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Arriviamo così al tema centrale: la Gamification. Cos’è in primo luogo e come possiamo definirla? Parlando in termini generali, l’obiettivo alla base di questa metodologia è cercare di ridurre lo scarto fra ciò che le persone devono fare e ciò che le persone vogliono fare. L’idea di fondo è avvalersi delle leve motivazionali di cui abbiamo diffusamente parlato per suscitare nei soggetti la spinta ad adottare i comportamenti desiderati, una spinta che parta

dal soggetto stesso. L’idea di fondo non è nuova: avvalersi del gioco per applicarlo a contesti non ludici cosicché nel lavoro, nell’apprendimento e negli impegni più vari si sperimenti lo stesso slancio partecipato e fluido, totalizzante e coinvolgente, di chi gioca. Un’esperienza di flusso.

Ma in che modo si può ottenere questo? E funziona davvero nella pratica?

In questo capitolo ci concentreremo sul come. Quali sono le frecce all’arco della Gamification per raggiungere l’obiettivo. In che modo le scocca? Quali sono quindi i suoi concetti portanti, gli strumenti e le pratiche? Ci faremo guidare nella comprensione dei suoi vari aspetti dagli esperti del settore per capire cosa è in sostanza la Gamification e come funziona.

Nel capitolo successivo invece indagheremo la seconda questione, non meno cruciale: se le frecce vanno poi a centrare il bersaglio. Chiederemo alla letteratura scientifica se la Gamification funziona davvero, se ha la possibilità di risultare efficace e in quali contesti. Soprattutto ci faremo indicare dalla letteratura gli elementi critici che caratterizzano questa pratica e gli eventuali rischi. Andremo a verificare il rovescio della medaglia insomma. Ma per ora concentriamoci su cos’è e di cosa stiamo parlando.

C’è un sostanziale accordo riguardo alla definizione di Gamification. O meglio si riscontra un generale consenso sull’impianto di base, mentre vengono menzionate finalità diverse raggiungibili per suo tramite. Come vedremo si tratta però di modesti spostamenti dell’angolo visuale, tutto sommato conciliabili.

Una delle definizioni più generali e condivise è stata formulata da Deterding ed al., e recita così: “La Gamification è l’uso di elementi di gioco e di game-design all’interno di contesti

non ludici.”45

Quel che si dice, e che trova generale consenso, è che stiamo parlando non di una teoria ma di una metodologia, di uno strumento che serve alla messa in opera. La Gamification, come discende dalla parola stessa, è in primo luogo una prassi: è l’azione di rendere ludico. Di “ludicizzare”, come si usa rendere in italiano il termine inglese. Di rendere perciò ludico qualcosa che per sua natura non lo è, potremmo ulteriormente esplicitare. Questo aspetto è il secondo motivo di consenso fra gli autori, ossia la sua applicazione a contesti che non sono di gioco. Ma come si rende ludico ciò che non lo è? Il terzo elemento di consenso risiede in questo: lo si fa utilizzando aspetti che sono propri e caratteristici del gioco. Quindi si usano allo scopo elementi e meccaniche di gioco, combinando il tutto con tecniche di Game design. Quest’ultimo è un aspetto rilevante e vale la pena sottolinearlo, infatti fare Gamification significa anche traslare nel campo del non ludico le modalità ideative, le tecniche e gli elementi distintivi che caratterizzano la progettazione dei giochi. Progettare è una parola chiave, un aspetto fondamentale sul quale torneremo. Si utilizza la cassetta degli attrezzi, si prendono a prestito le modalità di procedere di chi progetta giochi, per metterli a servizio di scopi altri.

45 Deterding S., Dixon D., Khaled R., Nacke L. “From Game Design to Gamefulness: Defining Gamification”.

15th International Academic MindTrek Conference: Envisioning Future Media Environments, Tampere,

E veniamo agli scopi appunto.

Li raccogliamo qui sotto a partire dalle molte definizioni presenti nella letteratura di settore (v. fig. 3), mettendoli in elenco:

• modificare il comportamento delle persone; • risolvere problemi;

• motivare le persone a raggiungere i loro obiettivi; • ingaggiare gli utenti;

• rendere le attività maggiormente divertenti e interattive; • motivare le azioni;

• promuovere l’apprendimento.

