VICENDA “MAFIA CAPITALE”
2. Il procedimento denominato “Mafia Capitale” e l’interpretazione estensiva dell’art 416 bis
2.2. L’ambito di operatività dell’associazione
Oltre al problematico inquadramento della prassi corruttiva all’interno della forza
d’intimidazione137, una chiave di volta interpretativa del caso “Mafia Capitale”
concerne il requisito del controllo territoriale esercitato dall’associazione o per meglio dire lo scenario entro il quale il sodalizio mafioso riesce a sprigionare la propria forza intimidatrice. Da una prospettiva socio-criminologica tale fattore è sempre stato assunto quale elemento qualificante dell’associazione mafiosa e semanticamente espresso in vari modi, soprattutto nei procedimenti relativi alle mafie straniere in cui si faceva riferimento non tanto alla componente territoriale
quanto alla “collettività” o al “contesto sociale”138. L’associazione mafiosa
tradizionale, secondo autorevole dottrina, riuscirebbe a conseguire per mezzo del metodo mafioso un controllo definito “totalitario” del territorio o di un determinato settore economico in cui tutti i membri della collettività conoscono dell’esistenza del sodalizio e risultano sensibili al regole poste alla base dell’ordinamento mafioso, diversamente da quanto accade per le consorterie di matrice transnazionale rispetto
alle quali il controllo sociale risulta essere meno diffuso e più selettivo139. Pur
trattandosi di un dato implicito storicamente registrato, la componente del
136 A. APOLLONIO, Rilievi critici sulle pronunce di “Mafia Capitale”, cit., 131; 137 Questione che verrà approfondita nel paragrafo 3.2.3;
138 A. APOLLONIO, Rilievi critici sulle pronunce di “Mafia Capitale”, cit., 131; A.LA SPINA, Mafia, legalità debole e sviluppo del Mezzogiorno, cit., 41; F. MANTOVANI, Mafia: la criminalità più
pericolosa, cit. 10; Cass. Pen., 30 maggio 2001, Hsiang Khe Zhi, con nota di G. GIORGIO, in Il Foro
It., 247;
139 A. APOLLONIO, Estorsione ambientale e art. 416 bis 1 c.p. al cospetto dei modelli mafiosi elaborati dalla giurisprudenza, in Cass. Pen., 2018, 3482;
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radicamento territoriale non può essere considerata alla stregua di elemento tipico della fattispecie, concepita come categoria generale e astratta sganciata dal qualsiasi
approccio regionalistico-territoriale140.
Secondo la pubblica accusa, le cui tesi sono state avvalorate dalla Corte di Cassazione, l’associazione criminale facente capo a Carminati “non ha alcun territorio di riferimento assoggettato, sotto qualsiasi forma, al suo controllo”, ma anzi “il fattore di accumulazione del suo potere risiede [..] in quel sistema di relazioni, istituzionalmente pervasivo e politicamente trasversale, che questo nuovo sodalizio, attraverso i suoi vertici, ha intrecciato nel mondo degli affari e della
pubblica amministrazione”141; in altri termini, nel settore economico l’uso della
minaccia o della violenza è sostituito da collaudati meccanismi corruttivi.
L’intenzione degli organi inquirenti è stata quella di trascendere la nozione di mafia tradizionale, che è quella poi che ha dato il via all’iter legislativo conclusosi con l’introduzione del delitto di associazione mafiosa, per approdare ad un nuovo paradigma giuridico e sociologico di mafia politico-amministrativa che, mediante un metodo corruttivo, non si propongono di conseguire un controllo territoriale su vasta scala ma sono in grado di influenzare un determinato settore economico o di
occupare un determinato spazio amministrativo-istituzionale142; il tutto basato su
un eventuale e potenziale ricorso alla forza intimidatrice143.
Risulta dunque di difficile individuazione la cerchia di soggetti nei cui confronti viene imposta la metodologia mafiosa, stante l’affermazione del Supremo Collegio per cui i pubblici amministratori non risultano essere le vittime dell’associazione, ma al contrario, per utilizzare le parole dei giudici, “la controparte dell’organizzazione”, per cui, una volta assicurata la loro collaborazione, anche e soprattutto con metodo corruttivo, viene a crearsi “una provvista di opportunità per
140 G. TURONE, Il delitto di associazione mafiosa, 2015, Milano, 25; L. BARONE, Associazione di tipo mafioso e concorso esterno, cit. 90;
141 Requisitoria della pubblica accusa, relative al procedimento n. 12621/2015, R.G. Dib., 33; Cass.
Pen., Sez. VI, 10 aprile 2015, n. 24535, Mogliani e altri;
142 A. APOLLONIO, Estorsione ambientale e art. 416 bis 1 c.p., cit., 3483; G. PIGNATONE, M.
PRESTIPINO, Modelli criminali, cit., 76;
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il gruppo, idonea a costituire un ulteriore motivo di timore da parte dei possibili
concorrenti nei settori economici controllati”144.
