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Con il termine ‘piattaforma’, nell‘ambito dell’eLearning, ci si riferisce all’infrastruttura hardware e software che serve da base per integrare tutte le funzioni necessarie allo svolgersi dell’attività di formazione online. Insomma, per chiarire usando una metafora, si tratta di un edificio ad accesso riservato che è provvisto di tutta l’attrezzatura necessaria ai fini della realizzazione di un percorso d’apprendimento. In rete, ovviamente.

Durante i primi passi dell’eLearning tutti i riflettori erano puntati sulla scelta della piattaforma. Ognuno era alla ricerca della piattaforma perfetta, della più lucente. Certamente, nella maggior parte dei casi, l’attenzione era diretta al ventaglio di funzioni a cui una piattaforma garantiva accesso rispetto ad un’altra; eppure non sono mancati accenti che rasentavano l’affannosa rincorsa all’ultima moda tecnologica. In un secondo momento, che in parte perdura fino ad oggi, l’orientamento più maturo si è andato attestando sul riconoscimento della rigidità delle piattaforme proprietarie ed ha dunque adottato le

piattaforme, ed un’ottica, Open Source. Più adatte all’impianto di corsi ricchi di contenuti multimediali per l’autoapprendimento, le prime; provviste di indubbi vantaggi di adattamento alle esigenze emergenti e di ricchezza degli strumenti di interazione, le seconde. Comunque fra proprietarie e non possiamo dire che oramai la scelta si attesta per la maggior parte su due/tre differenti “modelli”, con funzionalità abbastanza simili. Eppure di nuovo aleggia un’aria di insoddisfazione. Persino l’apertura che caratterizza i programmi Open Source, portati avanti in maniera collaborativa da comunità interessate al loro sviluppo, sembra inadeguata rispetto alle recenti sollecitazioni provenienti da chi veleggia con agio nel web dei social media. Così, non sono poche le voci di ricercatori e studiosi che avanzano la proposta di un eLearning al passo con queste trasformazioni. Per comprendere da dove nasca il disagio, occorre senza dubbio prendere atto degli esiti del primo periodo di sperimentazione nell’ambito dell’eLearning. Ai primi entusiasmi, a volte acritici, non sono seguiti risultati adeguati alle aspettative. È probabile che alcune previsioni fossero troppo superficiali e che per conseguire i vantaggi intravisti non bastasse qualche applicazione tecnologica. In ogni caso anche dei successi migliori non si è riusciti a far tesoro; non sono stati valorizzati i casi d’eccellenza che avrebbero potuto valere da modello e ispirazione per altre esperienze. Nel complesso, insomma, né si sono tesaurizzate le esperienze positive, né si è riusciti a comunicare proficuamente i propri risultati di ricerca, complice l’assenza di un polo nazionale riconosciuto nel settore che potesse ricoprire un ruolo di coordinamento delle esperienze. La dispersione che ne è risultata ha impedito lo stabilizzarsi degli usi e l’emergere di prassi consolidate, che si svolgessero sul medio e lungo periodo e che risultassero dunque di ampio respiro. Ne è disceso l’ulteriore effetto negativo annesso alla difficoltà di formulare un giudizio complessivo sulle pratiche di eLearning, dato che gli unici tratti costanti son parsi essere l’episodicità, la frammentarietà e l’irriducibilità ad alcun comune denominatore. Perciò, al di là delle nobili dichiarazioni d’intenti, quel che si verifica è una battuta d’arresto, a differenza di ciò che sarebbe auspicabile, ovvero uno sviluppo costante coerente ed adeguatamente sostenuto.

Ed ecco perché sempre più si fa largo chi, attribuendo alla prima fase un esito largamente fallimentare, invoca un eLearning differente. Stare al passo con ciò che è successo nel web vuol dire questo, compiere lo stesso tipo di salto, di discontinuità. Quella discontinuità intercorsa fra un primo periodo, in cui la rete era concepita ed utilizzata prevalentemente quale deposito statico di contenuti, conoscenze ed informazioni, e l’attuale ambiente che collega non più solo contenuti ma persone ed intelligenze, un luogo che si alimenta di relazioni e della costruzione condivisa della conoscenza. La critica che, chi si appella ad un identico cambiamento per l’eLearning, muove alla prima generazione di progetti è un utilizzo sclerotico di una piattaforma chiusa, asfittica, che non riesce ad essere permeabile rispetto alla ricchezza della rete, ad incorporare le sue dinamiche vitali. Una piattaforma svuotata di vero senso per renderla un bel contenitore, non solo per contenuti riciclati, ma anche per pratiche imbalsamate. Ed usata come un recinto, protetto sì, ma opprimente. Si sono dunque placati gli entusiasmi iniziali, di chi si era illuso che anche solo premere il tasto d’accensione della nuova tecnologia, o aprire la lucente piattaforma con mille funzioni,

