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7. La motivazione ad apprendere

7.2. La motivazione alla competenza

Le teorie cognitive sulla motivazione evidenziano quanto il pensiero degli individui su cosa potrebbe accadere in futuro finisce per stabilire il risultato, esattamente quanto ciò che poi accade davvero. Infatti le convinzioni, le credenze, l’opinione di sé influenzano la qualità e la durata dell’impegno che viene speso dai soggetti il che a cascata determina il risultato delle azioni.

Un costrutto che ha avuto ampio successo fra i ricercatori è la motivazione alla competenza, concetto avanzato da White nel 1959.26 Viene postulata l’esistenza di un livello

motivazionale di fondo, che si situa su un piano diverso rispetto alle altre motivazioni poiché è l’esigenza di far funzionare il meccanismo per il puro piacere di farlo. Svolgere una attività è gratificante in sé, poiché rende possibile dimostrare la propria competenza, il senso di padronanza e anche la fiducia nelle proprie risorse. Si sta parlando di quel bisogno di controllare il proprio ambiente che è basilare per gli esseri umani. Da alcuni è stato persino indicato come uno dei fattori che hanno consentito la sopravvivenza della nostra specie perché ha fatto sì che gli individui si impegnassero in attività gravose per sentirsi padroni di sé e per avere il controllo del proprio territorio. È così che l’individuo riesce ad attribuire un senso alla propria esistenza e a sapere di occupare un posto all’interno della società in cui vive. Il comportamento esplorativo si situa alla base della motivazione alla competenza ed è da notare come l’attività di esplorazione si attiva anche quando siano già state soddisfatte le necessità di sopravvivenza basilari. Non si tratterebbe quindi di un comportamento determinato da pulsioni o da bisogni primari, come assicurarsi le risorse necessarie alla sopravvivenza, ma da un bisogno di carattere generale, ossia di padroneggiare il proprio ambiente. Un comportamento, quello esplorativo, che ha anche a che vedere con il gioco e con la curiosità.

Nella stessa direzione, le ricerche di Berlyne27 si sono concentrate sul ruolo che la curiosità

ha nell’orientare le attività degli individui e nello spingerli a proseguirle. Lo studioso definì la curiosità epistemica come il bisogno universale di conoscere e di apprendere il funzionamento delle cose, in cui rientra anche il desiderio di conoscere il mondo tramite l’esplorazione dell’ambiente. Tale spinta sarebbe motivata dal desiderio stesso di sapere, senza altri fini e dunque anche in assenza di una ricompensa esterna. La curiosità può essere attivata dalla noia, si va in cerca di qualcosa per contrastarla e per il bisogno di ottenere nuove stimolazioni percettive. Ma anche gli elementi di novità e di incongruenza con le precedenti conoscenze la suscitano con forza, vanno infatti a creare un conflitto che genera

26 White, R.W. (1959). “Motivation reconsidered: The concept of competence”. Psychological Review. 66, 297-333, trad it. “Un riesame della motivazione: il concetto di competenza”, in Boscolo, P. (a cura di).

Psicologia dell’educazione. Giunti, Milano 1974.

27 Berlyne, Daniel E. (1960). Conflitto, attivazione e creatività: psicofisiologia del comportamento

la motivazione ad apprendere. La curiosità viene infatti stimolata da tali situazioni in cui occorre superare il momento di dissonanza cognitiva e ci si deve attivare per riuscirci. Questa impostazione sottolinea con forza l’importanza che hanno l’ambiente di apprendimento e gli stimoli presenti in tale contesto per motivare il discente in formazione. Sempre prendendo le mosse dal costrutto di motivazione alla competenza, Harter28 si

concentra sulle esperienze di successo e di insuccesso. Ciò che viene evidenziato di tali esperienze sono le conseguenze che hanno in termini di percezione di autostima. Ma non solo, varia in base all’esito dei tentativi compiuti anche la sensazione di controllo che si sperimenta sul proprio ambiente. Secondo questa prospettiva, quindi, la percezione di competenza discende da tre direttrici fondamentali:

l’interpretazione che si dà ai propri episodi di successo e di insuccesso; il tipo di sostegno sociale ricevuto;

l’esito dei propri tentativi di padronanza.

Cosa comporta il tipo di sostegno ricevuto dagli altri? Ciò che ottiene è facilitare o inibire i tentativi di indipendenza e padronanza. L’autovalutazione infatti risente fortemente del giudizio altrui, tanto che quest’ultimo viene anche definito come “l’immagine di sé allo specchio”. Una parola in un verso o nell’altro può comportare grandi, e a volte inaspettate, conseguenze.

Per quanto riguarda le altre due direttrici, invece, occorre tener presente che la motivazione alla competenza produce nei soggetti una forte tensione che spinge a compiere tentativi di padronanza in diverse aree di attività. Quando ai tentativi seguono esperienze di successo e si ottengono rinforzi positivi viene interiorizzato un vero e proprio sistema di autogratificazione che aumenta la percezione di competenza e di controllo. Infatti la soddisfazione esperita accresce la motivazione, consentendo di affrontare le situazioni come una sfida. Le situazioni successive vengono perciò vissute come delle occasioni per mettersi alla prova e sentirsi competenti. Le emozioni positive che ne discendono rinforzano ulteriormente la motivazione intrinseca e questa, a sua volta, spinge a compiere nuovi tentativi di padronanza. Si attiva così una spirale positiva che si rinforza via via.

Quando le azioni del soggetto conducono a insuccesso invece, rimane attivo il bisogno di riconoscimento da parte degli altri ma aumenta la preoccupazione di riuscire a dimostrarsi capaci e all’altezza delle situazioni. Parimenti aumenta la sensazione di non poter incidere sugli eventi quasi che fossero gli altri, o il destino, a controllarli. Si accrescono quindi i vissuti negativi e le emozioni che ne scaturiscono, prima fra tutte l’ansia. La spirale negativa conduce alla diminuzione della stima di sé e porta ad un decremento in generale della motivazione alla competenza, il che impedisce da ultimo lo sviluppo delle proprie competenze.

28 Harter, S. “Effectance motivation reconsidered. Toward a developmental model”, in Human Development, 1978, n. 21, pp. 34-64. Una efficace sintesi del modello proposto dalla Harter si trova in De Beni, R. Moè, A.

Abbiamo visto che la motivazione alla competenza produce nei soggetti una forte tensione che li spinge a compiere tentativi di padronanza in diverse aree di attività. Una di queste ci interessa particolarmente, ossia l’area cognitiva. All’interno di questo modello, che collega la motivazione sia alle convinzioni che si hanno circa la propria competenza e sia ai risultati conseguiti, è evidente come in campo formativo assuma un ruolo centrale il concetto di “livello di sfida ottimale”. È necessario porre il soggetto di fronte a delle sfide che può affrontare ma che lo mettano seriamente alla prova, in modo che possa sperimentare la vera e gratificante sensazione di successo. Il che non farà che alimentare il circuito della motivazione. Si tratta di un concetto cruciale per i nostri temi e verrà quindi ripreso più avanti.