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VICENDA “MAFIA CAPITALE”

2. Il procedimento denominato “Mafia Capitale” e l’interpretazione estensiva dell’art 416 bis

2.3. La compatibilità tra metodo mafioso e accordo corruttivo

Un altro punctum dolens della pronuncia emessa in sede cautelare dalla Cassazione riguarda la possibilità di far coesistere nell’apparato strumentale dell’associazione mafiosa l’elemento della forza d’intimidazione assieme alla capacità corruttiva della stessa. Per meglio dire, il problema non si pone quando la corruzione di pubblici ufficiali rappresenta uno dei reati-fine cui tende la consorteria mafiosa, ma quando essa diviene una componente da cui trae origine il potere intimidatorio di un sodalizio di recente formazione (e per di più senza alcun collegamento con le “mafie storiche”), fino a soppiantare l’esteriorizzazione delle metodologie

mafiose153.

Siffatta questione viene accentuata dalla circostanza, già evidenziata in precedenza, che se i pubblici funzionari debbano essere sottratti dal novero delle vittime della compagine criminale, costituendo una “controparte” della stessa, allora la forza di intimidazione sembrerebbe non raggiungere quella soglia minima di offensività richiesta dall’art. 416 bis del codice penale a causa di una sparuta cerchia di destinatari154.

150 P. GAETA, Nuove Mafie: evoluzione di modelli e principio di legalità, cit., 2728; 151 G. FIANDACA, Commento all’art. 1 della legge n. 646/1982, in Leg. Pen., 1983, 263;

152 P. GAETA, Nuove Mafie, cit., 2728; secondo l’Autore “più è sfumata la territorialità, più difficile

è rinvenire la tipizzazione e l’offensività in concreto”;

153 A. APOLLONIO, Rilievi critici sulle pronunce di “Mafia Capitale”, cit., 134; 154 P. GAETA, Nuove Mafie, cit., 2729;

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In tale contesto si colloca la questione concernente i rapporti tra i fenomeni mafiosi e corruzione quale strumento utilizzato al fine di consolidare il proprio dominio sulla società civile nonché quale conseguenza dell’adeguamento delle mafie alle evoluzioni economico-sociali: in altre parole, si sono fatte largo realtà associative criminali in cui coesistono il metodo intimidatorio, fondato su una “memoria collettiva ed individuale” avente ad oggetto le violenze e le prevaricazioni perpetrate dai partecipi in una fase precedente del sodalizio e su cui si innesta lo stato di assoggettamento, e la dimensione corruttivo-collusiva, mediante la quale la compagine criminale riesce a strumentalizzare la funzione pubblica al fine di

esercitare un’egemonia su determinati settori politici ed imprenditoriali155.

La pronuncia della Corte regolatrice, nella parte in cui descrive la struttura organizzativa ravvisando un continuum operativo tra l’“uso di prevaricazioni” e la “sistematica attività corruttiva, ferma restando una riserva di violenza nel

patrimonio associativo”156, aderisce alla posizione, riportata anche nella Relazione

annuale 2015 della Direzione Nazionale Antimafia, secondo cui l’attività corruttiva di tipo sistematico debba ritenersi compatibili con la forza di intimidazione purché nell’apparato strumentale dell’ente criminale vi sia una “riserva di violenza”, cioè

la disponibilità di esercitare la violenza propria del metodo mafioso157. Senonché

tale ricostruzione si scontra con la struttura del delitto corruttivo in tutte le sue singole fattispecie, quale reato a struttura bilaterale che si perfeziona mediante lo scambio di consensi dei protagonisti dell’accordo in posizione di parità l’uno

rispetto all’altro158; su queste basi interpretative, attenta dottrina ha rilevato

155 Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Relazione annuale 2015 (periodo 01/07/2014

– 30/06/2015), 255; G. PIGNATONE, Le nuove fattispecie corruttive,

www.dirittopenalecontemporaneo.it , 2018, 7;

156 Cass. Pen., Sez. VI, 10 aprile 2015, n. 24535, Mogliani e altri;

157 G. PIGNATONE, Le nuove fattispecie corruttive, www.dirittopenalecontemporaneo.it , 2018, 9; G.

PIGNATONE, M. PRESTIPINO, Modelli criminali, cit., 175; viene posta in rilievo una distinzione tra “corruzione pulviscolare”, formata dall’accordo tra soggetti che occupano ruoli non di elevato rango all’interno della pubblica amministrazione ed avente ad oggetto il mercimonio di singole atività amministrative di bassa rilevanza, e “corruzione sistematica e organizzata”, tipica delle criminalità organizzate, con cui sia il pubblico funzionario asservito (o per meglio dire, a libro paga) che il corruttore si propongono di conseguire un accrescimento della ricchezza personale a danno del pubblico;

158 G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, Vol. I, Bologna, 2015, 226; M.

ROMANO, I delitti contro la Pubblica Amministrazione. I delitti dei pubblici ufficiali, Milano, 2013, 145;B. SCARCELLA, Dei delitti contro la pubblica amministrazione, in Codice penale commentato, A. CADOPPI,S. CANESTRARI,P.VENEZIANI (a cura di), Torino, 2018, 1183; S. SEMINARA, Gli

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un’ontologica inconciliabilità logico-giuridica tra metodologia mafiosa e metodologia corruttiva, per cui da una parte vi è la tangente e dall’altra la “protezione” (intesa in senso di intimidazione) del sodalizio mafioso, essendo due

requisiti modali che non possono coesistere159.