potesse risolvere annosi problemi didattici e pedagogici. Invece non abbiamo fatto altro che portarli con noi, all’interno di un ambiente in cui paiono stridere ancor più aspramente. C’è chi sostiene che, dopo i primi entusiasmi e le conseguenti disillusioni, siamo arrivati al tempo della maturità. Di sicuro si tratta di un momento proficuo per la riflessione. Così, il nodo problematico pressante per chi anima proposte di un eLearning rinnovato ruota attorno all’arricchimento degli spazi formali d’apprendimento e può suonare in questi termini: è possibile portare dentro la piattaforma le nuove istanze che veleggiano attualmente nel web? Far loro attraversare la soglia? Il rischio è che nel passaggio si tramutino in rami secchi e muoiano. È dunque impensabile questa soluzione e serve invece aprire la piattaforma? Ma aprendola, non si distruggerà forse, dissolvendosi nella rete stessa? Si tratta di problematiche non certo nuove, ed anzi concernenti l’annoso confronto fra informale e formale, ma amplificate a dismisura da un ambiente come il web che offre un patrimonio inesauribile non solo di materiali ma di possibilità sociali di apprendimento. L’equilibrismo che tocca all’educazione formale consiste nel camminare su un filo sottile per rimanere in un luogo protetto e “controllato” senza cadere in uno che risulta in definitiva troppo chiuso e soffocante. Se le problematiche sono semplici da formulare, la battuta di caccia alle risposte è invece decisamente impegnativa. Ed ecco perché occorre osservare tutto ciò che si muove negli spazi appena limitrofi all’eLearning, e non guardare solo all’interno dell’orticello ristretto della piattaforma. Altrimenti si corre il rischio di perdere l’occasione di farne un ambiente ricco e denso, di non riuscire a rendere il percorso un’esperienza significativa per tutti i soggetti coinvolti. Così, anche a questo serve considerare le pratiche di apprendimento informale in rete; ed ecco perché preoccuparsi delle rappresentazioni che abbiamo degli oggetti e degli ambienti d’apprendimento. Anche per capire che funzione si vuole assegnare ad una piattaforma di eLearning. Perché infatti non si tratta di scegliere un pulsante piuttosto che un altro, bensì approntare il contesto in cui ambientare o il recinto in cui racchiudere l’esperienza d’apprendimento.

Chi sostiene l’idea di un eLearning rinnovato fornisce agli interrogativi appena presentati formulazioni di indubbio rilievo:

“In contrapposizione alle piattaforme che, anche laddove siano ispirate a filosofie costruzioniste, come nel caso di Moodle, risentono di una concezione dirigistica dell’apprendimento, si apre la strada rappresentata dalla prospettiva degli ambienti individuali di apprendimento. Tale prospettiva, riassumibile nell’assunto che «il Web è la piattaforma», valorizza le dinamiche spontanee e l’eclettica integrazione di nuovi e interessanti strumenti: wiki, blog, podcast, mappe concettuali collaborative [...]. L’attuale incapacità dell’eLearning di promuovere l’interesse e la motivazione degli studenti, specialmente dei più giovani, è il fallimento dell’immaginazione nell’insegnamento online e della fiducia nell’autonomia degli individui ad apprendere secondo traiettorie flessibili e personali. L’eLearning, sebbene possa continuare a offrire utili opzioni nei contesti

dell’apprendimento formale, deve e può evolversi verso soluzioni aperte, incentrate su attività concrete e interessi personali.”79

Eppure le soluzioni rimangono sfocate, non si capisce come le si dovrebbe porre in essere. In modo corretto, in questo come in altri casi, si dichiara la difficoltà di fornire soluzioni agibili ed il permanere di numerose incognite, data la difficoltà di trovare applicazione concreta a dei principi che pure si ritengono imprescindibili.

