribunale,

contrariamente a quanto sostenuto dalle altre pronunce nelle more del medesimo procedimento, concepisce dunque il metodo corruttivo non al pari di un’estrinsecazione di una più evoluta metodologia mafiosa ma come strategia

alternativa a quest’ultima246.

In tal modo risulta ancor più evidente la distonia tra le due condotte illecite vista la necessaria pariteticità delle parti nell’accordo corruttivo, da un lato, e il

condizionamento mafioso (che esclude la plurisoggetività) dall’altro247. Per altro

242 Requisitoria della pubblica accusa, relative al procedimento n. 12621/2015, R.G. Dib., 32 ss.;

Trib. Roma, 20 luglio 2017, cit., 3090;

243 G. AMARELLI, Associazione di tipo mafioso e mafie non tradizionali, cit., 965;

244 A. APOLLONIO, Rilievi critici sulle pronunce di “Mafia Capitale”, cit., 137; secondo l’Autore

bisognerebbe considerare anche l’assenza di un sodalizio alle spalle dotato di una propria cifra identitaria (o “marchio”) che possa accrescere quella pervasività tipica delle associazioni mafiose storiche;

245 E. ZUFFADA, Per il Tribunale di Roma “Mafia capitale” non è mafia, cit.,13; Trib. Roma, 20

luglio 2017, cit., 3090; l’assenza di una consolidata fama criminale viene desunta anche da un episodio, considerato decisivo nella ricostruzione dei fatti assunta dai giudici romani, in cui un consigliere comunale aveva aggredito fisicamente, per questione relativa ad una rifusione delle spese sostenute durante la campagna elettorale, un membro del sodalizio senza subire alcun tipo di conseguenza;

246 G. AMARELLI, Associazione di tipo mafioso e mafie non tradizionali, cit., 965, l’Autore sostiene

l’assunto indicando come i rapporti con i pubblici funzionari si esaurissero in “lunghe negoziazioni ed onerose intese”, senza che questi percepissero un timore diffuso nell’entrare in contatto con gli interlocutori; A.APOLLONIO, Rilievi critici sulle pronunce di “Mafia Capitale”: tra l’emersione di

nuovi paradigmi ed il consolidamento nel sistema di una mafia soltanto giuridica, in Cass. Pen.,

2016, 137; E. ZUFFADA, Per il Tribunale di Roma “Mafia capitale” non è mafia, cit.,15;

247 G. CANDORE, Il “mosaico spezzato”: da “mafia capitale” a “corruzione capitale”, in Cassazione penale, 2018, 1169; E. ZUFFADA, Per il Tribunale di Roma “Mafia capitale” non è

mafia, cit.,15; L. FORNARI, Il metodo mafioso: dall’effettività dei requisiti al “pericolo di

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verso risulta poco plausibile l’ipotesi per cui i destinatari della carica intimidatoria possano individuarsi negli imprenditori concorrenti sia per la sporadicità del ricorso a metodi violenti nei loro confronti (dalle risultanze probatorie emerse in dibattimento, vengono attestati solo quattro episodi di intimidazione a carico di questi) sia perché l’esclusione dalle gare d’appalto costituiva un effetto del sistema

corruttivo in termini di alterazione delle regole della concorrenza e del mercato248.

In altri termini, il sodalizio non avrebbe fatto ricorso ad un’intimidazione mafiosa quanto piuttosto ad un “diffuso sistema di assegnazione delle gare pubbliche […] attraverso il sistematico ricorso a gare truccate” e mediante il “distorto rapporto tra

imprenditoria e politica”249.

In ragione dell’orientamento interpretativo “tradizionale”250, così come adottato

nella pronuncia resa in primo grado, autorevole dottrina ha sottolineato come i giudici del Tribunale abbiano indirettamente enucleato alcuni indici sintomatici di una forza d’intimidazione a sfondo mafioso, quali la “base” violenta ed estorsiva dei reati commessi e l’effettiva percezione da parte degli interlocutori della violenza e della minaccia atte a far valere le pretese rientranti nel piano criminoso

dell’associazione251.

In sintesi, il sentiero ermeneutico battuto dai giudici di merito nella sentenza di “Mafia Capitale”, al fine di escludere l’integrazione del reato di associazione di tipo

mafioso, conduce all’enucleazione di due principi generali252: innanzitutto, non può

che precludersi la configurabilità del delitto di cui all’art. 416 bis rispetto ad un’associazione criminale preordinata all’illecito ottenimento di commesse pubbliche tramite il ricorso a un oliato sistema corruttivo, in quanto la fattispecie

associativa de qua richiede l’utilizzo del metodo mafioso253.

248 G.CANDORE, Il “mosaico spezzato”: da “mafia capitale” a “corruzione capitale”, cit., 1169; 249 Trib. Roma, 20 luglio 2017, cit., 3090;

250 G.FIANDACA, Esiste a Roma la mafia? Una questione (ancora) giuridicamente controversa, in Il Foro It., 2018, 176;

251G. AMARELLI, Associazione di tipo mafioso e mafie non tradizionali, cit., 965;

252 B.ROSSI, Osservazioni a Cass. Pen., Sez. II, data deposito (dep. 2 marzo 2018), n. 9513, in Cass. Pen., 2018, 3255;

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In secondo luogo, viene affermato il principio per cui affinché venga acquisita una “carica autonoma di intimidazione” non sia sufficiente il compimento di concreti atti di violenza e minaccia nei confronti di una platea di vittime di esigue dimensioni, dal momento che ciò rientra nel programma criminoso fissato dal sodalizio, bensì è necessario che la forza d’intimidazione sia rivolta verso una collettività e percepibile all’esterno come promanante dalla storia criminale dell’intero sodalizio, pertanto capace di mantenersi tale anche prescindendo dai singoli episodi di

violenza254.

Tali conclusioni si inseriscono nello stesso solco interpretativo della giurisprudenza di legittimità in tema di “Mafie in trasferta”, secondo cui, se non è necessario che ogni cellula abbia effettivamente fatto ricorso in loco al metodo mafioso, si ritiene doveroso dimostrare (oltre al collegamento organizzativo-strutturale della stessa con la “casa madre”) che l’articolazione periferica abbia comunque attuato nel nuovo contesto territoriale un sistema incentrato sull’assoggettamento derivante

dalla forza intimidatrice, senza ricorrere ad azioni eclatanti255.

3.4. La sentenza della Corte d’Appello di Roma: “Mafia capitale” costituisce

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