Figura 3: Definizioni della letteratura di settore

Se colti nelle singole declinazioni gli scopi risultano effettivamente diversi. Eppure è un compito piuttosto agevole individuare una prospettiva unificante, è sufficiente infatti far riferimento al significato che l’esperienza dovrebbe assumere per i soggetti coinvolti in contesti gamificati. Quello che sembra emergere dalla maggioranza delle definizioni, come cifra comune rispetto alle finalità, sta proprio in questo: il gioco viene considerato nel suo senso più profondo, trasformativo. L’esperienza evocata dalla Gamification, almeno nelle intenzioni dichiarate, non si limita dunque alla gradevolezza. Pressoché tutte le finalità elencate puntano a un’esperienza ben più intensa del frivolo divertissmant e si situano invece nell’area dell’arricchimento e del cambiamento personali. Si parla di coinvolgere, risolvere

problemi, modificare comportamenti, promuovere l’apprendimento. Il tutto in una chiave partecipata e interattiva.

Riportiamo pertanto una definizione più ampia, che tenta di comprendere in sé anche la maggior parte delle altre. Si tratta della proposta avanzata da Karl Kapp e suona come segue: “La Gamification è l’utilizzo di meccaniche, dinamiche e estetiche proprie del gioco e del game-thinking per ingaggiare le persone, motivare le azioni, promuovere l’apprendimento e risolvere problemi.”46

Un elemento della definizione riferisce come una delle finalità “motivare le azioni”. Al di là di quanto già detto, c’è da sottolineare un aspetto in più: il ruolo del soggetto all’interno delle esperienze di Gamification è senza alcuna eccezione, almeno nella teoria, un ruolo attivo. Uno dei presupposti di tutto l’impianto, senza il quale se ne perderebbe l’intero senso, è precisamente questo: l’intenzione di incentivare nei partecipanti comportamenti attivi. I soggetti sono chiamati a rendersi protagonisti dell’esperienza, ad assumersi in proprio la scelta di partecipare. Solo a questa condizione, peraltro, il coinvolgimento pieno può aver luogo. Nel gioco si sceglie liberamente di sottoscrivere le regole, si vestono spontaneamente i panni dell’eroe e per questo si partecipa senza riserve ad un’attività che può essere anche molto impegnativa e onerosa. Perciò si spende volentieri il proprio tempo, per questo si utilizzano a pieno le proprie risorse cognitive, perché l’esperienza la si è scelta e sottoscritta. Lo stesso, affermano diversi autori, dovrebbe accadere nelle esperienze gamificate.

Non a caso è stata scelta la forma “gioco” come modello di riferimento, perché nel gioco siamo sempre attivi e protagonisti della nostra storia, perché ci coinvolgiamo in prima persona e lo facciamo in maniera assoluta, il che facilita trasformazioni profonde e apprendimenti duraturi. Come sostiene Huizinga, aspetti quali l’intuizione di altri mondi possibili o l’intravedere alternative virtuali conferiscono al gioco l’enorme potere di “ristrutturare la realtà”. E insieme di trasformare noi stessi.

Il gioco favorisce poi la partecipazione totale, sia in termini personali che sociali. “Mettersi in gioco” vuol dire proprio questo in fin dei conti. Da sempre giocare ha rappresentato un elemento di socializzazione e di unione, retto dal patto e dall’impegno di condividere regole comuni e lo stesso campo da gioco.

Così non si tratta più, se è mai stato così, di evadere dalla realtà rifugiandosi nel gioco ma di migliorare la realtà portandoci dentro elementi del gioco. Questo è precisamente ciò che si propone di fare la Gamification.

Ma per capire a fondo di cosa parliamo occorre tornare ancora una volta alla radice della parola e al cuore della questione, torniamo a parlare di gioco per sapere “a che gioco giochiamo”.

46 Kapp, Karl M. The Gamification of Learning and Instruction: Game-Based Methods and Strategies For