Se guardiamo appena fuori dalla piattaforma possiamo trovare qualche accenno di risposta. Posto, è evidente, che nessuna soluzione per ora può avere la pretesa di imporsi come corretta o definitiva. Ad ogni modo è probabile che si debba rinunciare a parte dell’infatuazione per il controllo che ha contagiato chi si è trovato a gestire piattaforme in grado di tracciare ogni movimento eseguito al loro interno; d’altronde seguire ogni minimo passo spesso non rende conto affatto del mutamento, tantomeno di quello intellettuale. Si potrebbe proficuamente svolgere una parte dei progetti collaborativi al di fuori dell’ambiente dedicato, rischiando di non essere in grado di proteggere, certo, o controllare, di sicuro. Ma rischiando anche di riportare all’interno della piattaforma una ricchezza da condividere e concettualizzare insieme. È d’altro canto impensabile l’idea di riuscire a portare tutta la vita all’interno della piattaforma, ad integrare lì dentro ogni applicazione interessante che nasce e si sviluppa fuori, in rete. Infatti rincorrere ogni neonato strumento sarebbe improponibile. Nella stessa misura sarebbe improbabile ipotizzare una totale scomparsa di ambienti coerenti in cui impiantare l’apprendimento formale. Insomma, risulta difficile postulare la sparizione delle piattaforme a favore del web tout court. Le piattaforme dovrebbero però farsi più lievi e meno cariche di contenuti, più trafficate e affollate di voci diverse. Alleggerirle dalle molte trattazioni, da troppe lezioni audio-video, da percorsi rigidamente definiti, da test statisticamente calibrati. Se pensate come botteghe, potrebbero proporsi da base per la realizzazione di opere collaborative e al loro interno albergare strumenti per favorire l’esplorazione e l’imitazione di competenze in azione. Per completare le proprie opere, fra l’altro, occorrerebbe spesso uscire dalla bottega, guardar fuori, riportare degli oggetti trovati all’esterno, delle idee avute altrove, dei segmenti di opera svolti nella bottega accanto. Il collegamento con gruppi d’interesse esterni alla piattaforma, il servirsi di strumenti ulteriori, garantirebbe anche una rete di collegamenti non volatili, non legati al singolo percorso, e dunque un patrimonio di attrezzi del mestiere di cui avvalersi in piena autonomia anche altrove.

Nella direzione di un eLearning di nuova concezione le piattaforme dovrebbero evolvere maggiormente in direzione degli spazi di collaborazione sociale, somigliare di più a come sono, o meglio ancora a come saranno domani, i social network. Non atteggiarsi a scuole o, peggio ancora, a palestre di quiz.

È ovvio, si tratta di risposte assai parziali ed incomplete a degli interrogativi delicati. Lo svolgimento di tali ipotesi andrebbe verificato e messo a punto. Eppure è proprio attorno a

79 Bonaiuti, Giovanni. E-learning 2.0. Il futuro dell'apprendimento in rete, tra formale e informale. Trento, Edizioni Erickson, 2006. pp. 146-147

questi temi che si dovrebbe appuntare maggiormente l’interesse, come anche l’immaginazione, alla ricerca di soluzioni innovative da sperimentare e condividere. La tipologia di problemi chiamati in causa dalla piattaforma, come si vede, è eminentemente culturale ed è chiaramente, ed inseparabilmente, anche tecnica. L’accesso, ad esempio: è bene chiedersi che rapporti debba avere l’esterno con l’interno della piattaforma, cosa il mondo del web lì fuori possa vedere e chi possa entrare. Fino ad ora le soluzioni sono state di massima protezione e di massima esclusione. Spesso neppure abitanti di mondi limitrofi o i vicini di piattaforma si son potuti affacciare a dare un’occhiata e a lasciare un segno. Nel momento in cui si decida la procedura indispensabile a regolare l’accesso non si sta prendendo una decisione soltanto tecnica o amministrativa ma di impianto culturale. Esattamente come avviene, per l’appunto, per la scelta della piattaforma stessa. Occorre decidere la tipologia di edificio che si intende abitare e vivere, e valutare se è già presente il complesso che si cerca e non resta perciò che riarredare gli ambienti, oppure se lo spazio va disegnato e costruito ex novo, a bella posta, e l’essenziale diventa allora chiedersi come. In sostanza la scelta della piattaforma deve risultare un atto compiuto in maniera profondamente consapevole, avendo cura, prima di scegliere il posto in cui stare, di aver attentamente investigato ed osservato anche cosa si muove al suo limitare.