In tal modo però non si perviene né ad individuare una collettività soggiogata mediante il metodo mafioso, a meno di considerare gli operatori economici concorrenti nelle gare di appalto come tale, né a fornire elementi di prova atti a dimostrare uno stato di assoggettamento ed omertà penetrato nell’ambiente
operativo dell’associazione145. Da tale affermazione non può che scaturire una
valutazione sull’offensività del sodalizio criminale tenendo conto del radicamento
dello stesso nel contesto di pertinenza146: si rende necessario riscontrare una soglia
minima di intimidazione e conseguente assoggettamento (inteso dunque come
“annichilimento della società civile” 147 ) in una realtà locale ristretta e
tradizionalmente non ancora permeata dal fenomeno mafioso148.
In tale solco interpretativo si pone una pronuncia della Cassazione, secondo cui per verificare la sussistenza dei presupposti del delitto di associazione mafiosa è doveroso “accertare se la neoformazione delinquenziale si sia già proposta nell’ambiente circostante, ingenerando il clima di generale soggezione quale effetto
della sua stessa esistenza”149; in tal senso, autorevole dottrina ha fatto notare come
un’associazione criminale che rinunci alla territorialità tipica dei fenomeni mafiosi tradizionali non possa essere ricompresa all’interno dell’art. 416 bis proprio in
144 Cass. Pen., Sez. VI, 10 aprile 2015, n. 24535, Mogliani e altri;
145 A. APOLLONIO, Rilievi critici sulle pronunce di “Mafia Capitale”, cit., 134; l’Autore, oltre a
lamentare una “totale nebulosità circa il numero dei soggetti coinvolti, evidenzia il rischio di approdare ad un’interpretazione meramente “giuridica” del fenomeno mafioso che possa ricomprendere anche una criminalità politico – economica estranea alle metodologie mafiose;
146 G. FIANDACA,E.MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2015, 160; G. FIANDACA, L’offensività è un principio codificabile?, in Il Foro It., 2001, 1; il principio di offensività, secondo
il quale un fatto costituente reato debba provocare una lesione o un messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, non è esplicitamente previsto né dalla Costituzione né da alcuna fonte normativa pur essendo considerato unanimemente principio implicito ed immanente del sistema penale; in particolare, secondo la Corte Costituzionale (sentenza n. 265/2005), siffatto principio opererebbe su due piani, l’uno normativo per cui è onere del legislatore “prevedere fattispecie che esprimano in astratto un contenuto lesivo, o comunque la messa in pericolo, di un bene o di un interesse oggetto della tutela penale” (si parla di offensività in astratto), l’altro dell’applicazione giurisprudenziale, “quale criterio interpretativo – normativo affidato al giudice, tenuto ad accertare che il fatto abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l’interesse tutelato”;
147 A. BALSAMO,S.RECCHIONE, Mafie al nord. L’interpretazione dell’art. 416 bis e l’efficacia degli strumenti di contrasto, www.dirittopenalecontemporaneo.it , 2013, 6;
148 P. GAETA, Nuove Mafie: evoluzione di modelli e principio di legalità, in Cass. Pen., 2018, 2719; 149 Cass. Pen., Sez. II, 28 marzo 2017, n. 24850, Cataldo;
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punto di offensività150. Se per un verso però va rilevato lo sforzo compiuto dal
legislatore di tipizzare la fattispecie associativa cogliendo l’evoluzione delle
associazioni mafiose151, per altro verso non ci si può discostare, nell’interpretazione
giudiziale del fenomeno, da alcuni dati indefettibili che conferiscono pericolosità alle stessa: in altri termini, il controllo di una collettività, pur non costituendo elemento tipico di fattispecie, può assurgere a parametro di valutazione
dell’offensività dell’associazione rispetto alla forza d’intimidazione 152.