Correttamente poi è stato fatto notare come nella decisione della giurisprudenza di legittimità, sempre all’esito del procedimento de libertate e quindi ancora lontana dall’affermazione della responsabilità penale dei partecipi al sodalizio, non emerga la definizione di un “sistema mafioso”, finalizzato ad accrescere la capacità di infiltrazione da parte dell’associazione all’interno di limitati settori istituzionali ed economici, ma di un “sistema corruttivo diffuso”: non viene rilevata infatti una forza d’intimidazione, in quanto tale, sia perché l’analisi giudiziaria prende le mosse da singoli episodi di matrice violenta o minacciosa che possono quindi essere considerati marginali rispetto alle attività delinquenziali del sodalizio, sia perché non viene fatta alcuna distinzione tra lo stato di assoggettamento ed omertà derivante dall’apparato strumentale del vincolo e la situazione di emarginazione

concorrenziale in cui si trovi un terzo estraneo all’accordo corruttivo160.

In conclusione le criticità della pronuncia resa in fase cautelare nei confronti di soggetti partecipi ad una neonata associazione a delinquere di tipo mafioso possono ricondursi al problema del metodo ed in particolare alla sua possibile estensione (o per meglio dire, distorsione) oltre il dato semantico del terzo comma dell’art. 416 bis: non dovrebbe ritenersi sussistente il carattere mafioso rispetto ad un sodalizio

legge Anticorruzione, www.dirittopenalecontemporaneo.it, 2013, 7; il micro – sistema (artt. 318 ss. c.p.) concernente le varie fattispecie corruttive concentra il disvalore delle condotte penalmente rivelanti nel pactum sceleris, ovverosia nel raggiunto accordo tra il pubblico funzionario ed il privato per il mercimonio della funzione (ancora da esercitare – “corruzione antecedente” – o già esercitata – “corruzione susseguente”); con l’entrata in vigore della legge 190/2012 il sistema repressivo poggia sulla distinzione tra corruzione per l’esercizio della funzione disciplinata dall’art. 318, per cui lo scambio di consensi concerne la funzione da esercitare in termini conformi all’ordinamento, e corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio inserita all’art. 319, per cui il presupposto consiste nella contrarietà dell’atto a leggi o regolamenti o a istruzioni o ordini legittimamente impartiti; oltre a tutelare l’interesse generale alla correttezza e al buon andamento della Pubblica Amministrazione nonché a garantire la fiducia dei cittadini nello Stato e nella lealtà dei pubblici funzionari, i delitti di corruzione ricomprendono nei beni giuridici presi in considerazione la tutela della libera concorrenza

159 G.M. FLICK, Le regole di funzionamento delle imprese e dei mercati. L’incompatibilità con il metodo mafioso: profili penalistici, in Riv. It. dir. proc. pen, 1993, 906; A. APOLLONIO, Rilievi

critici sulle pronunce di “Mafia Capitale”, cit., 130;

160A. APOLLONIO, Rilievi critici sulle pronunce di “Mafia Capitale”, cit., 130; G. CANDORE, Il “mosaico spezzato”: da “mafia capitale” a “corruzione capitale”, cit., 1168;

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che ricorre solo sporadicamente a strumenti di intimidazione e che fa derivare lo stato di assoggettamento ed omertà non da una consolidata forza di intimidazione, la quale in questo caso è imputabile alla fama criminale non del gruppo in quanto

tale ma di alcuni membri dello stesso, bensì da un’ampia strategia corruttiva161.

In questa direzione si muove parte della dottrina secondo cui siffatta dilatazione del dato normativo reca con sé il rischio di sfaldare la norma incriminatrice, degradando l’elemento della forza intimidatrice a mera “forza di suggestione”, al fine di

soddisfare istanze punitive simbolicamente avanzate162: l’illecito associativo in

esame dunque non dovrebbe ritenersi integrato ogniqualvolta il sodalizio sia dedito al compimento di delitti, quali ad esempio la corruzione, ma senza valersi del

metodo mafioso163.

Contrariamente si finirebbe per attribuire alla disposizione penale un valore meramente programmatico tale da orientare un percorso argomentativo proprio del

giudice, spogliandola del suo valore tipicamente precettivo164.

In tal senso debbono essere accolte le proposte, contenute nella Relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia, che richiedono l’intervento delle forze politiche al fine di adattare la fattispecie incriminatrice, che punisce il fenomeno associativo mafioso, rispetto alle nuove frontiere criminali esplorate dalla criminalità organizzata: oltre a prospettare una diversa collocazione del delitto in questione, da inserire all’interno del Titolo I del Libro II del codice penale intitolato “Delitti contro la personalità dello Stato” vista la capacità degli aggregati mafiosi di ledere i diritti politici dei cittadini e l’integrità dei poteri statali, viene suggerito di riconoscere normativamente il metodo corruttivo-collusivo, quale elemento

aggiuntivo (non sostitutivo) della capacità intimidatoria dell’aggregato mafioso165.

161 T. GUERINI,G.INSOLERA, La prova del metodo mafioso: il paradigma di “Mafia capitale”, in L’indice penale, 2018, 5;

162 T. GUERINI, Dei delitti contro l’ordine pubblico, in Codice penale commentato, A. CADOPPI,S.

CANESTRARI,P.VENEZIANI (a cura di), Torino, 2018, 1511-1512; G. INSOLERA, Guardando nel

caleidoscopio. Antimafia, antipolitica, potere giudiziario, in L’indice penale, 2015, 236; 163 G. SPAGNOLO, L’associazione di tipo mafioso, Padova, 1993, 47;

164 P. FERRUA, L’inammissibilità del ricorso: a proposito dei rapporti tra diritto “vigente” e diritto “vivente”, in Cass. Pen., 2017, 3006;

165 Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Relazione annuale 2015 (periodo 01/07/2014

– 30/06/2015), 255; nella Relazione viene auspicata la modifica del settimo comma dell’art. 416 bis nel senso che segue: “Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto o il profitto dei delitti, ovvero

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